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Racconti d’altri tempi

La Vendemmia

di Agnolo Camerte

Cesarino, Cesarino! Vieni giù, dai spicciati, ti devo dire una cosa! Eccomi! Che succede? Ma no, niente, niente......domani che cosa hai da fare? Ma niente, le solite cose, poi è sabato, al massimo vado a servire la benedizione .

E se invece venissi con me ed i miei a vendemmiare, giù a lu pianarellu! Magari, rispose Cesarino, intessatissimo alla cosa. Carletto, magari.... dai andiamo a dirlo a mamma, se mi manda....

Ci sono anche i tuoi no? Ma certo, addirittura c’è mia sorella, mia cugina, e ci porta Giovannino con la cacciatora e la cavalla Morella; quella che corre come il vento....Ma davvero!.........? Per fortuna di Cesarino il permesso fu accordato.

Difficile la sera addormentarsi sapendo che l’indomani si andava a fare la vendemmia da zio Costantino, giù a lu pianarellu. La nonna diceva “se velegna” ed era già festa per come lei pronunciava la parola. In effetti per noi ragazzi era proprio una festa la vendemmia.

Quei bei grappoli dorati, carichi di acini, lucenti al sole, ti facevano venire più fame e voglia di morderli, più di quanta già ne avessimo a quell’età. Non c’erano infatti le merende, merendine, paste e pasticci vari che oggi diamo ai nostri ragazzi. In campagna c’erano mille cose da mangiare, erbe, bacche, more, e a settembre, quando “l’uva è fatta e i fichi pende” bastava arrampicarsi su una pianta di fichi con una bella fetta di pane fresco, (quello fatto a casa, cotto dalla vergara nel suo forno profumato col ginepro...) per fare una merenda coi fiocchi.

   

La mattina, appena saliti sulla cacciatora, già pensavamo tutti all’ uva matura che ci stava aspettando...

Morella incominciò a trotterellare di buona lena e noi ragazzi con il vento fresco in faccia, ci mettemmo a canticchiare allegramente una canzoncina. L’aria mattutina di settembre era profumata ma le ragazze che allegramente canticchiavano, furono azzittite da un’improvvido, quanto rumorosissimo effluvio puzzolente di Morella; l’incanto bucolico improvvisamente interrotto da Morella, trasformò la canzoncina, nella prima irrefrenabile risata della giornata.

Giovannino commentò che Morella aveva mangiato parecchio e che quindi era normale che facesse tutti quei rumori.......che ci facevano sbellicare dalle risate.

Arrivammo in allegria al podere di zio Costantino e subito, appena scesi dalla cacciatora, andammo tra i filari a cogliere l’uva. Forbici in mano per tagliare i grappoli e metterli dentro il canestro che avevamo tutti. Dietro di noi veniva una carrettella con due bigonce, dove venivano vuotati i cesti pieni di grappoli. Quando le bigonce erano piene, venivano portate su nella cantina e svuotate dentro il deraspatore; molte altre invece venivano vuotate dentro un vascone per essere pestate con tutto il grappolo e far così uscire il mosto. Naturalmente noi ragazzi non vedevamo l’ora di entrare dentro la vasca a pestare l’uva. Lavati i piedi accuratamente, tra solletico, e scherzi vari, ci piazzarono dentro il vascone sopra l’uva da calpestare. Ci tenevamo su dei pali di nocella lisci in un modo incredibile, e flessuosi al contempo. Era proprio una festa, un gran bel divertimento, starsene lì a pestare l’uva. Il profumo del mosto era un’odore nuovo che entrava nelle narici e sembrava restarci dando una sensazione nuova di freschezza e di odorosa dolcezza.

   

Zio Costantino era bravo a fare il vino. Ne faceva di bianco (Trebbiano e Malvasia) e di rosso. La sua vigna era come dicevano gli esperti, matura, e produceva tanto vino, che lui raccoglieva in grandi botti di castagno. Lì veniva travasato il mosto spremuto parte dai nostri piedi e dal “friscolo” che spremeva tutto il mosto dalle vinacce. Quello che lui riteneva migliore era quello derivato dalle uve pestate, perché non veniva acciaccato l’acino dell’uva. Naturalmente aveva anche le macchine , la deraspatrice e la spremitrice, ma lui sosteneva che il vino rosso migliore veniva dai raspi pestati e non acciaccati dalle macchine. Sta di fatto che il suo vino era proprio buono e che andava a ruba.....

Per noi ragazzi questi erano discorsi da grandi...Non ci interessavano molto. Ovviamente eravamo attratti da quello che la campagna offriva; i frutti settembrini, i pranzi, le merende, le bestie della campagna, l’uovo appena fatto, ancora caldo e dulcis in fundo la mungitura della vacca..... Coraggiosamente fu Cesarino ad afferrare per primo i capezzoli della vacca Nerina; un muggito (di simpatia?) e si fece mungere il latte......Insomma una inusuale vendemmia che finì non con un bicchiere di vino buono, ma con un bicchiere di caldo latte appena munto.

Troppo simpatica e paziente Nerina con noi ragazzi...l’impressione fu che ci fece assaggiare il suo latte migliore...

   


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