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Racconto

La giunchiglia di mare

di Ruggero Scarponi


   

Kurt Blumen rientrò dalla marina verso sera visibilmente soddisfatto. Aveva passato tutto il giorno alla ricerca di piante rare da poter studiare e collezionare nel suo erbario di città. E ora forse qualche risultato l’aveva ottenuto.

Aveva scelto per le vacanze una remota isola in mezzo all’oceano convinto di potervi rintracciare specie botaniche sconosciute. Sua moglie Margarita l’aveva seguito senza troppo entusiasmo temendo la solitudine di un luogo così fuori mano. Il marito, infatti, aveva l’abitudine di uscire di casa la mattina presto, per far ritorno non prima del tramonto. E a lei sarebbe toccato di restare sola per lunghe ore su qualche scoglio a prendere il sole, senza poter scambiare nemmeno una parola con qualcuno del luogo, essendo i giovani tutti in mare a pescare e le donne e i vecchi, rintanati in casa.

Ma Margarita era abituata a tutto questo. Aveva sposato Kurt proprio perché era stata affascinata dal suo entusiasmo di ricercatore e nei primi tempi del matrimonio l’aveva seguito spesso per andare a erborizzare sulle montagne e nelle valli più inaccessibili.

Stavolta però i giorni passavano e la giovane donna si annoiava mortalmente.

Finché un pomeriggio non fu raggiunta sul suo scoglio da un giovane pescatore.

Il Professor Blumen stentava a crederlo ma quando furono di ritorno a casa dalle vacanze, fu piacevolmente sorpreso da una bella notizia. Gli esperti, cui aveva inviato campioni di una particolare qualità di giunchiglia raccolta tra le impervie scogliere dell’isola, avevano risposto a stretto giro confermando in pieno i suoi sospetti. La Narcissus jonquilla marina Blumenensis, così era stata ufficiosamente battezzata da quei dotti scienziati, era davvero una pianta sconosciuta alla scienza ufficiale e pertanto se ne poteva assegnare il merito della scoperta all’intrepido Professor Blumen.

- Credo, Margarita – disse una mattina a colazione il professore – che dovrò ritornare presto sull’isola. Ho bisogno di altri campioni per studiare la pianticella in tutti i suoi aspetti. Sai – aggiunse gongolante – la società botanica pensa già di inserire il mio nome tra i soci benemeriti.

E…metteranno una targhetta dorata su uno scranno dell’aula magna con scritto: Kurt Blumen, dell’università di Hellstadt, scopritore della Narcissus jonquilla marina, A.D. 1963.

Qui il buon uomo non riuscì a trattenere un sorriso di vivo compiacimento.

Sua moglie, infatti, colse nel suo sguardo tutto l’orgoglio dell’uomo di scienza. Un’euforia che sconfinava nella vanità.

- Cara Margarita – continuò il professore – tu non sai quanta fatica mi è costata la scoperta della pianticella! Mentre tu, povera moglie mia, ti annoiavi, che ben l’ho compreso che ti annoiavi, prendendo il sole da qualche parte nell’isola, io mi sprofondavo tra scogli e rovi alla ricerca della Giunchiglia.

- Ma tu, caro – chiese la donna – come facevi a sapere che l’avresti trovata, proprio, lì, sull’isola?

- Giusta domanda, cara la mia Margarita, giusta domanda. Certo è che non sapevo ancora nulla della giunchiglia, allora. Infatti, devi sapere, che a guidarmi nella ricerca, furono le api operose. Avevo notato fin dai primi giorni del nostro soggiorno sull’isola, che alcune di esse, le cosiddette bottinatrici, si recavano in perlustrazione tra le basse scogliere. Eppure non c’erano fiori da quelle parti, da cui trarre il nettare, e tutti sanno che le api non fanno mai nulla che non abbia uno scopo. Mi misi allora a ispezionare palmo a palmo tutto il territorio sorvolato dagli insetti melliferi, senza riuscire a scorgere l’ombra di un fiore qualsiasi. I luoghi, selvaggi e ventosi erano indubbiamente suggestivi, seppure privi di vegetazione. Per me, quindi, doveva trattarsi di un mistero. O le api si erano ammattite, andando a zonzo inconcludenti, oppure la soluzione si doveva celare da qualche parte. E io l’avrei scovata.

- E quindi? – chiese Margarita sempre più interessata.

- Ecco come ho fatto. Ho solo applicato un po’ di logica. Qualcuno, diciamo pure una spia, mi aveva soffiato all’orecchio che da un po’ di tempo un giovane pescatore veniva a trascorrere i pomeriggi sullo stesso scoglio dove ti sdraiavi a prendere il sole. Bè, naturalmente sulle prime ne fui turbato, ma poi mi son detto “che razza di marito noioso che sono! sempre in giro di qua e di la in mezzo alle boscaglie più impervie, invece di curarmi della mia giovane moglie!”. E pertanto riconobbi come fosse fatale che non assolvendo io ai miei compiti, ci avesse pensato qualcun altro.

Mentre il professore parlava, Margarita impallidiva visibilmente. La bocca aperta, gli occhi sbarrati, ebbe appena la forza di domandare:

- Tu sapevi allora?

- Non è questo il punto mia dolce consorte. Piuttosto lasciami terminare il racconto. Dunque, dopo la…diciamo, rivelazione? Si, mi sembrò naturale chiedermi quali fossero le circostanze che avevano favorito il vostro incontro. La scogliera dove andavi a sdraiarti era piuttosto scoscesa, bassa rispetto al piano stradale, impossibile da scorgere da terra…da terra, pensai, ma non dal mare. E quindi chi meglio di un pescatore solitario poteva scorgere una così amabile sirena mollemente abbandonata su uno scoglio?

- ma io…! – protestò Margarita.

- Si si, lo so cara quello che vuoi dire e io non ho alcuna intenzione di fartene una colpa. Lo so come vanno queste cose. La luce abbagliante, il sole a picco, l’azzurro del mare, la solitudine, eh! via, tutti lo sappiamo in fondo, perché scandalizzarsi? Siamo deboli, e un po’ egoisti, io per primo moglie cara, avendoti trascurata per le mie ricerche. Ma come dicevo dianzi, non è questo il punto. Sapere come il pescatore era giunto a te mi fu utile per intuire quale fosse il nascondiglio della introvabile pianticella. Fu una mattina. Deciso a svelare il mistero, presi un retino da farfalle e catturai alcuni esemplari delle api che scorrazzavano impudenti sulla scogliera. Me le portai a casa e lì non faticai a scoprire come fossero gonfie di nettare e completamente ricoperte di un bel polline dorato. Il polline non poteva certo essere piovuto dal cielo, pensai. Ma poi mi dissi, e perché no?

- Non ti seguo – balbettò Margarita.

- E già, all’inizio, io stesso non me ne capacitai, moglie cara. Sebbene conoscessi le api e tutti i processi d’impollinazione che le riguardano e in particolare quella entomofila, quella per farla semplice che consente ai fiori di trasmettere il polline dall’attributo maschile o antera a quello femminile detto stigma, tramite un insetto compiacente regolarmente retribuito con cospicue dosi di nettare succulento. Perché devi sapere e scusami la digressione, importante anche ai fini della storia, che la natura, tiene in alta considerazione l’economia, per cui se tu fai un certo servizio alla comunità, come l’impollinazione ad esempio, sarai ricompensato, come si fa nel commercio.

Insomma per farla breve, fu un’illuminazione. Ma per esserne certo mi occorrevano le prove.

Per questo ingaggiai il tuo bel pescatore con la barca. E così una mattina ce ne andammo soli soli per mare. Il ragazzo fremeva mentre gli chiedevo di bordeggiare la costa a pelo degli scogli sommersi. Non era il pericolo di fracassare lo scafo a preoccuparlo quanto piuttosto che lo trattenessi tanto da fargli saltare l’appuntamento con te, d’altronde sai come sono questi giovani: impazienti! Alla fine però fui premiato. In una specie di rifugio naturale, su una vasta e frastagliata falesia scavata profondamente in senso orizzontale per tutta la sua lunghezza, protetta dal sole cocente e dalle onde oceaniche, scorsi, aggrappata alla roccia, con le radici tenacemente fissate nelle fessure granitiche, una lunga teoria di fiorellini giallo pallido: le Giunchiglie di Mare. Come faccio a significarti quello che ho provato in quel momento? Non so se la nascita di un figlio produca una gioia altrettanto grande, non so. So solo che se il tuo giovane amico non mi avesse opportunamente fermato, mi sarei precipitato a raccoglierle convinto di poter camminare persino sulle acque.

Qui il professore fece una pausa restando assorto e silenzioso.

- ma le api? che c’entrano in tutto questo le api? – esclamò Margarita, rompendo il silenzio.

- Hai ragione – rispose pronto l’uomo ridestatosi da un pensiero che forse era sconfinato nel sogno - ho dimenticato di spiegarti il complesso sistema che assicura la sopravvivenza dell’ingegnosa pianticella. Questo sarà il colpo da maestro che mi farà raggiungere i vertici della scienza botanica, una scoperta davvero sensazionale ottenuta dopo lunghe e pazienti osservazioni. Vedi, cara Margarita, le api da sole non riuscirebbero mai a raggiungere le solitarie pianticelle. Per farlo dovrebbero zigzagare tra gli scogli, in mezzo a mille pericoli, fino a essere investite da qualche onda ché in quel tratto di costa il mare è sempre turbolento. E allora non potendo agire loro, le api, voglio dire, ci hanno pensato le giunchiglie stesse. Pof! La corolla che si richiude come un cannoncino, uno sbuffo e subito dopo una nebbia dorata invade l’orizzonte in modo che chiunque passi di là ne rimanga investito e completamente ricoperto. Le giunchiglie, cara, hanno imparato a sparare nuvole di polline, nell’aria. Ma a una sola condizione e con un sincronismo che mi riprometto di dimostrare nella relazione che invierò alla società botanica.

- Mi sono persa di nuovo – piagnucolò Margarita.

- Si, si – riprese il professore – ora concludo. Quello che voglio dimostrare è che le giunchiglie si attivano solo quando “sentono”, se così posso esprimermi, il ronzio delle api.

- Si – obiettò Margarita – ma tu hai anche detto che a fronte del servizio d’impollinazione gli insetti ricevono un premio. Ora tu hai dimostrato come fanno le api a ricevere il polline ma non come fanno a trasmetterlo da fiore a fiore, ché per questa operazione vi si dovrebbero posare in modo da prelevarne anche il nettare.

- Qui sta il bello! Come dicevo, le api non possono accedere alla riviera dove si nascondono le giunchiglie, per via dei marosi. Così la sorvolano sbattendo le alucce e rilasciando il polline che cade sui fiori più in basso, a caso, diciamo pure, ma abbastanza e comunque in quantità sufficiente da consentire il meraviglioso processo dell’impollinazione, in un equilibrio, come avrai compreso, estremamente delicato.

- E la retribuzione, il nettare promesso?

- Tutto calcolato. Se così non fosse, infatti, non avrebbe senso per le api percorrere la scogliera. Le giunchiglie stesse potrebbero sfruttare l’azione del vento anziché degli insetti. Tuttavia le graziose pianticelle sono delle raffinate e non amano le cose semplici. Se ricorrono alle api è perché il vento a quelle latitudini è incostante e il prezioso polline potrebbe disperdersi inutilmente. Per quanto riguarda il nettare, invece, credo che le cose stiano più o meno così. Si tratta di una funzione metabolica che si attiva quando le api, dopo essere state raggiunte dal polline, si mettono a sbattere le ali. E’ come se le giunchiglie, ottenuto il loro scopo, si eccitassero, a tal punto, da inondare con spruzzi di nettare gli amati insetti che compiuto il loro lavoro, torneranno a casa soddisfatti.

- E tutto questo – esclamò Margarita - per dei pallidi fiorellini semi-nascosti destinati a dipendere dal caso e dalla clemenza degli elementi ché sarebbe sufficiente una burrasca un po’ più forte per spazzarli via come non fossero mai esistiti. Raramente ho assistito a uno sforzo più grande per assicurare la sopravvivenza di una specie più insignificante.

- Ma per la natura – rispose gravemente l’uomo – ogni essere è un figlio prezioso e per lo scienziato ogni anelito di vita contiene un mistero da svelare. La bio-diversità, inoltre, costituisce una ricchezza per tutto l’ambiente tanto che il miele prodotto dalle api dell’isola è tra i migliori in assoluto con proprietà antisettiche davvero speciali.

- Ahhh!!– sospirò Margarita completamente rapita – La natura! è come una madre amorosa che non chiede altro che di essere riconosciuta.

- Già – l’assecondò il professor Blumen, sebbene una piega di leggera amarezza avesse deformato il suo labbro inferiore.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)