"una cosa bella è una gioia per sempre" John Keats
Roma
La meridiana di Augusto
di Alessandro Gentili
A due passi dal Parlamento e a otto di profondità dalle vetrine di Hermès, dai collari swaroskati di un lussuoso pet-shop e dai tailleur o giacche di Cenci (negozio di tradizione per deputati e deputate), proprio lì, in via Campo Marzio 38, nelle cantine di un malridotto palazzo, sotto un velo d’acqua c’è quel che resta dell’orologio solare più grande del mondo antico: il simbolo della pax augustea, della potenza di Roma, del suo splendore e del dominio della città eterna sul tempo.
Così, con una meridiana di dimensioni mai viste, l’Imperatore Augusto celebrò la sconfitta della Gallia e della Spagna.
Base in travertino di 160 metri per 75 grande come una piazza, indicazioni delle ore incise in bronzo e, per asse, un monolitico obelisco in granito rosso arrivato dall’Egitto grazie a un viaggio durato due anni.
Peccato che questa monumentale sfida al tempo non funzionasse.
Il matematico Facundus Novus, capo del progetto, aveva infatti copiato fedelmente il meccanismo della meridiana di Alessandria non calcolando quanto a Roma l’inclinazione del sole fosse diversa da quella egiziana.
Così alla morte di Augusto la meridiana dell’imperatore cade in disgrazia e di questa muscolare prova imperiale non c’è più traccia nelle fonti.
Il Medioevo poi la ricopre di case, mentre l’obelisco smantellato e spezzato verrà ricostruito solo nel Settecento e innalzato in piazza Montecitorio ( è ancora lì).
Ma in Campo Marzio sotto i frettolosi passi dei romani le tracce intatte del leggendario orologio tra simboli zodiacali e scritte in greco che parlano del mese “in cui venti cadono” (probabilmente aprile) sono ancora visibili per il turista tenace.