Racconto
Il Trittico
di Ruggero Scarponi
Un lampo abbagliante illuminò il volto di Monsignore. Poi il buio avvolse la sala e i commensali, mentre un vento impetuoso scuoteva con violenza il piccolo uscio in bugnato di quercia dell’Abbazia di Saint Denis.
– Che Dio abbia pietà delle nostre anime!- urlò spaventata una novizia.
- Non essere sciocca piccola Isabelle – la rimbrottò l’anziana Badessa - è solo un temporale, non c’è nulla da temere, finisci la cena in pace.
Poi rivolta al prelato – Monsignore è questione di pochi attimi, il nostro Alphonse sta già riparando il guasto.
- Pax vobiscum… etiam lux – sentenziò faceto il religioso.
La Badessa accennò un sorriso e con un gesto del braccio esortò le giovani monache a terminare il sobrio pasto.
Più tardi dopo la preghiera nella cappella, si ritrovarono nello studio, la Madre e Monsignore.
- Sotto la vostra guida Monsignore ci sentiamo tutte più sicure, qui a Saint Denis.
- Grazie Madre per la fiducia. E d’altronde Sua Eccellenza il vescovo De Montfort ha voluto che fossi proprio io, come confessore delle monache, a condurre il primo grado di questa inchiesta.
- Naturalmente Monsignore comprenderà bene, come sia importante che la vicenda sia trattata nel modo dovuto. Intendo…con discrezione.
- Nel modo dovuto – confermò Monsignore, accompagnando le parole con un gesto d’assenso del capo.
- Domattina Reverenda Madre, subito dopo la messa inizierò a interrogare le monache. Questa è la lista con i nomi secondo l’ordine con cui intendo riceverle.
- Sarà fatto come desidera - rispose la Badessa prendendo il foglio dalle mani di Monsignore e scorrendovi sopra fugacemente con lo sguardo.
- Mi auguro- continuò il prelato – che sarà sufficiente questo mio intervento. In caso contrario purtroppo, Madre Reverendissima, non si potrà evitare il ricorso alle magistrature ecclesiastiche.
- Vergine Santissima! – Esclamò la Badessa - Uno scandalo del genere! Qui a Saint Denis! Le famiglie ritireranno di certo tutte le ragazze! E’ dal XV secolo che la nostra Abbazia offre un rifugio sicuro per la formazione e l’educazione delle giovani. Sarebbe la fine di quest’antico e glorioso collegio. Che vergogna saremmo costrette a portare con noi. Ed io per prima!
- Vergine Santissima! – esclamò ancora una volta la Reverenda Madre prima di congedare Monsignore, per recarsi all’ufficio di compieta.
Al mattino seguente il cielo sopra l’isola di Saint Denis, che distava poche miglia dalla costa bretone e da cui prendeva il nome l’Abbazia, appariva ancora tempestoso. Lunghi caroselli di nubi turbinose sullo sfondo grigio del cielo, si rincorrevano sopra le alte scogliere trascinate dai venti impetuosi. Di sotto, su un alto sperone roccioso quasi lambito dagli spruzzi delle onde che si frangevano sugli scogli, di fronte all’oceano sconfinato, l’anziano Alphonse faceva risuonare la sua cornamusa, con le semplici melodie delle antiche danze che sopra i tumultuosi flutti marini s’inseguivano a distesa ingenue come fanciulle. E sembrava che le nubi in cielo danzassero anch’esse ai ritmi del vecchio marinaio.
Monsignore, appena sveglio, volle affacciarsi alla finestra nonostante l’aria pungente del primo mattino. Lanciò lo sguardo verso l’oceano e non poté non scorgere lontano e ritto sull’alto sperone proteso sopra le onde, proprio Alphonse. Di là, ora, giungevano struggenti le note di una canzone popolare. Il marinaio faceva risuonare il bordone della cornamusa accompagnando con i toni bassi la tristezza di quel canto che si sperdeva nell’aria.
- Un bretone…- mormorò Monsignore – un marinaio bretone. Non capisco perché la Madre si ostini a tenerlo, ha uno sguardo che non mi piace... e quelle orribili musiche che suona al mattino…insopportabili…forse dovrei parlarne… – concluse i suoi pensieri, rabbrividendo e chiudendo bene la finestra. Dopo aver fatto toeletta ed essersi rivestito con un ampio mantello sopra la lunga tonaca, raggiunse la Madre Badessa nel salottino in cui abitualmente prendeva la piccola colazione. La Madre volle servirlo lei stessa e con l’occasione approfittò di chiedere se avesse dormito bene e se si sentisse pronto ad affrontare una giornata lunga e impegnativa.
- Reverenda Madre, l’ospitalità in quest’Abbazia è all’altezza del nome e delle costumanze religiose, sobria e premurosa. Per quanto riguarda il nostro lavoro se non avete nulla in contrario comincerei subito dopo la messa, nel salottino riservato alle confessioni…- e mentre parlava, Monsignore, non poté fare a meno di tendere l’orecchio.
- Ma!- Esclamò rapito – Reverenda Madre debbo pensare che per il coro abbiate ingaggiato degli angeli. Mai ho ascoltato le laudes ad matutinas cantate più soavemente, sembra discenda direttamente dal Paradiso questa meraviglia.
- Sono le novizie Monsignore. Le guida nel canto gregoriano Madre Augustine, è molto sollecita con le ragazze e si stanno preparando per la messa domenicale…stanno cantando nella cappella, ma a volte giunge fin qui la loro voce…
- cristallina e pura come l’acqua di una sorgente…- commentò compiaciuto il confessore.
- Voglia il Signore che sia veramente così…– replicò la Madre abbassando lo sguardo.
- Non dovete lasciarvi indurre al pessimismo. – ammonì il religioso - Qualunque cosa avvenga, dobbiamo cristianamente abbracciare la nostra croce e porre fiducia in Lui, che è l’unico a conoscere i nostri destini.
- Tuttavia Monsignore non posso negare di avvertire una grave preoccupazione. Sento su di me la responsabilità delle monache e delle ragazze che le famiglie ci hanno affidato. Ho trascorso l’intera notte in preghiera…
- Reverenda Madre, - la interruppe il Prelato - non commettete l’errore di cedere all’orgoglio e di prendere su di voi tutto il peso. Santa Madre Chiesa ha predisposto uomini e istituzioni al riguardo. Abbiate fiducia nei vostri superiori e nella Chiesa di Cristo. E ricordate sempre: Non prevalebunt!
Poco dopo, al suo ingresso nella cappella, per la funzione, Monsignore rivolse un cenno di saluto con la testa e un sorriso di apprezzamento alla Madre Augustine che stava dirigendo il coro delle novizie. Le giovani si erano allineate di fronte a un alto leggio per intonare l’Orbis factor dal Graduale di Eleonora di Bretagna.
E solo al termine della messa, al momento di impartire la benedizione, si accorse che seminascosto, all’ultimo banco accanto a un pilastro, attendeva di segnarsi, inginocchiato, Alphonse.
Monsignore impiegò tre giorni per la sua indagine. Durante questo tempo prendeva delle pause per riflettere. Formulava ipotesi, faceva paragoni tra le risposte fornite dalle religiose. Ma alla fine dovette ammettere che nonostante la sua abilità, maturata in tanti anni di confessione, nessuna delle religiose interrogate era caduta in contraddizione.
La domenica, dopo la messa cantata dal coro delle novizie, si trovò a pranzo in una saletta riservata con la Badessa.
La Madre ansiosa volle interrogarlo subito.
- Purtroppo – disse – questi tre giorni sono volati via in fretta. Tra poco ci lascerete per tornare ai vostri affari ordinari. Me ne rammarico. La vostra presenza è stata di conforto per tutte noi. In ogni caso, mi auguro Monsignore che abbiate potuto svolgere la vostra indagine senza intralci e…soprattutto che siate giunto a delle conclusioni.
- Francamente, Reverenda Madre…- stava per rispondere il prelato. Ma s’interruppe e sbarrò gli occhi per la sorpresa; sulla tavola, proprio sotto il suo naso, una conversa gli aveva appena servito un vassoio di frutti di mare, fiore all’occhiello della cucina bretone. Monsignore non poté trattenere un’espressione di compiacimento.
Troneggiavano nel grande piatto d’acciaio, ostriche, ricci e capesante. A seguire furono portate in tavola le grasse e saporite aragoste di Camaret irrorate da una delicata salsa a base di burro, aglio e prezzemolo che l’anziano confessore innaffiò sapientemente con la birra di grano nero. Per finire le crêpes beurre-sucre accompagnate da un buon sidro di mele, gli fecero valutare, per un istante, come insignificante il grave problema per il quale era stato incaricato da Sua Eccellenza, il vescovo De Montfort.
- Reverenda Madre… – riuscì a dire alla fine del pranzo, mentre sorseggiava un bicchierino di chouchen, – sono fermamente convinto che non si abbia nulla a temere. Tutte le novizie e le monache con cui ho parlato mi sono sembrate sincere e con l’animo sgombro da ombre o pensieri che potessero far sospettare reticenze di qualche tipo. No, Madre Badessa, la mia relazione sarà di totale proscioglimento. In questa casa, in fede mia, non vedo l’ombra del peccato…di quel tipo di peccato…voglio dire.
- Monsignore, vi sono grata…ma siete certo di aver esaminato con cura…?
- Ho anni di confessioni alle spalle. So ben scorgere il maligno, qualunque inganno egli tenti…!
- Non ho dubbi Monsignore sulla vostra fede…solo…
- Ebbene?
- Solo…le voci che sono state messe in giro…Ecco, ne sono turbata…
- Voci…malevole e maligne. State tranquilla, la santità di questo luogo non ne sarà sfiorata…e d’altronde in questi giorni ho osservato il vostro lavoro e quello delle consorelle…uno scrigno di virtù cristiane, posso testimoniarlo…E poi – recitò sornione - quando si hanno delle novizie che cantano come angeli…e cuoche che cucinano come se tutti i giorni avessero per ospiti santi e cherubini…- concluse Monsignore, ammiccante e vagamente assonnato …
- ma…piuttosto, Madre – riprese dopo una leggera esitazione – quel vostro Alphonse….
- Alan Kerber, - lo corresse la Madre – Kerber sta per “della casa di Pietro”, è un cognome molto comune qui in Bretagna –Alphonse è “francese”... dopo essere stato condannato per via di una storia che lo vedeva implicato in un mai provato tentativo di sedizione…ha dovuto prendere un nome francese.
- Un ribelle, quindi! Ladro, o pirata addirittura, come qualcuno sostiene, nei villaggi della costa…sembra che abbia accumulato una fortuna da qualche parte, in segreto, in qualche remoto anfratto tra gli scogli…
- un uomo schivo, burbero forse - ribatté appassionata la Badessa - che per il suo carattere scontroso da sempre ha attirato maldicenze e pettegolezzi. Un uomo buono, però, come ben sappiamo noi monache di Saint Denis, che ne riceviamo tutti i giorni l’aiuto disinteressato, che ha subito gravi torti, e ci ha rimesso anche una caviglia, in prigione …
- …chissà, forse il suo tesoro è nascosto proprio sotto lo sperone sul quale va a suonare tutte le mattine. Lo sa Madre che per quanto abbia tentato, non sono riuscito a trovare un sentiero per arrivarci? Come faccia il marinaio, non riesco proprio a immaginarlo, sembra un posto isolato in mezzo alle onde con gli unici punti di contatto con la terraferma solcati da profonde fenditure, impossibili da attraversare…
Non mi piace, Madre, e poi mi guarda sempre in modo strano…Questo potrebbe rappresentare l’unico neo, sebbene, piccolo, glielo assicuro, nella mia inchiesta…e poi quelle musiche così… così…patriottiche…
- Popolari, Monsignore. Sono musiche e danze piene di malinconia, che parlano di uomini che vanno alla guerra o si avventurano a pescare nell’oceano tempestoso. Musiche che danno voce allo spirito di questo popolo. E garantisco per lui come per me stessa Monsignore. Altro non so dirvi…
- vedremo. Al momento, comunque, io ho concluso. Domani stesso sarò in Curia a riferire.
- Il Signore vi guidi e vi illumini. – Lo congedò la Badessa.
Ma già dal chiostro giungeva fin nella saletta l’eco di un canto gioioso.Le fanciulle, mentre cantavano, si erano disposte in cerchio e si tenevano per i mignoli, secondo l’uso, procedendo a passi rapidi da destra a sinistra come in un’antica càrola, un girotondo che nella tradizione bretone prendeva il nome di An-Dro.
- Mi auguro che a cantare non siano gli stessi angeli che stamane hanno glorificato il Signore con la magnificenza del Gregoriano, Reverenda Madre! Sarebbe un peccato contaminare la purezza della liturgia con simili puerili filastrocche…bretoni.
Disse Monsignore, con una smorfia di disappunto, prima di ritirarsi.
Qualche giorno dopo Alphonse si recò a Parigi in tutta segretezza.
Al suo ritorno fu accolto dalla Madre Badessa, che lo attendeva con impazienza.
- E’ stato nobile da parte tua, Alphonse, fare questo viaggio per amore della nostra casa. Te ne siamo tutte riconoscenti e io in modo particolare.
Alphonse non disse nulla, assentendo pacatamente col capo.
- Ora però – continuò la Madre – vieni nel salottino. Dobbiamo parlare, devi raccontarmi…voglio sapere tutto.
Raggiunsero il locale della piccola colazione. Chiusero dietro di loro la porta, con discrezione, si sedettero vicini, su un divano.
- Avanti Alphonse – lo esortò la Madre – raccontami, dall’inizio.
L’uomo rimase in silenzio un istante come a raccogliere le idee, poi con voce incerta prese a parlare.
- Ho fatto come vi avevo detto Madre. Appena giunto a Parigi, sono andato subito allo studio del pittore Pierre Maquis.
- Ti attendeva?Avevamo spedito un biglietto preannunciando la tua visita. Lo aveva ricevuto?
- Sì, per fortuna. La stampa si stava già muovendo, aveva fiutato … lo scandalo. Il pittore aveva annunciato il titolo dell’opera, un trittico: Peccato e Redenzione. E aveva anche mandato in giro voci secondo le quali uno dei tre personaggi femminili, mi perdoni Madre, poco vestiti, fosse proprio una…-.
si arrestò quasi timoroso di concludere la frase.
- Voglio sapere! – Ingiunse la Badessa.
- Una…- esitò ancora Alphonse – Una di qui…della casa. Una monaca, giovane.
- Hai potuto verificare?
- Purtroppo.
- Dio ci salvi! – Esclamò la Madre.
- Non c’è più pericolo, ora.- Disse Alphonse accompagnando l’affermazione con un gesto della mano.
La Madre lo guardò sorpresa.
- E’ qui – aggiunse l’uomo – Ho acquistato l’opera.
- L’hai pagata…Dunque. Che prezzo?
- Che importa. E’ qui. Non potrà far male.
- E la stampa? Ne è al corrente?
- No. Ho pagato anche per questo, una cifra adeguata. Pierre Maquis non parlerà.
- Quanto Alphonse, quanto? E come?
- Ho investito bene…I miei risparmi…A voi, Madre lo dovevo.
- Una cifra enorme, di sicuro. Quell’uomo è senza scrupoli. Potremo mai sdebitarci con te, figliolo?
Alphonse si schermì con un gesto della mano e poi disse:
- Nel vostro studio Madre. L’ho messa lì.
- Dio sia lodato e te ne renda merito.
La Madre Badessa si alzò, e prima di congedarsi dal bretone lo abbracciò maternamente, commossa, con le lacrime agli occhi.
- Ora debbo andare, figlio mio. Voglio mettere fine a questa vicenda.
Subito dopo, uscì dal salottino con il capo chino, le mani giunte in preghiera e si avviò a passi svelti verso lo studio.
Lo Jus Solis
L’indicazione è d’altri tempi, ma il problema è attuale
di Agnolo Camerte
Oggi si sentono alcuni politici che con spocchiosa superficialità, si riempiono la bocca con espressioni latine, ora italianizzate, ora tronche, altre volte addirittura con accenti inglesi, ma sempre sbagliate o inesatte, quando va bene…
Al mio paese, per facezia, a volte si diceva “parla come magni” che è meglio…Certo che è meglio, ma loro correrebbero il rischio che gli elettori comprendano ciò che vogliono esprimere.
In politica a volte sembra che alcuni non vogliano essere chiari, altri che non sono in grado di esserlo, mentre quelli che potrebbero esserlo, non possono parlare chiaramente, per ordini di scuderia.
Tuttavia il mio severissimo e colto professore di latino, in certi casi, avrebbe detto loro quello che rimproverava a me, quando sbagliavo la traduzione di quelle ostiche lettere di Cicerone e cioè che la mia ignoranza era profonda crassa e resupina!
Io comunque mi scuso se la mia ignoranza non è superiore a quella di certi “eletti”.
Chissà che non riesca a pareggiare i miei conti!.....
Mi viene in mente questa espressione del mio dottissimo prof. di latino quando sento alcuni politici adoperare l’espressione Jus Solis, per indicare il diritto di cittadinanza italiana che vorrebbero riconoscere a chi nasce semplicemente sul suolo Italiano. Al di là dell’essere pro o contro tale “elargizione” , ricordiamoci che noi Italiani siamo discendenti di un popolo che ha saputo dominare e culturalmente influenzare tutto il mondo (allora) conosciuto. Ricordiamoci che il diritto romano, ha influenzato e posto le basi a molte se non quasi a tutte le legislazioni del mondo. (mi pare che in Inghilterra la Regina ancora possa avvalersi dello Jus solis).
La cittadinanza nell’antica Roma era riferita alla persona fisica; il titolo di cittadino (cives romanum sum) si acquisiva per diritto di nascita da altro cittadino romano.
Solo due furono le eccezioni tollerate per convenienza dai romani , con un trattato di pace a condizioni di parità siglato con Noto in Sicilia e con Camerinum nelle Marche. (Il foedus aequus) Conseguentemente i rispettivi abitanti acquisirono il titolo di Cives Romani. Ma non lo acquisirono perché nati in loco. Ma per condizioni pattizie, in quanto le loro fortezze imprendibili , sarebbero costate troppo ai romani. Meglio quindi siglare un trattato di pace a condizioni di parità.
Parlare di Jus solis, riferito alla persona, è un errore madornale perché sticto jure, lo Jus solis era riferito ai diritti reali e cioè alle cose e non alle persone. Significa diritto di superficie. Mentre il nascituro che nasce sul suolo italiano è una persona e non una cosa. Quindi direbbe qualcuno ma che ci azzecca!
Il diritto di superficie è un istituto prettamente del diritto romano e si riconnette al principio res aedificata solo cedit o più sinteticamente superficies solo cedit .
Tutto ciò che sta sopra il suolo apparteneva al proprietario del suolo stesso. Casi tipici sono quelli della satio (semina), plantatio (piantagione) inaedificatio (costruzione di un edificio) . (Cfr. Arangio-Ruiz - Ist. di Diritto romano- diritti sulle cose).
Forse perchè mi piace ricordare che le nostre radici sono profondamente attaccate alla cultura, civiltà e arte greca prima e poi romana, che io non amo queste espressioni pseudo latine; hanno molto di pressappochismo, non sono attinenti a quanto con esse si vuole esprimere e dovrebbero essere usate con la dovuta proprietà letteraria e lessicale, per non ingenerare equivoci e dare cattivi esempi lessicali. Non li chiamerei nemmeno “mode” . In fondo il nostro italiano è una lingua bellissima, musicale, molto ricca di vocaboli e riflettendo, carica di storia. Si possono usare con proprietà moltissime parole di uso comune: non abbiamo bisogno di ricorrere a quelle straniere per esprimerci compiutamente.
Basta ricordare alcune espressioni dei nostri dialetti per rendersene conto.Basta andare a fare alcune riflessioni linguistiche per capire meglio la nostra storia ed il significato di alcune parole. Siamo un popolo discendente e civilizzato da culture e saggezza antica. Occorre solo un po’ di attenzione per rendersene conto ed approfittarne se si vuol parlar “forbito”.
(ndr) – Non entriamo nel merito delle lingue che furono (e che ancora sono, per fortuna)… ma l’autore non ci spiega come si potrebbe dire in lingua italiana - (senza perifrasi, e senza portarla per le lunghe con giri di parole) “riconoscere la cittadinanza a chi nasce nel suolo italiano”.
… bisognerà aspettare la prossima settimana…
Quindi non si faccia confusione! Lo Jus soli non sia adoperato per indicare la volontà di legiferare concedendo la cittadinanza a chi nasce sul suolo Italiano. I bambini non sono cose ma esseri umani, quindi trattiamoli anche lessicamente come tali. Questi episodi di latinismi estemporanei, almeno a me, dimostrano una ignoranza crassa, profonda e resupina, mascherata da uno spocchioso atteggiamento di saccenza, che quando non mi fa ridere, mi fa incavolare, mi rattrista e mi dimostra che lo spessore culturale è merce abbastanza rara.
Eppure credo che certi politici basterebbe si contornassero di gente capace, di fare “spogliatoio” come va di moda oggi dire, per poi poter partorire espressioni, leggi, riferimenti culurali e quant’ altro di buono e di decente meriterebbe il nostro antico popolo italiano. In Italia ci sono stuoli di docenti universitari in grado di indicare percorsi giuridicamente appropriati . Basterebbe interpellarli.
Già! Ma l’ignoranza ed i pregi, non possono ancora essere valutati dagli elettori. Se non viene cambiata la legge elettorale, diamo il nostro voto a degli illustri sconosciuti sulla nomina dei quali non abbiamo alcuna influenza. Come possiamo valutare lo spessore culturale della persona?. Qui va a finire che si ripete la solita storia: quando il somaro entra nella stalla , resta sempre un somaro e va alla greppia. Ma noi sappiamo almeno che razza di somaro abbiamo eletto? Sarebbe un nostro diritto sapere almeno questo , no? Il raglio che sia almeno appropriato!
Roma, 14.05.2013
Agnolo Camerte