"Una cosa bella è una gioia per sempre"
(John Keats)
Pastena ( Frosinone)
IL tempo dell'ulivo
di Alessandro Gentili
Girovagare per piccoli musei “dimenticati” dai grandi tour operator è una sfida a tutto campo, una sorta di follia che ha dentro di sé il sapore della “perdita”.
Ma non è un fascino questa storia controcorrente che non ha altra finalità che conservare ancora (per quanto?), il desiderio di cercare, trovare, scrivere di questi angoli sempre più ….all’angolo, stretti dalla rapacità degli implacabili meccanismi del mondo contemporaneo?
Bleah….pare una sfilza di frasi retoriche, non è vero? A che serve? Nulla è nuovo sotto il sole? O tutto è nuovo ? L’Ecclesiaste non mente, ma è un libro duro e amaro da ingoiare.
Kafka asseriva che solo i libri che sono come un pugno improvviso allo stomaco, valgono la pena di essere letti. E questo museo ha tutta l’aria di meritare di essere visitato.
Il Museo della civiltà contadina e dell’ulivo trova posto nei locali sottostanti la Casa comunale di Pastena in provincia di Frosinone, un palazzo del 1879 un tempo residenza della famiglia Trani, notabili del luogo.
Inaugurato nel 1993, il Museo si compone di tredici sale, nelle quali circa ottocento oggetti della cultura materiale pastenese, per la maggior parte donati dalla stessa popolazione o recuperati nelle campagne circostanti il paese, documentano, seppure parzialmente, il patrimonio demo-antropologico locale.
La progettazione del Museo ha mosso i primi passi intorno alle tradizioni popolari e alla coltura dell’ulivo. L’ulivo è stato interpretato come “un vero e proprio fatto sociale”, che accoglie in sé l’insieme delle attività simbolico-lavorative tipiche della zona. La presenza di un frantoio nel Palazzo Trani, peraltro uno dei pochi in paese all’epoca, ha quasi imposto l’intitolazione del Museo all’ulivo e il ruolo di spicco che la coltivazione dello stesso riveste nell’economia pastenese ha sicuramente contribuito a tale scelta.
L’iniziale riferimento alle tradizioni popolari ha invece ceduto il posto alla civiltà contadina, locuzione apparentemente scontata se non si fa cenno all’etimologia del nome Pastena, ( che trae la sua essenza dal verbo latino pastinare con chiaro riferimento all’azione del dissodare e quindi di rendere coltivabile il terreno).
Il Museo conserva il nucleo originale nella sala frantoio, dove l’antica macina in pietra, il torchio, le lavone in terracotta, costituiscono i documenti di un passato le cui radici lambiscono ancora il nostro presente. Il legno dei soffitti, il colore della pietra, il cotto dei pavimenti, ci accompagnano nel lungo viaggio della memoria, attraversando ben due secoli di storia. La sala finimenti ci introduce nella vita quotidiana pastenese fatta di semplicità, di viuzze fangose d’inverno e polverose d’estate, battute dal lento incedere degli zoccoli degli animali e ritmate dal calpestio delle cioce. Sequenze fotografiche mostrano gli eleganti calzari e inducono alla riflessione i più giovani sulla perizia posseduta da chi ogni mattina doveva indossarli. Gli ambienti domestici suscitano interesse tra le nuove generazioni, dando un’immagine reale di un’epoca in cui, per dirla con una tipica espressione pastenese, “le miserie facevano il fumo!”. Il forno, la madia, le poche stoviglie suggeriscono al visitatore le considerazioni sul vivere quotidiano della donna contadina, regina e serva ad un tempo di una casa che diveniva di anno in anno più piccola per l’aumentare della prole, il più delle volte sottomessa al marito e costretta ad aiutarlo nei numerosi lavori agricoli.
La sala del formaggio offre lo spunto per osservare che accanto all’agricoltura occupava un posto, affatto secondario, l’allevamento del bestiame, prevalentemente ovino e caprino per l’uso che si poteva fare del latte e della lana, bovino soprattutto per il lavoro dei campi. Particolare attenzione merita la stanza da letto, nella quale sono esposti, oltre agli arredi, anche degli abiti da sposa realizzati tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Il rimanente spazio espositivo è dedicato in senso stretto alle tecniche di lavorazione del terreno ed alle attività artigianali. Grande rilievo è dato alla coltivazione del grano, alla produzione del vino, alla filatura della lana, alla tessitura del lino e della canapa, alla lavorazione del vimine e alla musica.
Molto curato è l’aspetto linguistico: ogni oggetto è indicato con una doppia nomenclatura, il termine in italiano seguito da quello in vernacolo, ed essendo molti utensili ormai inutilizzati in quanto obsoleti, anche il loro nome dialettale è oggi del tutto desueto. Notevole curiosità suscitano inoltre le fotografie in b/n esposte nelle sale, che ritraggono scene di vita permettendo di visualizzare l’uso degli antichi arnesi e le fogge degli abiti, assolvendo all’importante funzione esplicativa sul loro utilizzo.
Poco rappresentata nel Museo, ma oggetto di studio negli ultimi anni, è la festa del “Maggio”, un esempio di sincretismo religioso in cui è ipotizzabile che il culto arboreo precristiano, riconducibile al dio della vegetazione Attis, si intrecci, mantenendo i tratti salienti del rito dendroforo, con la celebrazione della Inventio Crucis, il ritrovamento della croce di Cristo ad opera di S. Elena madre di Costantino. La festa della SS. Croce, sebbene si sia innestata sul più antico culto arboreo, mantiene tuttavia una evidente separatezza rituale. A distanza di due millenni infatti, quando cioè l’albero di Attis era trasportato dai dendrofori nello spazio urbano di Roma durante la processione di arbor intrat, a Pastena il culto della Croce si affianca allo spettacolare ingresso del “Maggio” nella piazza del paese a mezzanotte del 30 aprile. Allo stesso modo in cui l’albero di Attis simboleggiava il sacrificio, la morte e la rinascita del giovane dio della vegetazione, l’albero di “Maggio” a Pastena, sul cui tronco è incisa la croce, rappresenta non solo la rinascita della vita vegetale ma anche la resurrezione del Dio cristiano.
Lontani dall’intento di evocare nostalgici sentimenti per un passato fatto di stenti ma di sana felicità, binomio ormai divenuto luogo comune tra i più accaniti sostenitori del revival delle “antiche tradizioni”, il Museo della civiltà contadina e dell’ulivo è innanzitutto un esempio di autorappresentazione della comunità pastenese che, di fronte all’inarrestabile avvento della modernità, avverte la necessità di sottrarre all’azione del tempo le testimonianze del proprio passato per affidarle alle generazioni future. Nonostante la tematica del Museo si sviluppi in modo peculiare intorno alla realtà antropologica pastenese, di fatto la tipologia cui si fa riferimento colloca lo stesso oltre la dimensione locale, rappresentando degnamente la civiltà contadina dell’intera Ciociaria.
Lettori!, non pare un’introduzione ad una fiaba? Che meraviglia….un ritorno a tempi archeologici, a persone, fatti, personaggi, lavori, oggetti, usi, vocaboli, ormai dimenticati, vampirizzati dalla ….dalla….ah, sì!, dalla tecnologia (non ricordavo la parola). Che banalità, non è vero? Si fa presto a parlarne male, si fa presto a ridicolizzarsi. Bene, noi ci vogliamo rendere proprio così: ridicoli, fuori posto, esemplari in via di estinzione. Eravamo a cena d’amici tanto, tanto tempo fa, che non ricordo neppure quando e si propose dopo cena, una serata cinematografica. Si propose una scelta: “L’albero degli zoccoli” di Olmi e “Mission Impossible “ numero vattelappesca con Tom Cruise. Noi tacemmo, ma fu assai istruttivo la discussione che ne seguì. Non si vide nessuno dei due, ma le fazioni erano inconciliabili. Siamo proprio così noi: inconciliabili. Provate ad andare a visitare questo museo (quando si potrà….) e poi ne riparliamo.