Moby Dick
La versione Hollywood di Melville
di Giada Gentili
Il romanzo di Herman Melville nel 1851 ha raccontato a tutti noi ragazzi del demone bianco, ci aveva un po' spaventato da piccoli la violenza dell'oceano, la cattiveria dei balenieri che a volte ti trascinava addirittura dalla parte della balena. Nel film di Ron Howard "Le origini di Moby Dick" questa inversione di rotta non si è verificata, almeno io sono rimasta nel team balena durante tutta la visione del film e non certo perché sono un'animalista (Chef Rubio ancora mi sta simpatico e ieri sera ho mangiato hamburger), è che tifare per dei personaggi così “coatti†non è proprio facile. Questa nuova produzione dell'ex attore di Happy Days - regista meritevole con “A Beautiful Mindâ€,“Rushâ€, “Frost/Nixon†- non manca di scorrevolezza, belle immagini, momenti palpitanti; la fotografia ricorda i dipinti a olio settecenteschi e solo il cinema ti permette di osservare da vicino velieri così imponenti, con dettagli, rifiniture e renderlo reale.
La falla principale de Le origini di Moby Dick però è la sceneggiatura, una serie di boriosità da parte del protagonista Chris Hemsworth non si sentono neanche in "Fast&Furious"; ad accompagnarci nella storia è lo stesso scrittore Melville (interpretato da Ben Wishaw) che costringe l'ultimo sopravvissuto del naufragio a raccontargli cosa accadde anni prima sulla baleniera. La cornice del narratore segue lo stile del "Gatsby" di Luhrmann, in cui il racconto era introdotto da un pazzo Fitzgerald e speriamo non diventi una moda a Hollywood; la scelta non aggiunge nulla alla storia ed è alta la pretesa di spiegare da cosa e come nasca l’idea di un artisti tanto lontani e imponenti. "Le origini di Moby Dick" mantiene comunque quel piacevole stile avventuriero del filone marinaresco, seppur troppo didascalico e lontano diverse leghe da Master&Commander.