Editoriale
La Sardegna ferita
di Dante Fasciolo
Dalla Sardegna ferita mortalmente viene una conferma tragica: il rigetto di ogni pianificazione territoriale e paesaggistica. Al di là della pietà umana, non si può dimenticare «la mano dell’uomo» in tanto disastro.. La mano dell’uomo che ha continuato a saccheggiare il territorio, che ha continuato a costruire nell’alveo dei corsi d’acqua o su torrenti stupidamente tombati (come a Genova) in una città come Olbia quasi tutta illegale.
Una delle cause della tragedia sarda è l’impermeabilizzazione dei terreni a base di cemento e asfalto: oltre il 7 per cento dell’Italia sta sotto questa coltre che però nelle aree metropolitane copre la metà dei terreni. Malgrado ciò si continua a costruire, cementificare, asfaltare.
Il governatore della Sardegna Ugo Cappellacci si vanta di aver ridotto la fascia di rispetto dal mare a 300 metri e di aver smantellato piano salva-coste e piani paesaggistici che i sindaci trovavano ovviamente «troppo restrittivi» (erano soltanto rigorosi), prevedendo così di realizzare 3 milioni di mc di alberghi, club house, case attorno a 25 nuovi campi di golf (destinati ad inquinare non poco).
Altro esempio: a Roma, due nuovi stadi, il primo dovrebbe sorgere nell’ex Ippodromo di Tor di Valle che, realizzato in un’ansa del Tevere, si allagò alla riunione inaugurale del 26 dicembre 1959… il secondo vicino a Formello, e ricade nella zona alluvionale del Tevere.
Una sorta di impazzimento urbanistico, una accelerazione verso il suicidio del fu il Belpaese.
Occorre un sussulto d’orgoglio, un’azione decisa; nella rubrica Ambiente che segue, c’è un manifesto. Invito ciascuno a farlo proprio.