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Racconto

Astrosud

di Ruggero Scarponi

Il piccolo Weiss, che non aveva mai aperto bocca, si alzò improvvisamente in piedi, leggermente brillo. Tossicchiò quasi silenziosamente per l’ imbarazzo di quanto stava per fare e poi dopo essersi schiarita la gola e dopo aver bevuto ancora un goccio per farsi coraggio, disse:

- Un po’ di silenzio…

per favore – aggiunse intimidito per aver richiamato l’attenzione su di se.

Ora tutti gli occhi erano puntati su di lui e confesso che anch’io ero piuttosto curioso di sentire cosa avesse da raccontare il piccolo Weiss, quello che non apriva mai bocca.

- Ebbene – disse balbettando imbarazzato con le parole che facevano difficoltà a uscirgli dalla gola.

- Ebbene – ripeté mentre girava lo sguardo intorno su tutti quei volti che attendevano il suo discorso – Ebbene vorrei dire due parole, se permettete…su…- restò sospeso con la frase a mezz’aria in attesa di un cenno d’approvazione.

- Certo, parla! Ti ascoltiamo – lo incoraggiò qualcuno.

- Due parole – riprese il piccolo Weiss – su un nostro compagno che non è più tra noi…

A quel punto comprendemmo tutti che intendeva parlare di Kevas.

- Giusto – pensai a voce alta – giusto che qualcuno ci abbia pensato.

Infatti, quale migliore occasione della cena sociale dell’Astrosud, per ricordare il nostro miglior compagno, il più intelligente, spregiudicato e valoroso. Kevas era stato uno dei fondatori della società e la sua scomparsa, da poco più di un mese, ci aveva lasciati orfani di un amico e di una guida.

- Bravo! Bravo! – si gridò da più parti – Si – disse qualcun altro – parlaci di Kevas! È giusto ricordarlo, bravo figliolo. Tu non parli molto, ma stavolta hai trovato l’occasione giusta per farlo. Ti ascoltiamo.

Dopo tanti consensi, il piccolo Weiss si fece coraggio e cominciò.

- Purtroppo Kevas non è più tra noi, ma sono certo che se da qualche posto della galassia celeste può vederci e ascoltarci- e qui utilizzò un tono di voce più alto roteando gli occhi verso il soffitto come fosse il cielo - di sicuro la cosa che vorrebbe di più sarebbe un brindisi alla sua salute.

- Evviva! –Gridarono in molti – Evviva, bravo, un brindisi, si!

Molti bicchieri si riempirono e tintinnarono.

Poi dopo una breve pausa Weiss rovesciò risoluto la testa indietro e ingollò tutto il contenuto del bicchiere in un fiato.

- Alla salute! – Esclamò strabuzzando gli occhi –

- Alla salute – rispondemmo tutti all’unisono.

- Bene – continuò il piccolo Weiss che era rimasto un po’ frastornato e stentava a riprendere il filo del discorso – bene – disse cercando di fissare le idee prima di esporle – per prima cosa devo farvi una rivelazione…

Subito tutti ci guardammo l’un l’altro con meraviglia – una rivelazione? Il piccolo Weiss deve farci una rivelazione? Che cosa può sapere che noi già non si sappia, lui che non aveva mai aperto bocca fino a stasera.

- Una rivelazione – confermò serio e determinato – su Kevas…

- Kevas? - esclamammo stupefatti

- Kevas – disse Weiss – e…me.

Ora eravamo veramente curiosi di sapere. Il piccolo Weiss conservava un segreto che aveva a che fare con il nostro grande compagno Kevas e per di più un segreto che li riguardava entrambi.

- Cosa? – domandò qualcuno – cosa Weiss, parla.

- Si parlo, anche se voi mi avete sempre considerato una nullità…

- Ma non è vero, perché dici questo? – protestammo.

- Voi- si lamentò - dite sempre: Weiss quello che non apre bocca, il piccoletto, l’insignificante Weiss…

- Cosa c’entra questo? – Piuttosto cosa devi rivelarci?- brontolò qualcuno.

Weiss ascoltava il brusio che andava montando, cercando di reprimere il singhiozzo che gli si era fatto molesto.

- Anche se sono ubriaco, cioè, quasi, amici – piagnucolò – quello che sto per dirvi è vero…

- Non temere – disse sempre qualcuno dal gruppo - noi ti crediamo, sulla parola.

- Allora dovete sapere che Kevas e io…

S’interruppe di colpo mentre nella sala l’atmosfera si era fatta di piombo.

Ora tutti non solo volevamo ma esigevamo di sapere. Il piccolo Weiss stava menando il gioco per le lunghe, troppo, per i nostri gusti.

- Dicevo, Kevas e io ultimamente…si stava insieme, ecco… l’ho detto.

Nella sala il silenzio si fece ancora più spesso, se possibile.

La rivelazione era grossa.

Bisogna sapere, infatti, che nonostante Kevas fosse un nome da uomo, in realtà era una donna.

Ma definirla donna non era semplice in quanto delle donne a parte l’anatomia degli organi riproduttivi, non aveva altro. Intanto il fisico, da boscaiolo. Parlava come un uomo, lavorava come e più di un uomo, faceva a pugni meglio di un uomo, ma soprattutto era un compagno nel senso maschile del termine, uno che per difenderti si fa ammazzare all’occasione.

Ora cercate di capire, una così, come si fa a immaginarla nella sua qualità di femmina con un tipo tutto delicatino, come il piccolo Weiss. Tra l’altro uno che non apriva mai bocca. Tanto che viene spontaneo domandarsi: quando sarà successo che i due, si, insomma, si saranno pur detti che si piacevano, no? Non ce la faccio a immaginare Weiss che ferma Kevas che oltretutto lo superava in altezza di due spanne, per invitarlo a uscire. E Kevas? mi pare impossibile che sia rimasto folgorato da quel topolino dagli occhi piccoli e acquosi.

Ah! Strana davvero la vita! Il nostro Kevas innamorato! Chi l’avrebbe detto?

Basterebbe ricordare cos’era Kevas per tutti noi.

Kevas era stato il fondatore dell’Astrosud, una sorta di filibusta interplanetaria specializzata nel contrabbando e in ogni sorta di attività illegale. L’Astrosud era solo la facciata onesta, indispensabile per evitare di venire ai ferri corti con i federali. Loro ci lasciavano indisturbati ai nostri affari nella periferia sud della galassia e noi in cambio non gli davamo noia su ai quartieri alti, nei pianeti del nord. In più, avevamo cura di non gli fargli mai mancare qualche extra. Poi per la decenza, ogni tanto ci dovevano appioppare qualche multa o qualche confisca ma sempre per roba di poco conto. Così ognuno aveva trovato il suo modo di vivere in pace senza problemi.

Ma il nostro Kevas oltre a essere il fondatore dell’Astrosud era anche il più gran figlio di asteroide che sia mai comparso a memoria di nebulosa. Non era uno che rispettava i patti. Non ci pensava proprio, era troppo furbo. Se faceva contrabbando al nord? Sicuro. E sapete perché? Perché era l’attività più lucrosa in assoluto e poi perché era l’unico che sapeva usare le fionde cosmiche. I federali se ne stavano tranquilli come degli allocchi pensando che noi del sud per praticare il contrabbando al nord avremmo dovuto spendere troppo in propellente e in tempo. E quindi per dovere si limitavano a pattugliare il centro della galassia, zona appetibile per le nostre astronavi e i nostri commerci illeciti. Ma Kevas li fregava ben bene a quei signori e li fregava con le loro stesse mani. Pensate che era capace di usare le scie dei satelliti artificiali che i federali mettevano in orbita per controllare proprio i nostri traffici, per ricevere la spinta necessaria all’astronave per arrivare a destinazione. Un mago signori, il nostro Kevas.

Per questo ci sembrava inverosimile che un tipo del genere potesse finire a pomiciare con uno insulso che per di più non apriva mai bocca.

- Io… – riprese il piccolo Weiss visibilmente turbato.

- Io… – si sforzava, ma senza riuscire a parlare, da che non riusciva a trattenere una sorta di pianto quasi isterico.

A quel punto, allora, nel silenzio profondo della sala mi sentii in dovere di alzarmi per andare a confortarlo.

- Su, amico – dissi – non fare così – purtroppo nel nostro mestiere certe cose possono accadere, si sa, anche ai migliori come Kevas.

Ma il piccolo Weiss ora era in preda a un pianto irrefrenabile.

- È colpa mia, è colpa mia! – urlava.

- Io…io, - continuò accorato - il piccolo Weiss che non apriva mai bocca! E voi che pensate che stasera abbia parlato per la prima volta!-

Noi, veramente lo ascoltavamo perplessi non sapevamo cosa pensare di quello sfogo.

- Io… - continuò

- sono io che l’ho perduto il mio Kevas!- Esclamò alla fine con una sorta di conato rabbioso con gli occhi iniettati di sangue e sul punto di uscirgli dalle orbite.

Noi tutti restammo pietrificati a guardarci l’un l’altro senza saper come interpretare quelle parole atroci.

- Che significa? spiegati – provai a suggerirgli con dolcezza.

Weiss però, completamente fuori di sé, si gettò tra le mie braccia nascondendo il volto sul mio petto, piangendo e singhiozzando senza riuscire a fermarsi.

Allora, protettivo, lo cinsi con un braccio intorno alle spalle nel vano tentativo di consolarlo ed esortarlo a riprendere il controllo.

Ma proprio in quel momento un tremendo boato e un lampo accecante mi abbagliò completamente.

Senza neanche sapere come mi trovai inondato di sangue con il piccolo Weiss che mi pesava morto tra le braccia.

L’episodio ci sconvolse a tutti, noi della filibusta. Dietro, pensammo, si doveva celare un qualche gran segreto il cui peso aveva finito per schiacciare il piccolo Weiss.

Ma passato del tempo qualcuno ci svelò l’intera vicenda.

- È stato lui – ci confermò qualche tempo dopo un ufficiale dei federali con il quale eravamo in affari – è stato il piccolo Weiss a spifferare, una sera che aveva bevuto, in un bar, dalle parti della galassia centrale dove si era recato per lavoro, istigato, forse, da alcune spie. Non era abituato a bere, non lo faceva mai, ma quella sera, chissà perché, si lasciò tentare e tra un bicchiere e l’altro e già parecchio alticcio, si lasciò sfuggire qualcosa delle rotte segrete che percorreva Kevas. Da che ai federali non gli parve vero di fare il colpaccio e alla prima occasione gli tesero un agguato e lo fecero fuori.

È stato lui, - confermò l’ufficiale mentre trangugiava un bicchiere di acquavite - quello piccoletto, quello che non apriva mai bocca.


Racconti d’altri tempi  

Li Spusi

di Agnolo Camerte


Capita ancora oggi, girovagando per le belle colline marchigiane, di vedere , dipinti sui muri delle case o accanto ai fontanili, dei grossi fiaschi, con accanto il nome di un uomo o di una donna….

Rappresentano quel che resta dell’antica tradizione dei murales, specie di affissioni o giornali murali utilizzati per comunicare a tutta la comunità le notizie più importanti. Con quei fiaschi ancora si vuole render nota e dileggiare la disavventura amorosa di un lui o di una lei respinti dall’amato\a e per questo portati un po’ in giro dagli amici….La chiamano l’impajata…

Quando il raccolto era stato buono e le famiglie come dicono in gergo si erano un po’ “impossessate” a settembre fiorivano i matrimoni……Come si dice..paese che vai usanza che trovi…..

Le due famiglie si riunivano e le due vergare (le padrone di casa che avevano in mano i cordoni della borsa) discutevano l’organizzazione del matrimonio e della festa. Era un gesto di buona creanza scambiarsi i costi del corredo di nozze e naturalmente dove si andavano ad effettuare gli acquisti? Nel migliore negozio della zona che era quello di Gigetto e Delia. Andare a teatro non era altrettanto divertente come assistere a quelle compere…….Si capiva sempre chi delle due vergare era più avara dell’altra. Ricordo un episodio che mi fa ancora sorridere..La madre dello sposo chiese: ”Delia, che dici, ce vole per la spusa ‘na viancheria adatta per la prima notte no?-Certamente, lei rispondeva, ecco guarda che bella questa con i pizzi..(al che lo sposo regolarmente si girava per non vedere…arrossendo). Poi lo sposo chiese sottovoce a Gigetto di consigliarlo : ci voleva per lui una bella cravatta….magari rossa! Ma no! Lui rispondeva, ci vuole questa tinta unita che è da cerimonia! Va bene, ma ci vogliono pure un paio di mutande da cerimonia…..Da cerimonia? Si! La prima notte sai….Ha ho capito, dici i boxer di popelin….Al che intervenne subito la vergara dell sposa, quella tirata, il braccino corto, che disse: “ma anche le mutande?!” Ma che ce fai tu, che manco tanto non le porti!... “ Insomma erano proprio momenti da sbellicarsi dalle risate……Ma le nozze si preparavano molto seriamente e con l’aiuto di tutto il parentado dello sposo e delle sposa. Non si dovevano fare figuracce.

Il viaggio di nozze non esisteva: la sposa dopo un pranzo di nozze che durava almeno mezza giornata (usciti dalla Chiesa si mangiava sino a notte fonda…) si ritirava nella casa dello sposo, mentre sotto la camera nunziale , gli invitati continuavano a mangiare, cantare e ballare il saltarello sino a notte inoltrata. Praticamente così facevano loro come una serenata di nozze. L’organetto faceva da colonna sonora allo stornellatore, capace di inanellare strofe, rime baciate, sberleffi, rime a sfottò, per tutta la notte. Questa antica tradizione che ancora oggi chiamano “canti a batocco” oltre ad essere simpaticissima, era sorprendentemente tramandata dagli stessi contadini che lavoravano la terra. Quelle loro mani grosse, callose, abituate alla fatica dei campi, suonavano quegli organetti con i tasti a bottone ad orecchio, in modo assolutamente magistrale. Alcuni ancora oggi perpetuano questa tradizione..Torniamo però agli sposini che trascorrevano la loro prima notte di nozze con la festa rumorosa dei loro amici e parenti sotto le loro finestre…….Non per tutti però la festa era rose fiori…

In quel periodo settembrino di nozze frequenti,Franceschino fu comandato una sera dalla sua Vergara(la moglie) di andare la mattina presto al mulino con un sacco di grano da macinare. Era finita la farina. Franceschino all’alba partì per andare al mulino di Caputo, per la bisogna…( n.d.r in dialetto caputo significa entrato) Arrivato vide che il mulino era chiuso, pure le finestre erano chiuse…..Franceschino non sapeva della festa di nozze terminata all’alba; si mise perciò a bussare sul portone sotto le finestre “nunziali” , gridando c’è Caputo, c’è Caputo?.....Dopo un po’ si aprì la finestra e lo sposo arrabbiatissimo e urlando gli disse “screanzato, vattene via se no ti faccio vedere io! “ Si ritirò e poco dopo con la doppietta caricata a sale, scaricò due colpi in aria!......Povero Franceschino, senza averci capito nulla scappò via come una lepre, spaventato e deciso oramai a cambiare mugnaio; anche se l’altro era più lontano!......Equivoci causati dai dialetti e dai cognomi!

I matrimoni , soprattutto quelli celebrati nelle campagne, restano degli avvenimenti, feste celebrate secondo tradizioni antiche, che stranamente conservano la loro caratteristica gioiosa tradizione di tanti anni fa.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)