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Cinema

Mai su questi schermi

Inquadratura sul cinema italiano indipendente

di Giada Gentili

Nei primi due appuntamenti abbiamo presentato due registi di professione (Stefano Landini e Gianni di Gregorio) nella vita.

Questa settimana parlo con Fabio Rosi, regista di professione sì, ma fino a 10 anni fa.

Oggi invece fa il restauratore di film per il Centro Sperimentale di Cinematografia, è tra i giurati dei David di Donatello e del Gallio Film Festival del cinema italiano opere prime (http://www.galliofilmfestival.it/).

Capire il cinema indipendente è anche osservarlo dietro le quinte, dal punto di vista di chi vede i film di coloro che per la prima volta affrontano un'esperienza da regista.

Scheda tecnica

Fabio Rosi nasce nel 1964, si laurea in Lettere Moderne all'Università La Sapienza di Roma; studia a New York Film-Making e si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. E' stato poi assistente di Lina Wermuller e Mario Monicelli e, dopo aver lavorato con il Dipartimento Scuola Educazione della Rai per “L'occhio sul cinema”, si occupa di restaurazione di film per il Centro Sperimentale di Cinematografia.

Dopo aver girato diversi cortometraggi: “Stesso posto stessa ora”, “Prova d'attore” e “Affetto per sempre” esordisce con “L'ultima lezione”, il suo primo lungometraggio nel 2001.

La trama si ispira alla figura di Federico Caffè, economista italiano scomparso misteriosamente e di cui non si sono più ritrovate le tracce, e di due suoi alunni, Andrea e Monica, che tentano di capire che fine abbia fatto.

   

Il film vince Il Globo d'oro per la miglior opera prima e il Sacher d'oro per il miglior attore protagonista.

Sei passato dalla regia di corti al lungometraggio. Perché?

Diciamo che i corti sono più facili da gestire, soprattutto dal punto di vista economico, sono auto-gestibili. Il passaggio al lungo è avvenuto dopo aver vinto qualche concorso con i cortometraggi e quindi quando avevo qualche soldo da parte. Volevo inoltre sperimentare qualcosa di più sostanzioso.

In cosa differisce la regia nei corti rispetto ad un lungometraggio?

L'approccio e lo stile registico rimane lo stesso ma nei corti che ho girato, la troupe, se così posso definirla, era formata dai miei compagni di corso del Centro Sperimentale, quindi una stessa persona si occupava delle luci e della fotografia, ad esempio.
Nel film invece c'erano molte persone da coordinare, l'organizzazione era più decentrata.
Un'altra differenza è che nei miei corti c'era meno preparazione preventiva; mentre per L'ultima lezione, un po' perché era il mio primo lungo, un po' per carattere, ho preparato minuziosamente tutto prima di andare sul set, ho evitato l'improvvisazione e la sceneggiatura, salvo rari casi, era ferrea su tutto.

La scelta del tema per il tuo primo lungometraggio è curiosa, per la figura di Federico Caffè, praticamente sconosciuto in Italia se non per gli addetti ai lavori. Perché proprio questo personaggio?

La mia idea era di portare sullo schermo la vita universitaria in genere, di ciò che succede quando si passa da un ambito protetto, il liceo, a quando si arriva in un ateneo e si diventa uomini. Lo scopo, sicuramente pretenzioso, era di realizzare un film di formazione.
Volevo inoltre girare un film impegnato, anche drammatico, nonostante i miei precedenti corti siano tutti delle commedie. E' stato poi per caso che mi sono imbattuto nel libro di Emanno Rea L'ultima lezione, diventata poi la prima fonte da cui ho attinto per scrivere la sceneggiatura.

La sceneggiatura è scritta a più mani (Fabio Rosi, Massimo Martella, Stefano Marcocci, Domenico Tomassetti, Salvatore De Mola, Gianni Mastrangelo) come si procede quando si è in così tanti a lavorare su un testo?

In realtà devo sottolineare che solo io, Tomassetti e Marcocci abbiamo scritto la sceneggiatura iniziale, gli altri tre sono coloro a cui ho voluto farla revisionare. Martella, De Mola e Mastrangelo infatti non hanno neanche mai incontrato i primi due perché è stata una mia scelta volerla mostrare a diverse persone per arrivare poi ad una versione definitiva.

Visti i tuoi studi all'estero pensi sia necessario oggi, per una persona che vuole intraprendere la carriera nel mondo del cinema, studiare in America?

Se mi avessi fatto questa domanda negli anni '80, quando l'ho fatto io, ti avrei risposto di sì, perché allora in Italia non c'era l'approccio pratico che ho riscontrato invece in America. Lì mi hanno messo una cinepresa 16mm in mano e mi hanno mandato a girare, esperienza impensabile nel nostro paese allora. A parte il Centro Sperimentale, che comunque non raggiungeva i livelli americani in quegli anni, non c'era nulla di equiparabile.
Oggi invece ti rispondo di no per ciò che riguarda il cinema: la tecnologia offre, a chi vuole, così tanti mezzi che non c'è bisogno di andare oltre-oceano; ma per un'esperienza di vita consiglierei a chiunque di andarci.

Nel tuo caso il sostegno di una casa di produzione indipendente, la River Film, è stata fondamentale per realizzare il film. Come può un giovane oggi fare lo stesso senza le grandi distribuzioni?

Oggi è tutto diverso. Si può fare un film indipendente o “fatto in casa” senza bisogno di passare per le produzioni per lo stesso motivo di cui parlavo prima: oggi ci sono più mezzi.
La differenza, parlando di difficoltà di realizzazione, tra ieri e oggi, è che prima c'erano meno film perché era trovare soldi per avere i famosi mezzi era più difficile; oggi però è così facile farne che le distribuzioni, piccole e grandi, si trovano di fronte un mare sterminato di opere prime e c'è quindi molta più competizione e difficoltà di essere notati.

Questo puoi affermarlo anche perché lo vivi in prima persona, essendo tra i giurati e organizzatori del Gallio Film Festival del cinema italiano opere prime?

Esatto. Sono stato testimone del passaggio dai film in pellicola a quelli degli ultimi anni. Oggi è vero che c'è un'ampia scelta ma questo comporta una grande quantità di film inguardabili. Negli anni passati c'erano una, due opere prime, oggi ce ne sono cinquanta. Si vedono più cose, molto originali ma molte, troppe, di bassa qualità.

Discorso diverso è per i David di Donatello immagino.

E' problematico in modo diverso. Anzitutto proprio per la vastità di opere la selezione è difficile e, arrivati ai David, il film ha comunque delle difficoltà ad uscire nelle sale ed arrivare alle grandi distribuzioni. Se L'ultima lezione fosse uscito oggi non so se avrebbe avuto lo stesso successo, si sarebbe trovato in un calderone troppo grande.


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