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Racconto

Il Segretario Generale

di Ruggero Scarponi

- Ohi, Ohi, Ohi! - Ohi! Ohi! Ohi!
Povero me! Come faccio adesso, chi mi pagherà lo stipendio?
Tutti se ne sono andati. Maledizione!
Signore, scusi, ma lei ha idea di chi mi pagherà lo stipendio? Qui non c'è più nessuno, sono scappati via tutti come se il diavolo li stesse inseguendo. A chi dovrei rivolgermi, secondo lei, per avere i miei soldi, ora che non c’è più nessuno qui?
Chi mi pagherà lo stipendio questo mese? –

A parlare era un ometto piccolo e impaurito con indosso una divisa da usciere che mi venne incontro non appena feci il mio ingresso nella grandiosa hall della Sede Centrale del Partito.
Alla richiesta dell'uomo, risposi facendo cenno di no, con la testa, che non sapevo nulla dei fatti suoi e senza aprire bocca lo scansai e mi avviai verso la rampa che conduceva al primo piano.
Lì si trovavano gli uffici più importanti, compreso quello del Segretario Generale.
- Ma non può salire, di sopra. Non può andare…-
Mi apostrofò, senza troppa convinzione l'ometto, da giù, dall'androne del palazzo.
– E’ vietato, per salire dovrebbe dire chi è... farsi annunciare...-
Terminò la frase bofonchiando. Egli stesso doveva essersi reso conto dell’assurdità della richiesta. Nel Palazzo non c’era più nessuno.

Raggiunsi a passo svelto l'ufficio del Segretario.
Il pavimento del lungo corridoio che vi conduceva era cosparso di una quantità di materiali in disordine, di fogli e documenti scompaginati, relazioni e atti amministrativi del Partito sparpagliati per ogni dove.
Ero pervaso da un’ansia febbrile, dovevo sbrigarmi, fare in fretta, prima che a qualcuno venisse in mente la stessa idea che era venuta a me. Intorno c’ erano evidenti, tutti i segni di una fuga precipitosa.
Nell'ufficio poi, era ancora peggio. Un disastro, come se vi fosse passato un tornado. Mobili e sedie rovesciate. A terra c'era di tutto.
Tra le altre cose riconobbi, completamente frantumata, la celebre penna stilografica con la quale il Segretario Generale era solito firmare gli accordi importanti, ripresa tante volte in primo piano dalla televisione.

L'ometto mi seguì. Si affacciò alla porta dell'ufficio e con la faccetta grinzosa e gli occhietti piccoli e vuoti continuò a recitare come un idiota, la sua insopportabile filastrocca.
- Ohi, Ohi, Ohi, Signore, spero proprio che almeno lei possa aiutarmi. Secondo lei cosa dovrei fare, da chi dovrei andare per farmi pagare lo stipendio perché vede, è che non so proprio come fare questo mese se non ricevo lo stipendio. Ho degli impegni io. E' sicuro di non sapere a chi dovrei rivolgermi?
Per un attimo si arrestò pensieroso per poi riprendere implacabile.
- Ma questo posto, secondo lei, mi dica, non è come un ufficio statale? E' la sede Centrale del Partito, come fosse lo “stato”, no?
Dovrebbe essere garantito lo stipendio di un lavoratore come me che sono sempre il primo ad arrivare. Deve sapere Signore che io di regola, dovrei prendere servizio alle sette del mattino. Ma per compiacere il Signor Segretario Generale, ci sono da almeno un'ora prima a fare il mio lavoro e tutti i giorni, mi creda. E ora vorrei avere solo quello che mi spetta...
Ohi, Ohi, Ohi!
Mentre il terribile seccatore continuava a lamentarsi, io mi stavo dando da fare nella ricerca spasmodica tra montagne di carte raffazzonate, faldoni squinternati, registri e protocolli.
Continuavo a cercare, tra i tanti documenti, mentre l'ometto con petulanza si ostinava a parlarmi dei suoi guai.
Alla fine spazientito risposi.
- Ma cosa vuole che ne sappia? Non sono mica del Partito io, sono un giornalista...Per favore mi lasci fare il mio lavoro, si rivolga per le sue cose all'Ufficio Cassa, all'Amministrazione, se ce n'è una, o che so io, veda lei, ma mi lasci in pace, per favore.
- Un giornalista?- Esclamò l'usciere pieno di meraviglia
- Ah! Lo dicevo io. Mi era sembrato, infatti, che non era uno del Partito!
Li conosco bene quelli, io. Praticamente li conosco tutti!
Sa, sono tanti anni che sono qui e ne ho vista di gente passare!
Eh! Eh! – ridacchiò
– Andavano tutti su. Tutti volevano parlare con lui , sapesse Signor mio, a quanta gente ho fatto fare anticamera...
Lo bloccai con un gesto eloquente.
- Che cosa vuole che m'interessi tutto questo...?-
Sbottai, infastidito, senza neanche alzare la testa.
-Eh! Eh! Quanta anticamera facevano prima di poter passare...-
Continuò imperterrito
- Gente importante anche, che crede? E finché non concedevo il permesso io, tutti qui, seduti, sulla panca di legno di fronte a me ad aspettare, come tanti scolaretti. Era come se dipendessero da me e mi scrutavano, ansiosi di scorgere il cenno che gli avrebbe permesso di salire su da lui e questo li faceva andar fuori di testa per la rabbia e mi guardavano torvi, con sguardi pieni di risentimento! Sapesse allora caro Signore, i grugniti, i sospiri d'impazienza, di tutti quei signori importanti! Ma zitti, tutti zitti e buoni, in attesa che lui si degnasse di riceverli.
Eh! Eh! - ridacchiò di nuovo, al ricordo, quasi con le lacrime agli occhi.
-Però le signorine no, signor mio, quelle, avevano una corsia preferenziale, sicuro! Eh! Eh! Avevano un modo di fare quelle...
- Ehhhh!- sospirò il vecchietto - tutte quelle signorine...Com'erano belle! Venivano con certi abiti fruscianti e certi profumi…! E come sorridevano...Sembrava che dietro a ogni sorriso si celasse la promessa di un pezzetto di Paradiso...Che donne! Eh! Che tempi, bei tempi quelli, quanta bella gente che veniva...E...
Stava per continuare quando lo interruppi:
- D'accordo. Ha finito? Adesso che ha rivangato il suo bel tempo andato, vorrebbe essere tanto gentile da lasciarmi lavorare in pace? –
Lo dissi quasi con dolcezza, nella speranza che cambiando tono, riuscisse più efficace la mia richiesta.
- Però lei, eh, - insistette tenace - mi sembrava…Non volevo dirlo, ma mi sembrava proprio che col Partito lei non c'entrasse per nulla - e dopo una breve pausa - Un giornalista ha detto…Un giornalista…- ripeté come se stesse riflettendo su qualcosa di vagamente familiare - non volevo dirlo, io, - continuò pensieroso - ma mi sembrava proprio...
All’improvviso mi piantò in faccia i suoi occhietti di ghiaccio.
- Un giornalista…- ripeté ancora – Uno…dei suoi…dei suoi…di lui, cioè - Mormorò allusivo.
Allora mi fermai e gli chiesi a brutto muso:
- Che intende con quel “uno dei suoi”?
Mi osservò attentamente prima di rispondere.
- Uno…Di quelli che gli scriveva per il suo giornale…O sbaglio?-
Insinuò maligno.
Rimasi un istante perplesso. Mi rifiutavo di giocare al suo gioco, per cui tagliai corto.
- No, no, guardi con me non funziona e si sbaglia di grosso, se crede di farmi passare per un lecchino. Pur lavorando nel suo giornale, io non sono mai sceso a compromessi, non mi sono mai venduto e sono stato chiaro fin dal principio. Ho sempre svolto il mio lavoro con piena coscienza e autonomia…Per cui…
- Eh! Eh! – ridacchiò beffardo
– allora vorrà dire che lei era, come dite voi giornalisti, “una voce fuori dal coro” Eh! Eh!Non è vero? Fuori dal coro! Dite così, no? Voialtri? Eh! Eh! Che ridere!
A quelle insinuazioni non resistetti e mi ribellai con veemenza.
- Ma come si permette pezzo d’animale. Io sono un professionista serio e affermato, badi a come parla, screanzato!
- Un professionista, certo, come no! – Esclamò sardonico. - Che però appena le si è presentata l’occasione, appena ha annusato che il vento era cambiato, è venuto di corsa al capezzale… per rubacchiare…
- Ma senti questo che razza di impudente! – replicai - Quello che cerco io non è per lucro. A me personalmente non me ne viene nulla, ma abbiamo, noi giornalisti, il dovere di render noto ciò che appartiene alla storia di questo paese, e il paese ha diritto di conoscere certe cose, per cui caro lei questo non è rubacchiare, come dice.-
Mi arrestai un istante, emisi un profondo sospiro e ripresi:
- ma tanto che sto qui a perdere tempo. Che parlo a fare! Non credo proprio che uno come lei possa comprendere la differenza tra le due cose…
Ma il piccoletto non mollava e come avesse dimenticato completamente la nostra disputa, riprese pervicace le sue lamentazioni.
Ohi! Ohi! Ohi! - piagnucolava straziante
- E lo stipendio, adesso a me chi me lo deve pagare?
Poi come se si fosse ricordato di qualcosa, mi puntò di nuovo in faccia i suoi occhietti piccoli e gelidi e mi chiese quasi mellifluo, insinuante:
- Ma lei che è un giornalista, di sicuro potrebbe informarsi, conoscerà tanta gente col mestiere che fa, al Parlamento, magari anche al Governo, glielo dica, glielo dica sa, a quei signori che mi debbono pagare lo stipendio, se no come faccio ad andare avanti questo mese?
Me lo promette, che glielo dice?- concluse.
Ne avevo abbastanza. Decisi che non volevo più ascoltarlo e ostentatamente lo ignorai.
E mentre continuava a blaterare mi avvicinai alla finestra.
Si era a metà pomeriggio, un freddo e ventoso pomeriggio di febbraio.
Nel palazzo molte finestre erano state lasciate aperte e le gelide folate di vento si intrufolavano nelle stanze e nei corridoi facendo sbattere porte e mulinare cumuli di carte, polvere e cenere di sigarette. Vi si respirava acre l'odore della “caduta”. Di sotto nella Piazza antistante al Palazzo era il deserto. Dopo il clamore della mattinata, la manifestazione di protesta, i tafferugli, ora tutto taceva. La bandiera del Partito, altre volte orgogliosamente sventolante, penzolava mesta e a brandelli, quasi avvinghiata all'asta, dal balcone dell'ufficio da dove innumerevoli volte si era affacciato il Segretario Generale per annunciare le tante vittorie elettorali.
(Inizio seconda parte)

Un poco distante però nei pressi del vicino Hotel si udivano distintamente le urla e le imprecazioni della folla. Di sicuro un nutrito cordone di polizia stava a presidio dell' incolumità del gigante abbattuto, finito nella polvere e che all'insorgere dei primi tumulti era corso a rifugiarsi nell'albergo, dove risiedeva abitualmente durante i soggiorni nella capitale, vicino alla sede del partito.
A un certo punto l'ometto si avvicinò anche lui alla finestra e tendendo l'orecchio e ridacchiando disse:
- Li sente Signore ? –
Distrattamente feci cenno di sì.
- Sente come urlano? Quanti insulti! Eh! Eh!
- Si sentono persino da qui.
Poi mi si avvicinò e con cautela mi chiese:
- Scusi, se mi intrometto, ma cosa sta cercando con tanto interesse?
- Niente che la riguardi - risposi acido e indispettito.
- perché vede - continuò quasi suadente - visto che questo mese nessuno mi pagherà lo stipendio, forse se le do una mano...Insomma a questo punto non credo di tradire la fiducia di ...
Guardai stupito il personaggio. Da subito mi era stato antipatico col suo blaterare e lamentarsi di continuo senza minimamente rendersi conto del dramma che stavano vivendo la nazione, il partito per il quale prestava servizio e soprattutto il Segretario Generale, assediato da una folla inferocita che un tempo e neanche tanto tempo prima l'aveva osannato. Era intollerabile che non riuscisse a vedere al di là del proprio naso. Chiuso nell'egoismo del suo stipendiuccio da usciere di mezza tacca. Proprio un bel tipo pensai. Dunque, così è l'animo umano, ci vuole così poco a tradire un capo! Basta appena uno stipendio di arretrato!
- Veramente sto cercando un documento riservato – risposi con l'aria di chi sta facendo qualcosa che l'altro non potrà mai arrivare a comprendere.
- E sono determinato a trovarlo, per cui non mi si metta di traverso...per favore - conclusi secco e minaccioso.
Quello mi guardò con curiosità e poi come se la sapesse lunga, più di quanto potessi immaginare, mi obiettò:
- Guardi Signore che ero io ad occuparmi di certe cose, neanche la segretaria particolare conosceva bene quanto me il contenuto di certi faldoni...segreti, quindi...se me lo dice, forse posso aiutarla...E... se poi alla fine mi vorrà riconoscere...
-Quanto? - Chiesi asciutto. - Quanto vuole? –
Dunque riflettei, siamo finalmente arrivati al punto, era questo che voleva...il piccolo traditore.
- Dipende - rispose pensieroso – Dipende – ripeté come se stesse riflettendo su cosa chiedere per quel servizio
- Lei cosa sta cercando? Da quello dipende...il Prezzo...
- Se vuole saperlo glielo dico. L'accordo segreto con i Sindacati. E’ questo che sto cercando- Dissi perentorio - Ecco ora lo sa. Voglio verificare se è una favola oppure se è vero che esiste. Se una carognata del genere è stata realmente siglata...
- Eh!Eh!Eh! - Mi ridacchiò in faccia – Lo immaginavo Signore! Quello è il padre di tutti i compromessi! Da lì è cominciato tutto!-
E iniziò a ridere di cuore fino a piegarsi in due.
- Ma che si ride villano! - Urlai – Se esiste davvero, quel documento sciagurato è la prova di un misfatto che ha angustiato la vita di milioni di lavoratori...E lei ride! Ma guarda tu, in che razza di idiota dovevo incappare...!
- Quello – rispose, tornando di nuovo serio e come se stesse soppesando il valore dell’informazione - Vale almeno uno stipendio!
- Quanto? - Andai giù diretto, con l'intento di scoprire le sue vere intenzioni
- Quanto guadagna lei? – replicò con prontezza - voglio dire, in un mese.
- ma scusi- risposi sorpreso – che c’entra questo? Io faccio il giornalista, non vorrà mettere sullo stesso piano...mi dica piuttosto quanto guadagna lei invece e vediamo di accordarci...
- Vede – fece risoluto - Io posso aiutarla, ma non vorrei passare da sciocco. Lo so che quel documento può valere parecchio e di sicuro troverei tanti, disposti a…E comunque quei soldi mi servono per tirare avanti la famiglia. Se mi da il suo stipendio di questo mese, io posso...
Restai ad ascoltarlo cercando di capire se mi stesse prendendo in giro o cosa.
Voleva il mio stipendio! Che razza di pretese! Che faccia tosta e che arroganza!
Quest'ometto grigio e tutto chiuso nella sua squallida uniforme piena di macchie d'unto e sdrucita in più punti col suo fare petulante mi stava veramente facendo arrabbiare. Era oltremodo irritante, viscido e untuoso!
- Ma lo sa che uno come lei non l'avevo mai conosciuto prima d'ora.
Uno, così gretto...E venale...Capirei se mi avesse mostrato i pugni per difendere i segreti del suo Capo, l'onorabilità del Partito che le ha dato da vivere fin'ora, ma un comportamento del genere così platealmente interessato, francamente mi disgusta. E da parte di un’insignificante mezza tacca di usciere come lei, mi riesce impossibile da accettare.
L'ometto restò a guardarmi a bocca aperta.
- Sa che non ho capito un'acca di quanto ha detto? Ma mi dica, cosa ha deciso. Me li da i soldi allora?
- Maledetto taccagno! – Urlai fuori di me
– Tu, il mio stipendio, te lo puoi scordare! Ci mancherebbe!
Per tutta risposta quello si mise le mani in testa e prese di nuovo a piagnucolare e a ripetere ossessivamente:
- Ohi! Ohi! Ohi! Chi mi pagherà lo stipendio questo mese? Ci sarà pure qualcuno a cui rivolgersi. Io debbo far fronte a tante spese.
Il Segretario, Signore – disse rivolgendosi a me come se niente fosse,
– mi aveva promesso un extra. E bello grosso sa, questo mese...
A chi mi dovrò rivolgere...Adesso?Ohi, ohi, ohi.
Mi aveva stancato con i suoi modi teatrali e decisi di ignorarlo.
Ripresi il lavoro per fatti miei mentre quello gironzolava per la stanza senza darsi pace con l'evidente intento di muovermi a compassione.
Cercavo affannosamente tra gli scaffali, nelle cartelle, nei più riposti cassetti e cassettini, nella scrivania, ovunque, pensavo, potesse trovarsi lo scottante dossier.
Riflettei, mentre continuavo agitato a frugare ovunque
- Può darsi che nella precipitosa fuga non abbiano fatto in tempo a metterlo al sicuro...
Poi, forse un po' impietosito da quell'umile travet che effettivamente aveva, a ben giudicare, tutti i motivi per essere preoccupato, chiesi:
- E per cosa le avrebbe promesso l'extra, il Segretario ?
Ma quello con le mani sulla testa continuava ad andare avanti e indietro lamentandosi dei suoi guai.
- E se accettassi? - Dissi infine conciliante. - Ma sì, - pensai, - se in fin dei conti gli faccio guadagnare qualcosa, sarà pur sempre un'opera buona. E' antipatico, ma deve pur vivere. E se poi conoscesse realmente il nascondiglio, mi risparmierei un sacco di tempo...
- Lei, deve guadagnare quattro o cinquemila… – disse improvvisamente soppesandomi con uno sguardo tagliente e arguto nel quale era impossibile non scorgere uno sfondo pieno di malizia.
Ebbi un fremito a quella risposta insolente.
Fui tentato di aggredirlo per la rabbia che mi faceva.
Da una parte era ovvio che volesse indurmi a compassione e dall'altra bramava di mettere le mani sul mio stipendio, quasi cercasse da me, che non c'entravo nulla con i suoi guai, un risarcimento. Evidentemente per lui, per il solo fatto che fossi istruito e facessi un lavoro intellettuale mi faceva responsabile e mi accomunava a tutto il resto del mondo che in un modo o nell'altro avrebbe dovuto retribuirlo del suo maledetto stipendio.
Era incredibile ma quella mezza tacca di usciere sapeva giocare istintivamente una raffinata partita degna del più abile negoziatore.
E non potevo sopportare l'idea che purtroppo, era chiaro che l'avrebbe spuntata lui, quell'antipatica mezza tacca di usciere.
- Quattro...- mormorai esitante
- mila e settecento cinquanta – sottolineò con determinazione.
- Quattromila e cinquecento – obiettai balbettando un po', sentendomi scioccamente scoperto – i duecentocinquanta sono un aumento,- tentai ancora più goffamente di giustificare - che mi è stato promesso, ma solo a fine mese...
- Quattromila settecento cinquanta – ribadì fermo o meglio affermò, con un pizzico di durezza. Non sembrava più la fragile creatura di prima vittima di eventi più grandi di lui. Era diventato spietato, minaccioso.
Serrai i pugni e le labbra e feci un passo verso di lui.
Quello si ritirò, ma con un beffardo sorrisetto come se mi sfottesse come se avesse ben chiaro di tenermi in pugno.
Poi improvvisamente mutò espressione e tendendo ancora l'orecchio verso la finestra:
- Li sente? – Disse – chissà se se la caverà anche stavolta.
Io, che sto qui dentro da tanti anni, lo so. Ne ha fatte di tutti i colori e la gente non ne può più. D'altronde, dia retta a me, la polizia sta solo facendo finta di proteggerlo. Ora il Segretario è un impiccio per tutti, prima lo fanno fuori...
L’ometto mi sconcertava sempre di più. Disse quelle parole come se parlasse di un estraneo, di qualcuno lontano nel tempo e nello spazio.
- Ma come fa! - Esclamai con una smorfia di disgusto
- Lei mi fa orrore – Come può parlare così dell'uomo che le ha dato da vivere...
Senza neanche scomporsi un poco, si tolse il cappello, si dette una grattatina alla testa, mi fissò con uno sguardo quasi crudele, che mi fece correre su per la schiena un brivido incontrollato e poi a fior di labbra disse:
- Eh! Lei parla così perché non sa. E' facile avere compassione quando non si conoscono certe cose che so io. Cose brutte. Veramente brutte. Sapesse caro Signore. Non è come pensa, sa. A quanti compromessi ho dovuto piegarmi. Quante umiliazioni, quante minacce, un inferno!
A questo punto lo guardai cercando di indovinare se si rendesse conto di quanto stava dicendo. E finalmente, allargando le braccia, esclamai:
- Lei? Ma mi faccia il piacere! Un usciere! Parla come se avesse contato veramente qualcosa, qui dentro! Ma la smetta di fare la commedia, per favore, non sono mica tanto gonzo io.
E proruppi in una sonora risata.
- Rida, rida pure. Ma lei con tutto il suo sapere non sa un bel niente.
Nel nostro paese, caro Signore, la politica passa attraverso noi. Noi uscieri, sissignore. Non si faccia impressionare dagli Onorevoli, il Presidente di qui, il Commissario di là...La realtà è che siamo noi, gli uscieri, i “galoppini”, gli uomini di fiducia. Noi riceviamo i messaggi e li trasmettiamo… E caro Signore, tutto a voce, senza lasciare traccia. Altro che. E il Segretario Generale, mi aveva promesso un extra bello grosso, questo mese, sa?
- Senta – dissi rabbonito – non si potrebbe fare duemilacinquecento, metà...
- Quattromila settecento cinquanta – rispose gelido.
- Dove?- chiesi deciso a chiudere l’affare.- Dove sta il documento?
Intanto i clamori aumentavano d'intensità. L'ometto mi lanciò uno sguardo smarrito e poi:
- Aspetti – disse d'un tratto – venga di sotto, con me, mi segua.
Scendemmo nuovamente al piano terra. Mi fece entrare nel locale della reception.
- Ecco, qui c'è una televisione che funziona, stia a vedere.
Sintonizzò l'apparecchio sul primo canale.
Stavano trasmettendo in diretta i disordini provocati da un'enorme folla inferocita decisa a linciare il Segretario del Partito rifugiatosi nel suo albergo.
Il cronista descriveva con voce allarmata il drammatico sviluppo della situazione, con la polizia che sembrava non riuscire a contenere l'urto della marea umana.
- Che le dicevo eh!– Esclamò l'ometto guardandomi di traverso,
– vede? Come le dicevo prima, su nell'ufficio del Segretario.
Vedrà che tra un po' il cordone dei poliziotti si aprirà per lasciar passare quegli indemoniati e così la faranno finita col Segretario.
Guardavo le incredibili immagini che effettivamente gli stavano dando ragione.
La polizia quasi rispondesse a un ordine silenzioso allentò i ranghi consentendo il via libera alla folla.
- Ma come può essere? - insorsi indignato mentre vedevo scorrere sul video immagini raccapriccianti.
– Non si può lasciar linciare un uomo in questo modo.
Qualsiasi cosa abbia commesso ha diritto a un equo processo.
- Eh, eh – ridacchiò l'ometto – un equo processo – eh, eh, sa quante volte l'hanno promesso!
- Ma così ci sarà una strage! Presto! Bisogna fare qualcosa, avvisare qualcuno!
Ma il piccoletto non si mosse e con un sorriso di compiacimento ribatté:
- Sono tutti d'accordo, caro Signore. Lo so bene io.
Mi lasciai cadere su una sedia sopraffatto dall'angoscia.
- Ma in che razza di paese viviamo! Qui tutti hanno perso la testa…
Vedendomi affranto l'ometto si fece sotto.
- Ora non è che mi dice che non le serve più il suo prezioso documento, vero? –
Chiese preoccupato nel timore di veder sfuggire un lucroso affare.
- No, non abbia timore- risposi rassegnato - tanto il mio lavoro debbo farlo lo stesso.
Ma, spenga, spenga per favore il televisore, non voglio assistere allo scempio...
- Bene – disse tranquillizzato – lo vuole un caffè? Qui c'è una macchinetta...
- Ma si, perché no. Prendiamoci pure il caffè,- mormorai sarcastico - mentre stanno linciando un uomo indifeso noi ci prendiamo il caffè, come se niente fosse come fosse assolutamente normale.
Ma lei, dico lei non sente niente nello stomaco? Qualcosa, una rabbia...Non sente...?
Quello per tutta risposta mi guardò di nuovo con lo stesso sorriso beffardo di poco prima.
- Ho famiglia – rispose asciutto.
Sempre la stessa risposta pensai amareggiato.
Che razza di paese è questo?
Prendemmo il caffè mentre dall'albergo vicino giungevano urla e clamori. Finalmente sentimmo giungere il suono di numerose sirene. Nella zona degli scontri stavano affluendo in forze i mezzi delle forze dell'ordine.
- Se fanno in fretta forse fa in tempo a cavarsela – pensai a bassa voce.
- Stia tranquillo – intervenne tutto allegro l'ometto - quello, se la cava sempre. E sa perché? Perché non da mai retta ai suoi amici e consiglieri. Tutti galantuomini falsi e traditori. Ha sempre fatto di testa sua, lui. Nel bene come nel male. Lo so io, che crede, caro Signore.
Non potevo farci niente, quest'ometto mi dava proprio sui nervi.
Era venale, saccente, traditore, inflessibile nei suoi interessi...
Di che razza di gente si circondano i capi, alle volte? - mormorai.
- Ma lei lo conosce da molto tempo, il Segretario?
- Non ci crederebbe, Signore, se le dicessi che siamo stati a scuola insieme e che fu proprio lui ad assumermi tanti anni fa.
- Amici d'infanzia. Interessante – feci io e cominciai a prendere appunti. Forse ne avrei potuto ricavare materiale per un articolo di contorno chissà. Continuai:
- E quindi lei è bene informato sui primi anni della carriera politica del Segretario...
- Certo, anzi forse nessuno come me sa certe cose...
Ma… Un momento! Se lei ha intenzione di prendere appunti, dovremmo rivedere il nostro accordo, questo non era previsto.
Ero senza parole. Mai mi ero trovato di fronte a un uomo tanto avido. Indifferente al destino del suo capo ma tenacemente aggrappato ai suoi squallidi interessi.
- Non le posso dare nient'altro, - risposi indispettito - mi ha già tolto lo stipendio...
- So un sacco di cose io - replicò l'ometto - Potrebbe tirarci fuori un libro, ci pensi su, se vuole. Guardi che il Segretario io l'ho conosciuto quando non era ancora nessuno e andava in giro con le pezze sul sedere...Però se non è disposto...fa niente...Si trova sempre qualcuno disposto...
- Un momento – Dissi - Lo confesso. Questo modo di trattare mi indispone. Non posso stare a tirare su ogni minimo dettaglio. Stiamo parlando della vita di un uomo! Mi indigna comprarla. E mi indigna che qualcuno la venda...
- Non si scaldi tanto Signore! - Rispose, risentito - E' lei il giornalista. Non è venuto qua per cercare notizie? Anche lei come tanti altri è venuto per spolpare l’osso, per cui non faccia tanto il presuntuoso, con tutte le arie da essere superiore che si dà, con la sua etica d’occasione. E poi non mi va nemmeno di essere insultato …Lei non è meglio di me…
- D'accordo – mi scusai – d'accordo non volevo offenderla...E' che sono ancora scioccato per le immagini della televisione. La prego sia gentile, accenda di nuovo, vediamo se ci sono esiti positivi.
L'ometto accese l'apparecchio. In effetti, ora il cronista sembrava più tranquillo e raccontava come la folla non fosse riuscita a raggiungere l'appartamento del Segretario del Partito. Un nutrito schieramento di fedelissimi e guardie del corpo era riuscito a bloccare gli accessi e il successivo intervento delle forze dell'ordine era riuscito a disperdere i più scalmanati.
- Eh eh, - ridacchiò l'usciere – che le dicevo, quello se la cava sempre se vuole!
Mi sforzavo. Mi sforzavo, ma mi faceva rabbia!
Sembrava sapesse sempre in anticipo cosa stesse per avvenire.
Una mezza tacca di usciere come lui. Io che avevo tanti anni di giornalismo militante alle spalle non ero stato in grado di prevedere quello che aveva previsto l'ometto.
- Allora? - dissi – mi darà finalmente quello che cerco?
- E lei i soldi ce li ha?
- Le faccio un assegno, si fida?
- No. Non è per lei, sa. Ma domani magari cambia idea...
- Andiamo al giornale, mi farò anticipare lo stipendio.
- Ha la macchina ?– Si informò timoroso.
- Certo, perché?
- Ho paura. A uscire dal palazzo ho paura. Non si sa mai. Con tanti scalmanati ancora in giro...
- Usciremo come se fossimo due giornalisti.- dissi per tranquillizzarlo.
- Un giornalista vestito da usciere ? – obiettò.
- Suvvia – lo incoraggiai – oramai è buio, chi vuole che la veda?
Finalmente si decise e uscimmo. Prendemmo l'auto e in breve giungemmo al giornale. Mi feci dare i soldi e glieli consegnai.
- E ora, il documento – dissi cercando di nascondere una certa diffidenza che l'ometto mi suscitava.
- E' giusto – rispose questi – ecco qua – disse tirando fuori una busta gialla da una tasca della sua divisa sdrucita.
Ne fui sorpreso. Come faceva ad avere esattamente quel documento?
- Mi scusi sa, non è per sfiducia – dissi – ma per essere sicuro. Visto quel che mi costa.
Aprii la busta. Controllai che fosse tutto in ordine e che il documento fosse effettivamente quello che cercavo.
- Caspita! - Esclamai – nonostante tutto lei è un tipo in gamba. Debbo riconoscerlo! Faccio ammenda di aver pensato male di lei, insomma che lei alla fine fosse solo un chiacchierone, un millantatore. Mi sono ricreduto e mi scuso ma, parola mia, non ce lo facevo.
- Beh a dire la verità non è l'unico. Eppure a un certo punto c'era andato vicino sa, quando mi definì venale saccente traditore e inflessibile nella difesa dei miei interessi. Se ricorda bene è proprio quello che scrisse due anni fa in un articolo in cui attaccava il Segretario Generale per la prima volta durante la campagna elettorale, accusandolo di brogli ai danni dell'opposizione. C'era andato vicino anche allora, caro signore. O dovrei dire “cara voce fuori dal coro”? E sì perché, cosa crede? Mi ricordo io, noi uscieri si sa, siamo accaniti lettori di giornali, con tutto il tempo che abbiamo a disposizione. Mi ricordo io. Fu proprio dopo quell’articolo che Lui la fece contattare per assumerla nel suo giornale. Tutti furbi voi giornalisti! Una voce fuori del coro! Ma poi come ha saltato la barricata! Ed è passato dalla sua parte, credeva che non me lo ricordassi?
Ammutolii, avvilito. La mezza tacca vinceva su tutta la linea. Mi sentivo umiliato di fronte a lui. Restai a capo chino mentre l’ometto prendeva i soldi, silenzioso, senza fare altri commenti. Con calma li infilò in una busta di plastica e prima di andarsene mi prese la mano e me la strinse con uno sguardo complice e comprensivo.
Quando uscì dal portone del giornale mi parve a guardarlo bene che sotto quella divisa sdrucita e piena di macchie, sotto il ridicolo cappello con il cordoncino argentato mezzo penzolante forse, forse, si celava un personaggio che ben conoscevo e ben più che un usciere di mezza tacca e senza stipendio. Ma si! Come era potuto sfuggirmi che…
L'uomo si arrestò un momento prima di uscire si voltò ancora una volta verso di me esibendo il suo sorriso beffardo, con la mano mi fece un cenno di saluto e sparì nella notte piovigginosa.
Ebbi un sussulto.
Ma quello – dissi a mezza bocca – Era Il Segretario Generale!
Respirai profondamente.
- Che uomo – pensai – altro che una mezza tacca!
Ma forse, conclusi, questa parte della vicenda è bene non rivelarla, qualcuno potrebbe farsi venire in mente strane idee e andarlo a cercare per fargliela pagare.
Una volta per tutte, al Segretario generale.


Racconto d'altri tempi  

Marcuccio

di Agnolo Camerte

Era un bell’uomo, arguto, intelligente, non tanto alto di statura, sembrava una piccola roccia, un uomo di quelli che se ti prendono una mano te la stritolano. Infatti era fortissimo, incredibilmente forte, per uno con una statura media. Aveva due baffoni di quelli a manubrio, foltissimi.

Ne era orgoglioso e li portava con una certa noschalance che lo rendeva interessante.

Era un gran lavoratore, di quelli per i quali la fatica era pane quotidiano, compagna di una vita laboriosa.

Faceva il capomastro, oggi si direbbe il costruttore, e passava per uno coscienzioso nel suo lavoro e molto competente. Ai suoi tempi, anni 20/30, saper mescolare il cemento , il portland, non era per tutti, e Marcuccio, intelligente come era, ne aveva fatto un’arte.

Le mattonelle dei pavimenti da lui posati, non si staccavano, neanche se posate all’aperto e destinate a sopportare i rigori dell’inverno.

Il lavoro non gli mancava mai, ne aveva sin troppo ed era ovviamente contento di poter così crescere dignitosamente la sua numerosa famiglia.

Si toglieva lo sfizio di fumarsi ogni tanto un mezzo toscano, che teneva in bocca anche quando era spento; gli piacevano quelli della manifattura dei frati di Chiaravalle, con i quali intratteneva rapporti cordiali e di ammirazione. Era un uomo religioso e timorato di Dio; mai lo sentivi bestemmiare o dire parolacce. Non si faceva coinvolgere dalla politica e dalle tendenze di destra del momento….Lui era un convinto socialista che sfotteva i politici di allora; alludeva: “ Lui si che ha una gran testa….magari ce l’avessi io!”

I suoi amici lo apostrofavano “ma tu che ci fai con quella zucca pelata! Che ci fai!”. “Come no, mi farebbe un sacco comodo; la terrei sul mio comodino per accenderci i prosperi (fiammiferi) e fumare il sigaro!.....” Pare che rischiò di essere forzatamente purgato…Lo evitarono perché era troppo forte…..

Si sapeva che quando andò con il somarello a prendere giù al mulino di famiglia un sacco di farina, capitò che scoppiò un furioso temporale, con fulmini e saette e pioggia che ingrossò il fiumiciattolo da attraversare , spaventando il somarello. Questo non ne voleva più sapere di attraversare il ponticello, spaventato dal rumore dell’acqua.

Tira e ritira la cavezza, quello non ne voleva sapere di muoversi; allora lui scaricò il basto con il carico, si mise sotto la pancia del somarello , se lo caricò e lo portò, scalcitrante dall’altra sponda!

Come ho detto era religioso, andava alla messa con sua moglie e la famiglia e si metteva sempre l’abito della domenica, con un bellissimo cappello che ancora ricordo.

Capitò una di quelle domeniche un pericoloso incidente: mentre il campanone della Basilica suonava a “Batocco”, si staccò inopinatamente il batacchio del campanone, pesante 110 Kg.! Cadde in mezzo alla folla presente in piazza, ma miracolosamente, non colpì e ferì nessuno! Proprio fu un miracolo!

Subito fu incaricato lui a riportarlo sul campanile. Lui accettò, ma volle riportarlo su caricandoselo sulle spalle, per ringraziare il Signore che l’incidente non aveva provocato vittime. Un’impresa perché per il peso i pioli delle scale potevano ferire i piedi. Calzò allora un paio di scarponi con la tomaia di legno, che adoperava per vangare l’orto. Gradino per gradino, riuscì così a riportare il batacchio del campanone sul campanile, ma stremato, cadde a terra per lo sforzo.

Fu molto contento di questa impresa; si rafforzò la stima di tutti e con orgoglio quando sentiva il suono del campanone, si fermava e si racconta che dicesse una preghiera.

Insomma, una persona come tante altre che lavorando, timorati di Dio, dediti alla famiglia, rendono esempio di serietà e di dignitosa laboriosità. Forse per questo era ammirato e rispettato da tutti, seguito dalle sue maestranze con attenzione e rispetto.

Per “riposarsi” aveva il pallino di coltivare l’orto; aveva un bel pezzo di terra con un pozzo romano, antichissimo, davanti al quale pare trovasse sotterrate delle monete romane.

D’estate quel pozzo era l’ideale per metterci in fresco o una bottiglia di vino o (ed era festa!) una bella anguria che comperava al mercato, per la gioia di noi ragazzini. La metteva giù con “l’impozzatura” a pelo d’acqua . Quel fresco naturale era fantastico, il cocomero sembrava più buono; se poi c’era da bere anche una gassosa con lo “zaffo”, di quelle con la pallina di vetro…..Bastava spingere giù nella bottiglia la pallina per aprirla….Che goduria!

A pensarci, una storia come tante; eppure a volte per misteriosi motivi sono le vicende le più semplici che sembrano riuscire a far ricordare una vita. Forse se essa è vissuta onestamente, cristianamente, nel rispetto del prossimo, può giovare a lasciere un buon ricordo di noi.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)