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Teatro

Piccolo Eliseo - Roma

L’educazione siberiana degli onesti criminali

Dalla Moldava Transnistria una debole perestrojka

di Margherita Lamesta

Tratto dal romanzo autobiografico di Nicolai Lilin, edito da Einaudi nel 2009, e trasposto su pellicola da Gabriele Salvatores nel 2013, lo spettacolo firmato Giuseppe Miale di Mauro restituisce la stessa aria cupa e nervosa del testo. Piccolo Eliseo di Roma fino al 16 febbraio.

La storia si ripete: Caino-Yuri e Abele-Boris, Eteocle e Polinice dei nostri giorni, il ritorno di Giuda traditore, e il tutto sotto l’egida guida di Nonno Kuzja-Luigi Di Berti, un cristiano ortodosso incaricato di educare i suoi alla dottrina del “criminale onesto”, contro gli sbirri repressivi e venduti al potere dello stalinismo ateo.

   

Di Berti nei panni di un “lupo capo branco” - come si autodefinisce Kuzja - conduce il suo talento verso il carisma e la flemma necessari per tenere insieme le redini di una comunità a lui devota. Eppure un codice d’onore del “criminale onesto” fa scalpore nella nostra mente e da Fiume Basso, con un’ampia ellissi spazio-temporale, ci riporta a quello mafioso, anch’esso d’onore e anch’esso del tutto superato, oggi, da brutalità che non guardano in faccia nessuno.

Francesco di Leva-Yuri, dal canto suo, si dimostra capace nei panni del guappo - Una vita tranquilla di Cupellini - ma qui è un guappo il cui codice d’onore non esiste più, se non in nome di una libertà a tutti i costi. Un delirio di onnipotenza quello di Yuri, che riporta alla mente il moderno Faust di Sokurov, trionfante a Venezia, due anni fa.

La madre-Elsa Bossi è una creatura del tutto sottomessa ai propri figli, di cui ne conosce e accetta il destino sin dalla nascita, con rassegnata dedizione. A lei sono affidati l’inizio e il finale, entrambi come voce narrante in scena e nella sua condizione di martire l’attrice riesce, con un buon registro drammatico, ad esprimere il suo dolore per la morte del figlio disabile: il più debole, il più innocuo, il più bisognoso delle cure materne.

In ultimo, il delirio di libertà che annebbia Yuri, ubriaco di droga, pronto a tradire la sua famiglia senza rimorso, è quanto di peggio possa produrre la legge di una cattività forzata, la cui assurda valvola di sfogo è data da un american dream distorto e del tutto travisato, che prende corpo in un animo all’ultimo stadio di corruzione e assoggettato solo al Dio denaro.

Ambientato in una piccola comunità della Moldavia, la Transnistria, sconosciuta ai più, autoproclamatasi indipendente dall’URSS, nel 1990, a solo un anno dalla caduta del Muro, il romanzo – e lo spettacolo - tratta le vicende di maturità di come deve crescere e vivere un “criminale onesto”. È un ossimoro inconcepibile, sviluppato secondo un codice criminale e sanguinoso, che regna in un ghetto di balordi, riconoscibili dai tatuaggi e dai legami tra essi e con le vicende della loro storia, che i tatuaggi firmano e testimoniano – “i tatuaggi sono un lasciapassare”.

   

Lilin, del resto, mostra le debolezze della perestrojka – cambiamento e conversione, storicamente nata in un clima che, purtroppo, non aveva ancora sviluppato gli strumenti per soddisfare quel bisogno di libertà e indipendenza insito nella natura umana. Facile - ma non giustificabile - diventa in tal modo l’esaltazione e l’appropriazione indebita di questi bisogni, delegando a una divinità di comodo la colpa dei propri crimini, per legittimarli. Il conflitto tra i due fratelli non è che lo specchio di un’intera società stremata dalla dittatura e affamata di libertà, destinata, perciò, a perdersi nel caos.

In anticipo di due anni sugli attacchi terroristici alle Torri Gemelle, Lilin denuncia un fanatismo religioso, che ha avuto molti nomi, molti volti e molte firme nel corso della storia: quella del cattolicesimo, del credo ortodosso e, in ultimo, del fondamentalismo islamico, nel nome di una delirante jihad. Nonno Kuzja non muove un dito senza la benedizione celeste, convinto di vivere e proclamare un bene chiesto e autorizzato da Lui – “Signore, benedici le mie armi”; “se vuoi la pace preparati alla guerra”.

La regia, con i suoi originali rimandi pittorici - la morte del picchiatello della comunità, un ”voluto da Dio” sembra una deposizione uscita dal Nostro Rinascimento – si muove con giochi di luce taglienti, componendo in modo ricorrente la croce, simbolo di estremo sacrificio e di obbedienza incondizionata a un codice etico che non conosce il compromesso né il proprio tornaconto. Il ritmo cinematografico e i due livelli scenici offerti da un’intelligente scenografia scarna e polverosa agganciano il pubblico dall’inizio alla fine dei novanta minuti di spettacolo.

In sintesi, un lavoro coraggioso e ben confezionato ma pur riconoscendo il sicuro valore della mise en scene, il messaggio che passa è venato da una certa mistificazione, poiché non presenta una terza realtà oltre alle due facce criminali contrapposte portate in scena, sia pur con mestiere.

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)