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Arte

Chiostro del Bramante - Roma

Natura e natura morta
secondo la firma dei Brueghel

di Margherita Lamesta

Ancora per pochi giorni, la suggestiva cornice del Chiostro del Bramante ospita una mostra dedicata alla celebre stirpe Brueghel, che fu attiva nei Paesi Bassi, per un periodo di oltre 150 anni, tra il XVI e il XVII secolo, attraverso quattro generazioni di pittori.

Culla di una visione artistica agli antipodi rispetto a quella italiana, le Fiandre esprimono una propria identità pittorica, proprio attraverso il primato della natura che da semplice sfondo si trasforma in vero e proprio soggetto dell’opera d’arte.

   

(Marten van Valkenborch-Hendrick van Cleve,
La Torre di Babele 1580
Olio su tela, Francua, collezione privata)

(Hieronymus Bosch,
I sette peccati capitali, 1500-1515
Olio su tavola, Ginevra,
Geneva Fine Arts Foundation)

Il primo segnale di cambiamento in questa direzione è dato dalla Torre di Babele di Marten van Valkenborch e Hendrick van Cleve, presente in mostra, che ridimensiona enormemente le figure umane ancora in primo piano ma decisamente schiacciate dalla natura circostante e dalla torre, che incombe a sinistra minacciosa. Il grande maestro del capostipite della celebre dinastia Brueghel, Pieter il Vecchio, sarà, tuttavia, Hieronymus Bosch, la cui importanza può essere racchiusa nella definizione che il Guicciardini diede di lui: “un secondo Hieronymus Bosch”. Infatti, I sette peccati capitali di Bosch, presente in mostra, raffigura i peccati come metafora della vita, inscritti in una sorta di oblò, inteso come sfera della vita, al di sopra e al di sotto della quale, in posizione di contesa, il Cristo e i demoni chiudono in basso e in alto il quadro. L’uomo rappresentato da Bosch è vittima delle passioni, è, perciò, agli antipodi dell’uomo rinascimentale italiano al centro dell’umanesimo, che lo raffigura e ritrae in posizione sempre centrale e con intenti idealizzanti. Questo concetto, più tardi, sarà alla base della poetica artistica di uno dei suoi maggiori allievi, Pieter Brueghel il Vecchio, e sarà centrale nell’arte fiamminga, assieme al primato della natura, grazie anche agli effetti della Riforma Protestante e delle teorie calviniste.

Pieter Brueghel il Vecchio svilupperà il suo stile in dialettica con l’irrazionale ed il trascendente; il suo sguardo è disincantato, ironico, la vita umana è per lui banale e ridicola, nella sua incapacità di accettarne la piena caducità. Egli svilupperà nei suoi dipinti una tensione che nasce dall’opposizione tra la perfezione della natura contrapposta all’umana mediocrità ed entrerà così, nell’immaginario collettivo, come l’artista attento alla cosiddetta vita bassa. Il suo sguardo indulgente verso una quotidianità goffa, perciò, intensamente umana, elimina dai dipinti la solennità, la retorica dei sentimenti ufficiali, preferendo la rappresentazione della natura come maestosa e trionfante, al fine di soverchiare l’uomo, per ridimensionarne proporzioni ed importanza. I temi più ricorrenti, infatti, sono i matrimoni, le feste, le danze, in cui gli esponenti delle classi più umili sono i protagonisti, perché espressione di un vivere all’insegna delle passioni, liberi di esternarle fino in fondo, specie nei loro risvolti più triviali e goderecci.

   

(Jan Brueghel il Giovane,
Allegoria dellʼudito, 1645 – 1650
Olio su tela,Ginevra,collezione Diana Kreuger)

(Pieter Brueghel il Giovane,
Trappola per uccelli, 1605
Olio su tavola,Ginevra,
collezione Torsten Jreuger)

Temi, tecnica e suggestioni verranno riprese dai due figli di Pieter Brueghel il Vecchio: Pieter il Giovane e Jan il Vecchio. Mentre il primo seguirà più fedelmente le orme paterne, pur incanalandole nella sua contemporaneità, fatta di maggiore immediatezza ed indulgenza, il secondo rivelerà una natura più mondana. Soprannominato Jan dei Velluti, per i suoi colori smaltati e vibranti, le pennellate accurate, la ricerca di una perfezione che rendono la sua pittura quasi tattile, Jan il Vecchio viaggerà in Italia, collaborerà con Rubens ed avrà grande influenza su tutta la pittura barocca fiamminga.

   

(Pieter Brueghel il Giovane, Danza nuziale allʼaperto, 1610
Olio su tavola, U.S.A., collezione privata)

(Jan Brueghel il Giovane
Allegoria dellʼolfatto, 1645-1650
Olio su tela, Ginevra
collezione Diana Kreuger)

Ad esempio, la Danza nuziale all’aperto di Pieter Il Giovane, presente in mostra, è un dipinto fedele allo sguardo ironico paterno e anche lo spettatore meno attento non può non accorgersi dell’evidente stato di sovreccitazione, per così dire “tangibile”, del contadino in primo piano. Il quadro raffigura una ricchezza di vita e di relazione, attraverso una scena umoristica e vivace, via via rafforzata ritmicamente, man mano che si esaminano i vari particolari: l’altro contadino, in secondo piano, attaccato ad un enorme boccale, quasi in rapporto erotico col vino, o la cuffia svolazzante di una donna che danza, o ancora le pieghe scomposte della veste dell’altra donna presa nei vortici del ballo.

Passando alla generazione successiva, Jan il Giovane, figlio di Jan il Vecchio, eredita dal padre tecnica e stile e di lui si possono ammirare in mostra varie allegorie, di cui ricordiamo, in particolare, l’Allegoria della Pace e l’Allegoria della Guerra. Il tavolo sensuale, simbolo dell’abbondanza e della serenità del primo si trasforma, nel secondo, nella brutalità con cui lupo e leone uccidono pecora e capretto. A simboleggiare la legge del più forte che trionfa tra le belve, nel secondo piano del quadro, la bestialità è rappresentata nel suo passaggio di specie, dalle fiere agli uomini, attraverso una scena di stupro ai danni di una donna: in guerra sono i più deboli a soccombere, laddove in tempo di pace le donne del banchetto sono finemente corteggiate. In ultimo, la colomba della pace che traina Venere e Cupido, mentre lanciano fiori e gioielli dall’alto, scompare nel secondo dipinto, a favore di Marte e Aletto con le fiaccole in mano, come simbolo di animi in preda alla furia esacerbata, e a favore di ornamenti e corazze, chiari emblemi di morte posti in primo piano.

D’altronde, accanto all’allegoria che contiene in sé già un messaggio visivo, questi sono anche gli anni in cui si sviluppa, nella pittura fiamminga, il gusto per l’esotico, per ciò che proviene dalle Americhe o dall’Oriente. Ricordiamo, in particolare, la ricorrente raffigurazione dei tulipani, ad esempio, provenienti dalla Turchia, o di altre specie di fiori, che conquistano così una posizione centrale nei dipinti, grazie anche al loro significato morale. Simbolo della vanitas per eccellenza, i fiori si riallacciano al concetto di transitorietà e caducità della vita, oltre a condurre un significato proprio, a seconda della specie:il giglio per l’amore, la rosa bianca per la purezza, il garofano per il sacrificio del Cristo, il tulipano per l’avidità - significato sinistro a cui contribuì la prima grande crisi occidentale, scoppiata nel 1637, a causa di una forsennata tulipomania. Composizioni di fiori e frutta, fiori vivi e fiori recisi, fiori e gioielli preziosi, fiori con farfalle, lumache e lucertole, ghirlande di fiori che ornano dipinti di santi, sono tutti giochi di combinazioni che ben si prestano alla resa di delicate sfumature e a ricchi giochi di luci e ombre. Non solo. Raffigurando i fiori, la pittura fiamminga si specializza nel suo gusto per il particolare, ancora una volta in opposizione allo stile italiano. Ad esempio, una Natura morta di Jan Brueghel il Giovane, presente in mostra, raffigura ben cinquantotto specie di fiori, con oltre settanta esemplari dipinti, testimoniando un lavoro lunghissimo, poiché trattasi di un mazzo impossibile in natura, a causa della fioritura delle varie specie, che avviene in momenti dell’anno completamente diversi. Due Natura morte di Ambrosius, fratello di Jan il Giovane, invece, presentano uno sfondo nero, rivelando una ricerca dell’essenziale, che si contrappone al gusto manieristico rivolto al particolare, e spianando così la strada verso una pittura più moderna.

   

(Ambrosius Brueghel, Olio su tavola, Nature morte con fiori,
1660 – 1665, Vermont, collezione privata)

Colori caldi e forti, pennellate lievi, spiccato gusto per l’armonia d’insieme, stile materico e viscerale di chiara ispirazione italiana, è quanto emerge, infine, dall’ultimo quadro della mostra: una Natura morta di Abraham Brueghel, del 1670. Infatti, Abraham, il fracassoso, aggettivo ben lontano dal dei Velluti, conferito a suo nonno, dopo il suo viaggio in Italia, non tornerà più nelle Fiandre, sposando in pieno la tradizione pittorica italiana e chiudendo così, in modo imprevedibile e bizzarro, l’epopea della sua celebre famiglia.

Una mostra unica ed imperdibile, dunque, per varietà di opere d’arte - più di 100 esemplari - e per l’opportunità di ammirare pezzi provenienti da collezioni internazionali pubbliche e private, altrimenti precluse ai più. Vale, perciò, la pena di inserirla nel proprio bagaglio di conoscenze, se esso si sviluppa secondo il credo della bellezza ma non della vanitas, qui finemente rappresentata, eppure ferocemente attaccata.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)