Monte Porzio Catone
(Castelli Romani - Roma)
Giro del Tuscolo
di Alessandro Gentili
Monte Porzio Catone se ne sta arroccato su un montarozzo a sud di Roma, con il suo enorme Duomo (un po’ sproporzionato rispetto alla cubatura del piccolo paesello) che s’affaccia sulla vasta pianura della Casilina e oltre.
Il Centro Storico di MPC è un fazzoletto ricco di bellezza, armonia e accoglienza. La folta vegetazione che lo circonda porta a diversi punti cardinali e una di queste domeniche di settembre, il luogo è stato invaso da una ricca manifestazione sportiva: bici, running, trekking, Nordic Walking (famiglie, solitari, gruppi, colleghi, amici, tutto il meglio di un paese che sa armonizzarsi quando l’occasione è sana e nobile: nella fattispecie, l’evento è la 42esima festa del giro del Tuscolo, due percorsi, uno da 10 e l’altro da 20 chilometri).
Partenza ore nove e trenta, arrivo dodici e trenta, con parata finale di pastasciutta, bruschetta e dolci sulla piazza di partenza.
L’inizio è tra le strade cittadine, poi la strada, tra salite e discese, s’inerpica nelle prime propaggini boschive, tra ville e villette che si diradano sempre più.
Una signora in vestaglia azzurra con pantofoline saluti i partecipanti e mi pare che questa sia l’immagine di un’Italia di cui si va, ahimè, perdendo il fascino (ricordo con rimpianto il grande Giovannino Guareschi con i suoi intramontabili Don Camillo e Peppone, di cui i film hanno saputo rimettere il fascino semplice e schietto di QUEL paese che pare, appunto, non esista più. Ma lasciamo andare).
C’erano, come dicevano, i running, i trekking e i camminatori del Nordic Walking, cui le racchette inguantate ricordano lo sci di fondo.
Per le schiene incriccate, questa disciplina è assolutamente consigliabile, lo scarico del peso è fondamentale per non infastidire ulteriormente una schiena compromessa (credete a chi scrive).
Il bosco ci abbraccia e ci stringe subito. Costeggiamo il monastero dei Camaldolesi, una di quelle congregazioni religiose dalla regola dura e inflessibile. Come si sa, i Camaldolesi vietano l’ingresso alle donne (come sul Monte Athos, in Grecia) ma nessuno osa fare battute di pessimo gusto.
Saliamo. Il gruppo si sfilaccia. C’è pure una famiglia con passeggino e schienale dove infilare il pargoletto. Molti i cani, molto silenzio, il tempo scorre via come un rosario sgranato in fretta. L’arrivo al Tuscolo ci ripaga della fatica. La vista toglie il respiro. Si capisce perché i Romani ne avevano preso il possesso e perché Cicerone intitolasse “Le Tusculanae” uno dei suoi libri più affascinanti, scritte da queste parti (in una villa del Tusculum).
Nell’anfiteatro ci sono dei musicisti in prova, la città di Roma addormentata laggiù sullo sfondo (da qui i sette colli proprio non si vedono). Poi Grottaferrata e dietro l’Artemisio, Velletri. Si vede lo scheletro della mai inaugurata piscina di Calatrava a Tor Vergata, biancheggiante come un tempio abbandonato.
Il gruppo Nordic cincischia sotto gli alberi per una breve pausa. La mia schiena ringrazia per la pausa ma soprattutto per questi benedetti bastoncini. Si ritorna giù, tra il fresco bosco, invano cerchiamo cespugli di more. In queste uscite sportive, la cosa che riesce facile è fare amicizia e magari ti puoi ritrovare per ore a camminare a fianco di una tal Roberta o Vincenzo, mai visti prima d’ora e magari rivedersi con piacere in un’altra futura escursione.
Camminare è saggezza. L’uomo cammina, i cavalli corrono (così suona un proverbio del tutto inventato). Camminare è ascoltare il proprio corpo e i propri pensieri, camminare è riannodare le fila della nostra memoria, tra passato e presente (correre è, in fondo, guardare al futuro, non vi pare? Beh, forse esagero). David Henry Thoreau (1817-1862) ci scrisse sopra un libriccino strepitoso che consiglio a tutti.
Eccoci al finale tutto italiano: la pastasciutta mangiata in piedi con vino della casa.
Si ritorna a casa: ci attendono i salotti televisivi dove siamo sicuri di trovare, stavolta, il peggio di questo paese.