“Si alza il vento”
“Bisogna tentare di vivere” e saper morire.
di Giada Gentili
Un profondo amore per l’immagine, per la vita, per la natura. “Si alza il vento" è un altro piccolo gioiello Hayao Miyazaki (lui ha dichiarato sarà l’ultimo): un cartone dall’incedere positivamente lento ma inesorabile, com’è la vita stessa d’altronde. “Il faut tenter de vivre”- “Bisogna tentare di vivere” è il mantra della storia, che racconta del sogno realizzato (basato su una storia vera) di Jiro Horikoshi, l’ingegnere che progettò i caccia Zero inviati dal Giappone per entrare nella Seconda guerra mondiale, di questi neanche uno tornò a casa. Miyazaki non perdona la carneficina, ma giustifica l’uomo e il sogno, ed è nella dimensione onirica che comunica i suoi più grandi messaggi: la vita oltre la morte, la presa di coscienza che inizia proprio da quando si chiudono gli occhi e si entra nel mondo delle tenebre.
Miyazaki ci mostra i due volti della Germania anni 20, quella dei tedeschi ciechi che trascinarono milioni di persone alla morte con la guerra, quella profonda e visionaria che arricchì la cultura mondiale con opere come “La montagna incantata”. Il Giappone, ancora così arretrato e lontano dall’occidentalizzazione, ai tempi inseguiva tecnica e aspirava alla perfezione. C’è anche l’Italia, la cui bandiera è sventolata dal famoso progettista di aerei Caproni, che Jiro incontra in sogno. Caproni rappresenta la parte più “artistica” e folle del mestiere sognato dal protagonista. Un quadro generale che non è poi così distante da quello odierno.
Le donne che escono da fuori dallo studio Ghibli mantengono sempre un fascino signorile e così è stato anche per Nahoko, la ragazza di cui si innamora il protagonista e che riesce a dichiarare: “La vita è meravigliosa” senza sembrare una principessina giunta dal Castello di Walt Disney. Parlando di Disney, “Si alza il vento” quest’anno è stato battuto agli Oscar dal dolcissimo “Frozen”, nulla di scandaloso: una giuria di americani non poteva certo premiare un’opera che raccontava dell’uomo che ha progettato gli aerei dell’attacco a Pearl Harbor. Come tutte le ultime opere comunque, il film di Miyazaki non è certo ai livelli dei suoi primi capolavori, quello che però emerge più che in altri suoi film è la dimensione umana, terrena-terrificante ma entusiasmante che è così tangibile nel protagonista. Il suo slancio vitale è pari alla consapevolezza di morte di Nahoko, seppur entrambi nella storia tentino di vivere. Insomma va a finire che è quasi più credibile Jiro, che arriva direttamente dalla grafite, piuttosto che i vari comandanti e soldati eroi propinati al pubblico per raccontare della guerra.