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Racconti d’altri tempi

Lu Vasgappiu

di Agnolo Camerte


   

Marì, Marì , svejete, dai, lu jornu è fattu…..Devo jì jo lu campu , ma non ‘troo lu vasgappiu, moete!

Ma te l’ho lavatu, rispose la moglie, vattelu a pijà jo lu filu, sta steso coll’altri pagni, mò è sciutto!

Chissà quante volte sono state pronunciate queste parole nell’ antico dialetto marchigiano….

Parole semplici, usuali, di tutti i giorni, di gente laboriosa, avvezza alla fatica in quei campi scoscesi, avari, eppure tanto amati. Anche oggi è così; si capisce dalla cura con la quale certi terreni, certe vigne curve sotto il profilo dolce delle colline, fanno bella mostra di sé a chi le attraversa anche fugacemente in auto.

Quando mi capita di viaggiare nella zona del Verdicchio, mi torna spesso in mente la figura di Righetto, contadino Doc, di quelli che trattavano la terra con grande rispetto e che la amavano, la accarezzavano quasi, grati, nonostante tanta fatica, di quel poco che quella terra avara riusciva a dare.

Usciva di casa per andare a lavorare nei suoi campi in “divisa da lavoro”; sempre impeccabile e sempre uguale. Cappello un po’ troppo piccolo per il suo testone, vasgappiu indosso, alla cinta appeso un corno di vacca dentro il quale teneva le forbici da potare ed il coltello, roncola appesa dietro la schiena, pantaloni da lavoro ed ai piedi se c’era troppo fango, scarponi con la tomaia di legno fatta da lui e rivestiti di pelle, oppure scarponcini di cuoio chiodati, se la terra non era troppo bagnata e non doveva scaricare il letame nel letamaio.

Gesti e lavori antichi, vesti e attrezzi antichi, come la roncola o la ruota a pedale per affilare le falci o i coltelli. Mani forti, callose e dure come la pietra, e faccia scavata dal sole e dal vento, con tratti di quella fierezza antica che lo faceva assomigliare ad una roccia.

   

Un giorno stava lavorando nella vigna, vasgappiu addosso , forbici per potare i tralci e un fascetto di vimini legati al fianco, per legare le piante d’uva potate; sembrava uscito da un quadretto d’altri tempi, con quel suo corto zinaletto ( lu vasgappiu) che sembrava imprestato. Ma non era così!

Il Professore di latino, grande studioso, ci aveva appena spiegato la mattina che la parola vasgappiu era antichissima e che probabilmente aveva le sue radici nella parola “usum capere” cioè veste che si adopera o si mette tutti i giorni…..Grembiulino di tutti i giorni, da lavoro….Mentre “lu” , tanto diffuso nell’Italia centrale, ma anche in Sardegna, deriva dal greco “tou”…..Mentre vedevo Righetto lavorare velocemente nella vigna, pensavo dove fossero in quei gesti i tempi “moderni”. Chissà, la pianta dell’uva, dopo tanti innesti e trasformazioni era diventata “moderna”; ma quei gesti, quella manualità, quel vestire lu vasgappiu, erano certamente antichissimi. Allora pensai , forse gli antichi Greci in fuga dalla Sicilia a causa dei Romani invasori, hanno tra le altre cose portato con sé nel civilizzare l’Italia centrale, i vitigni di quelle uve pregiate e perché no anche l’abitudine ad indossare lu vasgappiu ed il relativo corredo……Mi viene anche da pensare che dovevano essere una razza sparagnina sti Greci, braccini corti, ma grandi cultori dell’ospitalità. Caratteristiche trasmesse alle popolazioni civilizzate…Infatti se si tratta ancora oggi di spender soldi, la vergara (la padrona di casa) è tiratissima; lei tiene i cordoni della borsa molto stretti! Se però ti invita a pranzo, essa diventa la generosità fatta persona! La tavola si ricolma di ogni ben di Dio! L’ospitalità era ed è ancora una cosa seria! L’ospite viene servito e riverito.

Finito il lavoro, lu vasgappiu veniva accuratamente riposto, prima di entrare in casa , con tutti gli altri attrezzi da lavoro, come se fosse un’armatura…Il nostro Righetto aveva l’abitudine di appenderlo dentro il paiaio, quello eretto sull’aia, subito di fronte alle scale di casa. Era semivuoto all’interno, e vi si entrava da una piccola apertura posta a sud. Infatti con un’attrezzo che si era costruito, Righetto tagliava il fieno dall’interno, affettandolo, con quel pezzo di falce, a blocchi, per portarlo nella stalla alle vacche. Tagliato all’interno il fieno si manteneva fresco ed odoroso. Due bestie in particolare erano straordinarie.

Di razza chianina, erano enormi, fortissime, docili come cagnolini e molto attaccate al loro padrone. Garbatina e Bianchina. Sempre pulite e striate , sembravano due statue, mansuete, obbedienti, belle e grandi lavoratrici. Vederle tirare l’aratro dal vomere luccicante, su e giù per quelle colline scoscese, era uno spettacolo che non si dimentica. E dietro Righetto, con il suo vasgappiu, che le guidava a voce, parlandogli, come si parla ad una persona. Loro eseguivano senza sbagliare nulla…

Ora queste scene non si vedono più. Ci sono i trattori che fanno tutto, ma proprio tutto.

Sono computerizzati, non eseguono i comandi “a voce” come Garbatina e Bianchina. Bisogna saperli programmare e dargli tutte le misure del campo…..Poi basta digitare un tasto e il computer di bordo fa tutto……da solo! Lu vasgappiu l’operatore ancora se lo mette, ma le carezze e i complimenti per il bel lavoro svolto il computer non li capisce. Non dà soddisfazione come Garbatina e Bianchina.

Righetto inoltre non fa più le arature perché i trattori moderni, con tutti quei computer che lui non sa gestire, non li sa proprio portare. Tanta fatica in meno, d’accordo , lui dice, ma vuoi mettere quanta soddisfazione ti danno due belle vacche chianine? Sarà così?

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)