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L’India del terzo millennio

di Massimiliano Troiani


   

L’India del terzo Millennio si presenta come una delle potenze economiche più forti del pianeta. Globalizzante e globalizzato, sia in campo economico che culturale, il subcontinente ha ormai abbondantemente superato il miliardo di abitanti eppure mantiene comunque le caratteristiche di un immenso mosaico umano, naturale, linguistico, religioso, culturale. Considerando sempre la differenza tra il nord e il sud del paese, l’India trova una sua omogeneità proprio nel suo passato, che vide radici ancestrali nella civiltà Vallinda, definizione ormai riduttiva, considerate le recenti scoperte archeologiche che estendono quella raffinatissima e indecifrabile civiltà, risalente a 4.500 anni fa, ad un’area immensa del territorio indiano. Civiltà che probabilmente finì con l’arrivo (oggi messo in discussione) delle tribù ariane provenienti da Occidente.

E così l’India, che nulla getta del suo straordinario passato, vide il contatto tra la religione brahmanica e, in diverse e successive epoche, con la civiltà greca, il periodo illuminato dalla filosofia del Buddha, il jainismo, l’arrivo dell’apostolo Tommaso come seme del cristianesimo, il ritorno degli dèi hindu, l’Islam, le devastazioni mongole, e poi la tormentata presenza coloniale dei portoghesi, francesi, inglesi, olandesi… fino al determinante arrivo sulla scena del Mahatma Gandhi, dunque l’allontanamento degli inglesi e la dolorosa e sanguinosa separazione con il Pakistan.

   

L’india oggi, nel suo assetto di potenza economica arrembante, mantiene lo splendore di migliaia di templi; quelli di Mahabalipuram, gioielli scolpiti nella roccia, si affacciano sull’Oceano indiano dalle coste meridionali del paese. L’India custodisce istituzioni artistiche come la danza Bharatanatyam: disciplina antichissima che contiene e mantiene le narrazioni sacre alla religione hindu. A Chennai (un tempo Madras) c’è una delle scuole più prestigiose e lì accanto ci si può “perdere” nella Old Library, una magnifica costruzione in legno e vetro, di stile inglese, che riceve una copia di qualsiasi pubblicazione indiana, libri e riviste.

   

   

E la proverbiale “mente matematica” indiana, che vede il paese all’avanguardia nella diffusione di computer e nella promozione di giovani programmatori, si coniuga con ancestrali riti devozionali in ossequio a diverse divinità hindu. Prima fra tutte il potente Shiva, e poi al suo figliolo Ganesh, il dio dalla testa di elefante che usa come veicolo (ogni divinità indiana ne ha uno) un topolino: ambedue, pachiderma e roditore, riescono a superare gli ostacoli, ognuno sfruttando le proprie diverse dimensioni. E accanto al tempio di Tiruvannamalai, ai piedi della montagna sacra, fioriscono gli ashram, luoghi di meditazione e ascesi.

   

Chiudiamo il viaggio in questo triangolo meridionale dell’India, scoprendo chi mantiene ancora viva la memoria del Buddha, ormai quasi definitivamente scomparsa nell’intero paese. E’ un settantenne monaco giapponese della setta Nitchiren che, insieme ad altre due monache e un monaco, si alza ogni mattina alle quattro e, alternando preghiera e fatica fisica, costruisce un tempio in mezzo alla campagna, nel silenzio striato solo dal canto degli uccelli e dal volo di pavoni e corvi… Le reliquie del Buddha sono già sotto le fondamenta; bambini e gente del posto vanno ad aiutare i monaci, passano loro mattoni e calce, si sentono partecipi nella realizzazione di una “ memoria della pace e della tolleranza” fatta in “mattoni e muratura”.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)