Un eroe della risata
L'Omino Bufo
Nato per errore
di Giada Gentili
Quaranta anni fa circa, nasceva un fumetto che era uno scherzo della natura (posto che nei fumetti, per ‘natura’ s’intende il disegno).
D’altro canto, come è noto, prese vita per errore. Presso la redazione del Corriere dei Ragazzi, nel 1972, accadde che un redattore si accorse di un grave problema nell’impaginato, poco prima di andare in stampa: il logo della pagina dedicata alle vignette umoristiche era scomparso. Il giovane redattore si chiamava Alfredo Castelli, e la soluzione che trovò per rimediare all’errore si chiamò Omino Bufo: una striscia umoristica inventata lì per lì, con protagonista un improbabile – e appena abbozzato – omino dai tratti un po’ scomposti e confusi.
Le brevi gag dell’Omino Bufo, in realtà, furono un piccolo successo sin da quella prima, inaspettata apparizione “tappabuchi”. E da allora, per decenni, hanno riempito le pagine di tante testate, facendone una serie comica delle più strambe nella storia del fumetto italiano. Una strip fondata su battute nonsense, semplici e efficaci quanto i calembour (o le spiritosaggini gratuite, o i “fumetti-nel-fumetto”) amati dal suo autore, divenuto nel frattempo – grazie a Martin Mystère – uno dei più influenti e rispettati sceneggiatori del fumetto italiano.
Le strisce de L’Omino Buf presentano una inconfondibile struttura ricorrente: un gioco di parole iniziale, un suo sviluppo (più o meno breve, a seconda del formato), e il ribaltamento finale, in cui viene svelata la – sciocca, divertente, talvolta geniale – trovata linguistica (e grafica) iniziale. Il tutto chiuso dall’inconfondibile tormentone del protagonista: “che bufo! che bufo!”.