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Cinema

Parigi e Pasolini:
ed è subito «Roma»

mostra sull’artista italiano
“più scandaloso del XX secolo”

di Giada Gentili

A Rue de Bercy, Parigi, tra una brasserie e un giardino dove i ragazzi fanno skate e disegnano graffiti, c’è Roma. Non tutta ovvio, solo la Roma letteraria degli anni ’70 e ’80, la Roma dei cantautori in dialetto, come Laura Betti, la Roma drammatica della guerra e quella dei continui terremoti del Sessantotto.

Queste e molte altre inquadrature della città eterna sono state catturate, immortalate e descritte da Pierpaolo Pasolini, a cui la capitale francese ha dedicato la mostra: « Pasolini. Roma» aperta da Settembre a Novembre presso la cinémathèque française.

Un viaggio nelle vita dell’artista che da Casarsa della Delizia arrivò a Roma giovanissimo.

Conobbe la fame e la disperazione della guerra, in cui perse il fratello, Guido, Un anno fa eri uguale/ e ora ti calpestiamo estranei, e tu rimani inerte ?/ Non senti che il cielo ? (Pasolini sulla morte del fratello).

È negli anni ’50 che arriva con la madre a Roma e dopo i primi difficili anni di fame e stipendi miseri inizia a lavorare nel cinema e come scrittore.

Le sue continue discese e salite dall’olimpo degli artisti iniziano proprio con la pubblicazione del suo primo romanzo, sulla prostituzione omosessule maschile: «Ragazzi di vita», che ottenne grande successo di pubblico ma ricevette pessime critiche.

Tante sono le lettere originali, lungo la mostra, in cui viene descritta, a tratti brutale e poi dolce, il rapporto con la sua omosessualità «Sono riuscito a sopravvivere», scrive Pasolini nel ’48 ad un amico, «salvando capra e cavoli: cioè l’eros e l’onestà».

   

Gli anni dietro la macchina da presa non sono certo una passeggiata e avanzando nell’esposizione è ancor più evidente visivamente (piuttosto che il solo leggerlo in una biografia) che (quasi) ad ogni film, o libro, o sceneggiatura corrispondevano scalpore e denunce: articoli originali e di diverse testate riempiono un interno muro sulle trafile giudiziarie dell’artista.

Scorrono in una sala le immagini di «Mamma Roma» e per qualche momento, solo grazie a un paio di cuffie e un audio registrato da Pasolini all’epoca , ci si ritrova in una stanza con la Magnani e lo stesso regista che discutono di una scena girata il giorno precedente, su quanto la riuscita non sia piaciuta all’attrice, «ma nun me piace esse definita cosi lo sai» dice la Magnani, e sul lavoro da regista di Pasolini che va bene per i ragazzi che non hanno mai recitato, prosegue Mamma Roma, ma non per lei che aveva esperienza.

Pasolini che del cinema scrive : «È una lezione oggettiva : anche nel film più modesto il personaggio e il fatto più modesto esistono oggettivamente in una realtà che, nel peggiore dei casi, è interpretata secondo il senso comune», e per il grande schermo realizzò «L’accattone», film che ebbe il primato di film italiano vietato ai minori di 18 anni, « Uccellini e uccellacci» che incontrò il plauso e la difesa di Rossellini ; e il lavoro sui dialoghi al capolavoro di Federico Fellini «Le notti di Cabiria».

   

Percorrere la mostra è toccare con mano l’artista e l’uomo che fu Pasolini, nella sua tormentata relazione con Ninetto Davoli, la sua devozione verso la madre e il senso di gratitudine verso gli amici che sempre l’hanno difeso.

Pasolini fu ucciso il 2 Novembre 1975 in circostanze che tutt’oggi non sono state chiarite.

Le ultime parole che si ascoltano prime di uscire da “Roma” sono quelle di Alberto Moravia al funerale «di poeti ne nascono due o tre in un secolo. Il poeta dovrebbe essere sacro per una nazione».


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)