Arte
Palazzo Lucchesi – Vittoria (Ragusa)
Letti & Diletti
di MoMò Calascibetta
In occasione del “Vittoria Jazz festival“ l’Area culturale Polivalente Edonè - arte viva, da un’idea di Giovanni e Livio Bosco, presenta fino al 30 giugno all’interno del “Giugno d’arte e cultura a Vittoria”, la mostra personale Letti & Diletti di Momo’ Calascibetta presso Palazzo Lucchesi. La mostra raggrupperà opere già presentate alla galleria “Antonia Jannone” di Milano col titolo di ” De l’amour“ integrate con opere recenti create appositamente per l’evento.
.…..”Rivedendo gli stessi dipinti a freddo, quando la contingenza è diventata memoria storica e al lume delle opere esposte ora da Antonia Jannone, che trattano…dell’amore” ( ma non secondo Stendhal ), si percepiscono meglio altri valori- per me dominanti che fanno di Momò in primo luogo un pittore dell’immaginazione”. Così scrive Fabrizio Dentice. Per non dire “dell’immaginario”, razza ben definita da Giuliano Briganti. E’ un’immaginazione che parte da vicino, traendo spunti da modi, tipi, caratteri, comportamenti e tic catturati dall’immediata e quasi quotidiana esperienza. Ma che subito si dilata , dilaga e vola in una dimensione – per forme e contenuti- fantastica, a volte delirante, sempre stralunata e sorprendente.
Momò dice, e bisogna credergli , che quando prende in mano la matita o il pennello per inseguire un’idea non sa bene quello che fa. Le mani vanno, sono loro che portano. Sembrerebbe una ricetta surrealista. Ma non è una ricetta, e il suo dipingere surrealista non è certo. Io lo vedo come un travaso puro e semplice- lubrificato da quel mestiere prioritario e fatto natura che impressionò Sciascia fin dagli esordi- di un’immaginazione in moto perpetuo, che si sbriglia senza mai perdere il filo nei più straordinari percorsi. Guardo la “Leda” per esempio, e resto prima ancora che deliziato, esterefatto. Da dove gli è arrivato questa portentosa visione?
Quest ‘estasi golosae casalinga, concentrata sotto gli occhiali tondi da miope e conclamata dal possessivo raccogliersi delle gambone, in primo piano, intorno al piacere; con quello zoccolo proiettato nell’occhio di chi guarda? E quel polverio di luce che è il dio- cigno esausto, gettato come un tappeto o uno scialle a coprire le strabordanti nudità della tindaride penetrata?
Piuma per piuma: una nuvola che forse è tessuto invece di pelle di serpente, o di scaglie d’argenti chiari e bruniti….non sai se miracolo di natura o capolavoro di un mago orefice. Sei trascinato, altre volte, dall’accumulazione. E’ il caso di “ Acque gialle a Cefala Diana” , ludico tripudio di coppie e singoli nelle piscine dell’abbandonato bagno arabo-ogni figura un ritratto- avvolto e amalgamato in una luce sulfurea. Nei disegni e negli acrilici piccoli, invece, il racconto è univoco, concentrato con ilare violenza ( di cui la specie del colore è fattore portante) su una situazione a due.
Una delle tele con doppia ragione si intitola “Raptus”. Ma sono tutte in verità dei “ rapimenti” dell’anima e dei sensi; deliri, brame, esplosioni dell’eros; qualche volta anche abbandoni ( sempre rapiti) alla soavità di un istante, al nettare del sentimento. Ma anche intorno ai nuclei di rappresentazione più compatti l’immaginazione dell’artista preme ribolle morde e gioca, inserendo varianti e arricchimenti che sono personaggi in formato minore o seminascosti, da cogliere a un secondo sguardo, o magari le figure decoranti la spalliera di un letto, richiamate in vita dal momento di vita trionfante che sogguardano. L’amore, ci dice Momò è questo. Non solo questo-come sanno poche persone fortunate- ma anche questo. E se non è proprio “questo”, certamente “è così”.
E Philippe Daverio incalza: “…..gli attori di questo dissennato carnevale sono politici e criminali, dame dell’alta società, nobili decaduti e prelati, intellettuali e artisti che tessono rapporti inconsistenti dentro una babilonia disperata che si agita tra i vortici dei giochi dell’acqua; un’ umanità vacua e disfatta, verminosa e potente, un carnevale di annoiati, vitelloni e nobili a noleggio. Menti infide e incartapecorite che mal sopportano frammenti di virtù civili nel salotto cafone e putrido della piazza siciliana. I personaggi della fontana sono attori del fuoco fatuo della mondanità e si confondono in un labirinto di umanità abortita.