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Cultura e societÀ

Un poeta venuto da terre lontane

Il Nuovo Umanesimo

Intervista di Anna Manna al prof. Gilberto Mazzoleni

Lunedì 29 aprile alle ore 15,30 presso la Sala Odeion della Facoltà di Lettere e Filosofia in piazzale Aldo Moro n. 5, si terrà un incontro dal titolo “Mondi di Parole”. L’occasione dell’incontro è la presentazione del libro “Voci dall’aldiquà” del Prof. Gilberto Mazzoleni, poeta ed antropologo. Il volume, edito da Bulzoni, raccoglie la produzione poetica più recente e spunti di riflessioni in un affascinante confronto tra antropologia e poesia.

Dopo i saluti istituzionali del Preside, Prof. Roberto Nicolai, coordinerà l'incontro il Prof. Alessandro Saggioro, docente di Storia delle religioni e direttore del Master in Religioni e mediazione culturale. Intervengono la Prof.ssa Francesca Bernardini, il Prof. Luca Serianni, il Prof. Gaetano Lettieri, la Prof.ssa Emanuela Prinzivalli.



Gilberto Mazzoleni, laureato in Lettere con lode (la tesi vinse il premio Marzotto nel 1963) è stato Docente di Religioni dei popoli primitivi (1972-1998) e titolare della cattedra di Storia delle religioni (1998-2008) presso l’Università La Sapienza di Roma. Nel corso di 45 anni di insegnamento è stato collaboratore e coordinatore di numerose missioni di ricerca all’estero: Messico, Lapponia, Argentina, Brasile,Cuba e Perù. Ha tenuto numerose lezioni magistrali presso università italiane e all’estero. Vicepresidente dell’AISEA (Associazione Italiana di Scienze etnoantropologiche) dal 1996 al 1998 e Presidente del biennio specialistico in Scienze Storico religiose presso la Facoltà di Scienze umanistiche, ha conseguito numerosi premi tra i quali il Premio Internazionale Pitrè e il Premio Unesp di Antropologia a San Paulo. Saggista, promotore culturale, studioso di teatro, poeta molto apprezzato, dirige numerose collane editoriali e collabora a molti periodici scientifici italiani e stranieri. È stato vivamente interessato all’analisi in divenire di una identità “occidentale” ed ai conflitti interculturali, oggi è approdato ad una stimolante rilettura di personaggi “consacrati” e di episodi storici “esemplari”.

Il Prof. Mazzoleni, già ordinario di Storia delle Religioni presso Sapienza di  Roma, tenta nel libro un dialogo sui due fronti antropologico e poetico, ripercorrendo  episodi ed avventure vissute  nei suoi numerosi viaggi.

Con questo libro “Voci dall’aldiquà” in punta di penna il poeta antropologo offre al suo pubblico di affezionati lettori uno scrigno di proposte, ipotesi, prospettive culturali come nota in apertura Dario Sabbatucci.

Il poeta – viaggiatore ripercorre le sue avventurose e meravigliose  promenades nelle culture di altri paesi offrendole come passeggiate metaforiche tra tematiche di grande importanza ma sfiorate con grande raffinatezza, con grande maestria. La sua cultura non diventa mai pesante bagaglio culturale ma semmai vivace e spedito mezzo di comunicazione anche divulgativo.

Così il poeta del mondo, come è facile sentir nominare il prof. Mazzoleni, con eleganza e leggerezza tocca uno spartito fresco anche quando la sua poetica si ripiega su se stessa quasi a presagire un allontanarsi dal dialogo con il lettore nell’attesa di un evanescente addio.

Ma è soltanto un momento, forse soltanto un vezzo, il poeta e la sua poesia si sentono necessari. Il lungo mestiere di educatore sostiene la poetica liberandola dai compiacimenti letterari  e proiettandola in un contesto pedagogico quanto mai attuale ed auspicabile.

Il libro si chiude con una intervista illuminante sulla poetica di Gilberto Mazzoleni “Dal vello al veltro: solo un nuovo umanesimo ci salverà” di Anna Manna.

Intervista di Anna Manna a Gilberto Mazzoleni, poeta antropologo

“Dal vello al veltro: Solo un nuovo umanesimo ci salverà”

Parlare con il Poeta antropologo Gilberto Mazzoleni significa partire con la fantasia per mondi lontani, terre esotiche, villaggi sperduti nel mondo. Gran viaggiatore, per motivi professionali, ha fatto del viaggio, della curiosa rilettura di culture diverse dalla nostra cultura occidentale, una ragione di vita e di professionalità.

Come hai vissuto generalmente  la cultura occidentale l’impatto con culture lontane, diverse dalla nostra ?

Nel corso del XX secolo l’Occidente scientista , in omaggio alla cosiddetta decolonizzazione, ha scoperto – dopo la dignità d’arte dei manufatti - anche il valore poetico dei testi prodotti da orizzonti culturali altri e remoti.
Da qui le analisi in chiave critico-letteraraia non soltanto di una produzione più esplicitamente lirica (dalle composizioni di antichi autori cinesi ai blues afro-americani) ma anche di testi mitici e formule rituali. È così accaduto che il letterato europeo ha spiazzato per così dire antropologi e storici delle religioni.

Ma in te il poeta e l’antropologo si equivalgono oppure sono in lotta tra loro, in competizione?

Nel mio libro “Identità, contributo a un disciplina del confronto e della riflessione “Bulzoni editore mi propongo di verificare la legittimità etico-professionale di una sovrapposizione di codici ( quello antropologico e quello poetico) che si verifica allorché l’antropologo in prima persona sperimenta (per se stesso) il visto ed il sentito sul campo : e dunque fa poesia. Per quanto mi riguarda non  ritengo incompatibile in assoluto  la cosiddetta  osservazione oggettiva  e la rilettura personale del vissuto. Personalmente , nelle mie esperienze sul campo, ho sempre teso   a cogliere le concrete aspirazioni e le umane cadute, le travagliate opzioni e le ingegnose evasioni : ovvero l’umano voluto e tentato, colto al di là della pura erudizione e della sperimentazione ludica.
È probabile  – e i ricordi di me adolescente lo confermerebbero – che vissuto e pensato, pensato e cantato hanno radici lontane  e comuni in me. Al punto che se dovessi rinunciare a una delle mie due anime, risulterei così menomato da dovere rinunciare – ove possibile- ad entrambe

Dunque hai cominciato da molto giovane a sentirti poeta oltre che ad incuriosirti di tutto?

Non mi piacciono i bilanci, specialmente quando sono stilati dall’interessato. Ma non posso fare a meno di ricordare che quello del comporre in versi si è rivelato un mio precoce impulso, favorito da un ambiente familiare ricco di stimoli e alimentato da varie esperienze.
Sono cresciuto con la poesia. Mi spiego meglio. Non sapevo ancora leggere, e mio padre – la sera – mi leggeva con tenero garbo i versi di Dante, Leopardi e Belli.
Io lo ascoltavo affascinato anche quando non comprendevo qualche parola. Crescendo ho ampliato il repertorio delle mie letture: Porta e Pascarella, Foscolo e Pascoli, e poi Lorca, Majakovskij, Esenin e i poeti sudamericani.
Ma, ormai ventenne, non avrei mai pensato che un giorno mi sarei impegnato in prima persona. Allora ero affascinato dalla pittura (ho esposto ad una Quadriennale di Roma) e dal teatro (ho diretto il Centro universitario teatrale dal 1961 al 1964).
Ma, ormai laureato, i confronti suggestivi con Natalino Sapegno e Giuliano Manacorda mi hanno aiutato ad incamminarmi -sempre meno timidamente – sulla via delle emozioni ripensate e cantate.
Da allora, diciamo dagli anni Settanta, la poesia e l’antropologia mi hanno stimolato, impegnato e confortato. E in un saggio del 2002 ho cercato di spiegare i rapporti – che almeno per me – sostengono e completano reciprocamente questi due strumenti conoscitivi.
Ricordo anzi che circa dodici anni fa ho sollecitato l’A.I.S.E.A. ad organizzare un convegno sul tema “Antropologia e Poesia”.

La poesia nella tua vita è stato un limite alla conoscenza della realtà  oppure uno sconfinato volare?

È stato uno stimolo ad andare oltre.

Hai imparato dalla natura, dal contatto con la natura oppure hai plasmato la visione della natura secondo la tua poetica?

Le tante “nature” scoperte, visitate e assorbite sono state  il sorprendente scheletro che a poco a poco mi hanno rivestito e, forse, riplasmato: devo anche a queste “scoperte” di umanità complesse e remote (ecco di nuovo l’antropologia – il mio essere poeta).

Di che cosa hai più paura? E come riesci a fronteggiare la tua paura?

Assuefatto – per educazione, istinto ed eventi eccezionali – a guardare dietro le cose e dentro di me, ho imparato presto a fronteggiare la paura del vivere e rispondere a modo mio alle domande impossibili. Ma non sono poi un insensibile superuomo: un giorno, forse, cederò alla Paura.

Quali pensi siano le paure dell’uomo del terzo millennio?

Apparentemente nessuna: distratti dai consumi e da chi controlla i mezzi di comunicazione, sfuggiamo ai grandi problemi e ci riduciamo ad automi soli e senza noi stessi.

Dimmi  una frase che ti somiglia. Anzi un verso!

“Procedere,Gilberto, senza perdersi,
Ora che fermarmi non saprei…”

La donna rappresenta una realtà da vivere, un sogno da sfiorare con il pensiero, l’altrove per eccellenza?

Le donne (ma odio le generalizzazioni del tipo Uomo/ Donna) sono nel complesso un “altrove”, un altrove che, se responsabilmente convissuto, può addolcire e arricchire.

Cosa significa amare?

Amare: ecco un significante ricco di significati e quotidianamente abusato. Ma se alludiamo ad un sentimento vissuto senza inganni, può diventare ragione di vita (o di morte).

La tua vita somiglia alle tue poesie? Il tuo mondo poetico è stato prima o dopo il tuo mondo reale?

Ho impiegato decenni perché la mia vita e il mio mondo poetico diventassero un tutto unico. Sento che oggi questa sovrapposizione è compiuta e mi fa più ricco.

È meglio aggrapparsi alle stelle oppure guardare sempre, ai propri piedi, il terreno sul quale si cammina? Vale la pena sognare?

Sognare è necessario, ma sentendo sotto i propri piedi un terreno con cui interloquire con positiva coscienza.

Ritieni che oggi la poesia possa di nuovo emergere,  pensa che una nuova ondata di poesia romantica possa contrapporsi allo sfacelo sentimentale che vive la società di oggi?

Nella palude sguaiata e volgare della società  odierna, nella fredda età della comunicazione telematica, potrebbe affiorare il miracolo della poesia romantica e trovare nuovi e convinti consensi. “Immergiamoci perciò /in un mare di affetti/ e una barriera fingiamo/ di variopinti coralli,/ ignorando l’insabbiatura / che sa di eterno/ nella distesa di morti fiori..” Questa poesia “Meglio ronzare” l’ho scritta lo scorso anno nel maggio 2011. Questa esigenza sentimentale insopprimibile nell’essere umano già bussava con vigore nella contemplazione delle umane sconcezze che la televisione ci inviava ogni sera come uno schiaffo sulle nostre mense.
E più avanti nel giugno 2011 ho scritto : “Solo donando/ solidali affetti/ scambieremo da fratelli/ l’unica ragione di luce./nell’opaco orizzonte./E noi soli mai :/non siamo stelle/”.
Ma possiamo anelare al cielo, sentire , come lo sentiamo ogni giorno, il peso del fango, della melma di una società in disfacimento. Una mia raccolta di poesia si chiama proprio “A cielo aperto”.
Possiamo volare anche senza avere le ali. La poesia da sempre è capace di compiere questo miracolo.

Abbiamo analizzato fino ad ora te stesso, ho cercato di liberare nelle risposte il messaggio della tua poetica, insomma ho cercato di fotografare il senso del tuo poetare. L’oggetto della mia indagine (fatta con una rosa in mano invece del microfono come dici tu) è stato il tuo modo particolare di esistere e le tue capacità e potenzialità di risposta alle sollecitazioni dell’ esterno, della vita.

“Le interviste con la rosa in mano”, dovresti chiamare così queste tue interviste. Mi piace essere capito, compreso. Ma l’incontro deve avvenire con  rispetto e capacità di scandaglio nello stesso tempo. Un rispecchiarsi nelle tue domande che non hanno nessun intento malevolo ma solo un... profumo di civiltà.

Va bene accetto il consiglio dell’antropologo-poeta! Ma andiamo avanti, vorrei ora spostare l’interesse fuori dal tuo personaggio ed incentrare l’attenzione sulle tue ricerche. Mi riferisco ad esempio  alla tua ricerca più interessante. È nota la tua interpretazione del vaticinio dantesco che riguarda il Veltro. Vuoi illustrarcela?

È stato detto che Dante , nel comporre la trama del suo provvidenziale “volo”poetico, usava formulare enigmatiche profezie che risultassero volutamente oscure e deliberatamente male decifrabili. E questo è spiegato con l’adeguarsi di Dante al “genere” profetico. Del resto l’estetica due-trecentesca non era aliena dal considerare un imperativo dell’artista quello di adeguare il lessico e lo stile alla natura degli argomenti trattati. Ma ritengo che le “profezie” della Divina Commedia devono essere decifrabili in quanto ad esse Dante  si affida per ‘proporre agli uomini di buona volontà , il messaggio della  palingenesi. Certamente sto sorvolando in sintesi concetti che sono oggetto di lunghissimi  e approfonditi studi. Dunque le mie tesi di possibilità di decifrare alcune profetiche posizioni di Dante sono state anche  fortemente dibattute. Si potrebbe scrivere un libro su questi eventi di studio. E certo non è questa la sede per un approfondimento che è possibile fare attraverso i miei libri. Ma mi è possibile esprimere l’intuizione che maggiormente si evidenzia necessaria e illuminante per la nostra epoca travagliata. L’intuizione di Dante che la cultura, lo studio, la conoscenza saranno l’unico possibile baluardo ad una fine ingloriosa dell’umanità.
L’incontro fra Dante e Virgilio dà luogo a una delle profezie che più hanno impegnato i commentatori della Commedia. Il Poeta, incalzato dalla lupa, ossia dalla più temibile delle tre fiere riceve da Virgilio questa enigmatica indicazione: “Molti son gli animali a cui si ammoglia/e più saranno ancora, infin che ‘l  Veltro/ verrà, che la farà morir di doglia! / Questi non ciberà terra né peltro,/ ma sapienza, amore e virtude, / e sua nazion sarà tra feltro e feltro. (Inf. I,100-105) .
Le interpretazioni sono state moltissime. Ma attenendoci al significato della parola feltro  , ed analizzando gli usi e consuetudini del feltro nell’epoca di Dante ( anche in questa fase sto sintetizzando in poche scarne parole pagine   e pagine di studi approfonditi)  riusciamo alla fine a capire che tra feltro e feltro vuol dire tra foglio e foglio  e che il Veltro è il LIBRO per eccellenza. È insomma il vile feltro ad essere impiegato nella fase finale della produzione della carta .Tra feltro e feltro trovava suggello adeguato al foglio, che risultava pronto a registrare ciò che AMORE detta al poeta. Chi dunque perseguiterà la smodata bramosia dei beni terreni (radice di tanta corruzione) sarà la voce poetica di Alighieri :  e questi si accinge a seguire Virgilio ( “ond’io per lo tuo me’ penso e discerno / che tu mi segui, e io sarò tua guida”), perché la sua denuncia – voluta da Dio e messa adeguatamente per iscritto – risulti efficace e documentata agli occhi  (e alla coscienza) dei lettori.
Mi sembra che non ci sia molto da aggiungere. La potenza della cultura si esprime in tutti i suoi significati più profondi. ”Fatti non foste a viver come bruti / ma ad inseguir virtute e conoscenza”.
Il futuro dell’umanità è oggi sull’orlo del precipizio e la lupa ci guarda ormai a piccola distanza.
Solo la cultura, il Libro, un nuovo Umanesimo insomma ci potrà salvare dal precipizio. Anche perché alle tre fiere dantesche si sono aggiunti animali temibili e sconosciuti. È necessario rileggere Dante, illustrare ai giovani, ma dico su larga scala non solo nelle università, la voce di Dante. Educare alla conoscenza, all’arte. Riaprire il discorso sui valori dell’umano.

Dall’adorazione del  Vello d’oro al Veltro?

È l’unico percorso possibile per salvarci.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)