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Cinema

Grand Budapest Hotel

di Federica Fasciolo

Avventura e inquietudine, ironia e un’intelligente rappresentazione dell’animo umano, riescono a fondersi insieme alla perfezione

Monsieur G ustave, concierge al Grand Budapest Hotel nell’immaginaria Repubblica di Zubrowka nei primi decenni del 1900, viene accusato dell’omicidio di Madame D, una delle ricche signore che frequentavano l’albergo e con cui assai spesso egli intratteneva delle relazioni. La signora gli aveva lasciato in eredità un preziosissimo quadro, e ciò provocherà una dura e brutale battaglia tra i suoi avari figli e Gustave stesso.

Assi nella manica di Gustave sono Zero Moustafa, un giovane rifugiato da poco assunto nell’albergo, insieme ad Agatha, altrettanto giovane pasticciera del negozio di dolci Mendl’s.

   

Il mix tra teatralità e naturalezza che caratterizza questo (e non solo questo) film di Wes Andersen è perfettamente incarnato dalla figura del protagonista Gustave (Ralph Fiennes): egli conserva un animo onesto e fondato su solidi principi, e nonostante questa idea possa essere dubbia all’inizio, quando lo vediamo alle prese con le sue attempate – e molte – ricche amanti, capiamo ben presto che egli ama non tanto ciò che rimane delle loro grazie o le loro fortune (sebbene non le disdegni), quanto l’idea romantica di ricoprire un ruolo di amante e leale confidente.

Egli parla in un modo in cui gli uomini già a quel tempo non parlavano più, conserva un ideale di onestà e giustizia così profondo da risultare spesso, per l’appunto, teatrale. Eppure i suoi sentimenti rimangono indubbiamente reali, alla forma corrisponde la sostanza.

   

La ricerca di una famiglia o di persone che si possano considerare tali, pur non essendo centrale traspare chiaramente, così come l’inno al coraggio, alle capacità individuali che lottano contro le avversità e alla purezza: quella di Zero, per esempio, che data la mancanza di esperienza, di istruzione e persino di un documento valido potrebbe sembrare appunto uno zero e che, invece, mostrerà con le sue azioni di meritare molto più di ciò che ha sempre avuto.

L’altra faccia della medaglia sono gli eredi di Madame D. e quando dico che la lotta è brutale, intendo dire che lo è per davvero. Cadono teste (e anche qualche dito qua e là, per la precisione). C’è da guardarsi alle spalle. Perché anche se quella purezza può sopravvivere alla brutalità, non è detto che essa non esista e non possa essere mostrata, così come l’imminente guerra e l’insensibilità rivolta allo straniero.

“Grand Budapest Hotel” è fantasioso, spesso irrealistico nella forma eppure sempre coerente con se stesso e fortemente attaccato alla realtà nella sostanza, come Gustave.

Wes Anderson (Il treno per Darjeeling; Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore) si conferma con questo film un regista – nonché sceneggiatore – da continuare a seguire: il suo stile diventa ancora più riconoscibile e sviluppato in quest’ultima opera, in cui avventura e inquietudine, ironia e un’intelligente rappresentazione dell’animo umano, riescono a fondersi insieme alla perfezione.

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)