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Fotografia

Biblioteca E. Flaiano - Roma

Massimiliano Troiani: Una mostra e un film

Lungo i fiumi di Babilonia
Il silenzio abitato della savana


   

Le cronache degli ultimi giorni narrano pagine tristi.

Continuano sulle nostre coste sbarchi di uomini in cerca di dignità.

Hanno lasciato figli bambini, moglie, vecchi genitori in terre non più ospitali, ove disagio, miseria, fame e guerre hanno consumato l’ultima lacrima, l’ultima goccia di sangue.

Il loro nuovo approdo non è la felicità, ma un riparo per la vita…anche se a molti dei loro compagni di viaggio ciò è stato negato.

Il Mediterraneo amico si è rivelato cimitero misterioso e crudele.

Per molti di noi è’ difficile capire il perché vengono e da dove vengono, e non si fa mai uno sforzo per immaginare, negando a noi stessi la verità degli altri, i loro volti, i loro pensieri…

   

Tre narrazioni per immagini ripropongono temi vecchi…sempre nuovi, perché troppo spesso colpevolmente dimenticati.

Con la sua mostra “Lungo i fiumi di Babilonia” Massimiliano Troiani porge “immagini che hanno cercato di essere racconti. Ritratti e paesaggi come ballate, e che dietro (prima o dopo) ogni scatto si domandavano se alla fotografia sia ancora possibile raccontare – scrive l’autore – La risposta non è mai stata scontata, né ovvia: questa civiltà, che dell’immagine ha fatto il suo idioma, fa poi fatica a narrare sé stessa e dunque a comprendersi. Ne produce quantità sterminate, di immagini, ma queste non riescono più a riflettere”.

      

Lo scrittore Erri de Luca, che ha presenziato alla mostra, cerca una strada interpretativa:” Dal biancoenero di Troiani spuntano le facce come frutti in cima al tronco, piante su madre terra.

Perciò l’Africa più dell’oriente e di altre latitudini, racconta di noi spaesati, sparsi a manciate, eccedenza, brulichio di indebitati a morte con il suolo, scacciati da esso, spostati a miriadi sulla superficie”…”Troiani calca le estremità di questa terra estranea, il suo biancoenero cammina da viandante. Percorre la buccia delle facce, dei corpi, ultima ricognizione della geografia.Tuuta la superficie del pianeta è stata perlustrata e cartografata, dagli abissi oceanici alle cime himalayane.

Restano le facce. Troiani va verso di loro con lo spirito dell’esploratore ma senza la sua pretesa, varcati i confini delle mappe conosciute, di piantare bandiere di conquista: Lui invece si affaccia, si porge sulla geografia delle facce per tentativo di fraternità”.

      

Valore quest’ultimo rafforzato dalla proiezione nell’ambito della mostra fotografica offerta dalla bibliotecae E.Flaiano di Roma, del film Il silenzio abitato della savana testo e regia dello stesso Troiani, girato in Burkina Faso (vuol dire Paese degli uomini integri, un tempo chiamato Alto Volta), uno dei paesi più poveri del mondo ma forse, proprio per questo, immune fino ad oggi da quelle guerre devastanti che hanno strappato gran parte del tessuto sociale di molti paesi africani. Situato nel mezzo della savana, e terra di grande cultura e tradizioni, qui la donna ha un ruolo fondamentale all’ interno della vita dei villaggi, dove il culto degli spiriti sollecita la costruzione di magiche abitazioni in terracotta, dove la siccità ogni anno è uno spettro che minaccia ogni forma di vita e dove, nel 1983, il comandante Thomas Sankara dette un nuovo nome e nuova politica e dignità al Paese. Il filmato avvicina la ricchezza umana e culturale che questa porzione di savana, all’ interno della secca fascia del Sahel, ancora conserva.

E ancora una volta, ci aiuta a capire meglio Erri De Luca . “Oggi sentiamo di essere in un punto che verrà censurato dal futuro per follia di sprechi e accumulo di intossicazioni. Il futuro si dovrà difendere da noi, suo passato prossimo e pessimo.

Sarà allora l’Africa la terra promessa del mondo. Chiederemo alla nostra origine di accoglierci di nuovo. Le facce che oggi crediamo quelle del nostro passato, dal quale fuggimmo, saranno quelle del futuro…”.

A ben riflettere stiamo forse guardando noi stessi col binocolo rovesciato e le facce di Troiani ci sembrano remote. Bisognerebbe provare a guardare dalla parte giusta dell’ingrandimento: sono il futuro che ci accoglierà, o forse ci respingerà come facciamo adesso coi viandanti migratori salpati allo sbaraglio.

   


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