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Racconto

Il Segretario Generale

di Ruggero Scarponi

- Ohi, Ohi, Ohi! - Ohi! Ohi! Ohi!

Povero me! Come faccio adesso, chi mi pagherà lo stipendio?

Tutti se ne sono andati. Maledizione!

Signore, scusi, ma lei ha idea di chi mi pagherà lo stipendio? Qui non c'è più nessuno, sono scappati via tutti come se il diavolo li stesse inseguendo. A chi dovrei rivolgermi, secondo lei, per avere i miei soldi, ora che non c’è più nessuno qui?

Chi mi pagherà lo stipendio questo mese? -

A parlare era un ometto piccolo e impaurito con indosso una divisa da usciere che mi venne incontro non appena feci il mio ingresso nella grandiosa hall della Sede Centrale del Partito.

Alla richiesta dell'uomo, risposi facendo cenno di no, con la testa, che non sapevo nulla dei fatti suoi e senza aprire bocca lo scansai e mi avviai verso la rampa che conduceva al primo piano.

Lì si trovavano gli uffici più importanti, compreso quello del Segretario Generale.

- Ma non può salire, di sopra. Non può andare...-

Mi apostrofò, senza troppa convinzione l'ometto, da giù, dall'androne del palazzo.

– E’ vietato, per salire dovrebbe dire chi è... farsi annunciare...-

Terminò la frase bofonchiando. Egli stesso doveva essersi reso conto dell’assurdità della richiesta. Nel Palazzo non c’era più nessuno.

Raggiunsi a passo svelto l'ufficio del Segretario.

Il pavimento del lungo corridoio che vi conduceva era cosparso di una quantità di materiali in disordine, di fogli e documenti scompaginati, relazioni e atti amministrativi del Partito sparpagliati per ogni dove.

Ero pervaso da un’ansia febbrile, dovevo sbrigarmi, fare in fretta, prima che a qualcuno venisse in mente la stessa idea che era venuta a me. Intorno c’ erano evidenti, tutti i segni di una fuga precipitosa.

Nell'ufficio poi, era ancora peggio. Un disastro, come se vi fosse passato un tornado. Mobili e sedie rovesciate. A terra c'era di tutto.

Tra le altre cose riconobbi, completamente frantumata, la celebre penna stilografica con la quale il Segretario Generale era solito firmare gli accordi importanti, ripresa tante volte in primo piano dalla televisione.

L'ometto mi seguì. Si affacciò alla porta dell'ufficio e con la faccetta grinzosa e gli occhietti piccoli e vuoti continuò a recitare come un idiota, la sua insopportabile filastrocca.

- Ohi, Ohi, Ohi, Signore, spero proprio che almeno lei possa aiutarmi. Secondo lei cosa dovrei fare, da chi dovrei andare per farmi pagare lo stipendio perché vede, è che non so proprio come fare questo mese se non ricevo lo stipendio. Ho degli impegni io. È sicuro di non sapere a chi dovrei rivolgermi?

Per un attimo si arrestò pensieroso per poi riprendere implacabile.

- Ma questo posto, secondo lei, mi dica, non è come un ufficio statale? È la sede Centrale del Partito, come fosse lo “stato”, no?

Dovrebbe essere garantito lo stipendio di un lavoratore come me che sono sempre il primo ad arrivare. Deve sapere Signore che io di regola, dovrei prendere servizio alle sette del mattino. Ma per compiacere il Signor Segretario Generale, ci sono da almeno un'ora prima a fare il mio lavoro e tutti i giorni, mi creda. E ora vorrei avere solo quello che mi spetta...

Ohi, Ohi, Ohi!

Mentre il terribile seccatore continuava a lamentarsi, io mi stavo dando da fare nella ricerca spasmodica tra montagne di carte raffazzonate, faldoni squinternati, registri e protocolli.

Continuavo a cercare, tra i tanti documenti, mentre l'ometto con petulanza si ostinava a parlarmi dei suoi guai.

Alla fine spazientito risposi.

- Ma cosa vuole che ne sappia? Non sono mica del Partito io, sono un giornalista...Per favore mi lasci fare il mio lavoro, si rivolga per le sue cose all'Ufficio Cassa, all'Amministrazione, se ce n'è una, o che so io, veda lei, ma mi lasci in pace, per favore.

- Un giornalista?- Esclamò l'usciere pieno di meraviglia

- Ah! Lo dicevo io. Mi era sembrato, infatti, che non era uno del Partito!

Li conosco bene quelli, io. Praticamente li conosco tutti!

Sa, sono tanti anni che sono qui e ne ho vista di gente passare!

Eh! Eh! – ridacchiò

– Andavano tutti su. Tutti volevano parlare con lui , sapesse Signor mio, a quanta gente ho fatto fare anticamera...

Lo bloccai con un gesto eloquente.

- Che cosa vuole che m'interessi tutto questo...?-

Sbottai, infastidito, senza neanche alzare la testa.

-Eh! Eh! Quanta anticamera facevano prima di poter passare...-

Continuò imperterrito

- Gente importante anche, che crede? E finché non concedevo il permesso io, tutti qui, seduti, sulla panca di legno di fronte a me ad aspettare, come tanti scolaretti. Era come se dipendessero da me e mi scrutavano, ansiosi di scorgere il cenno che gli avrebbe permesso di salire su da lui e questo li faceva andar fuori di testa per la rabbia e mi guardavano torvi, con sguardi pieni di risentimento! Sapesse allora caro Signore, i grugniti, i sospiri d'impazienza, di tutti quei signori importanti! Ma zitti, tutti zitti e buoni, in attesa che lui si degnasse di riceverli.

Eh! Eh! - ridacchiò di nuovo, al ricordo, quasi con le lacrime agli occhi.

-Però le signorine no, signor mio, quelle, avevano una corsia preferenziale, sicuro! Eh! Eh! Avevano un modo di fare quelle...

- Ehhhh!- sospirò il vecchietto - tutte quelle signorine...Com'erano belle! Venivano con certi abiti fruscianti e certi profumi...! E come sorridevano...Sembrava che dietro a ogni sorriso si celasse la promessa di un pezzetto di Paradiso...Che donne! Eh! Che tempi, bei tempi quelli, quanta bella gente che veniva...E...

Stava per continuare quando lo interruppi:

- D'accordo. Ha finito? Adesso che ha rivangato il suo bel tempo andato, vorrebbe essere tanto gentile da lasciarmi lavorare in pace? –

Lo dissi quasi con dolcezza, nella speranza che cambiando tono, riuscisse più efficace la mia richiesta.

- Però lei, eh, - insistette tenace - mi sembrava...Non volevo dirlo, ma mi sembrava proprio che col Partito lei non c'entrasse per nulla - e dopo una breve pausa - Un giornalista ha detto...Un giornalista...- ripeté come se stesse riflettendo su qualcosa di vagamente familiare - non volevo dirlo, io, - continuò pensieroso - ma mi sembrava proprio...

All’improvviso mi piantò in faccia i suoi occhietti di ghiaccio.

- Un giornalista...- ripeté ancora – Uno...dei suoi...dei suoi...di lui, cioè - Mormorò allusivo.
Allora mi fermai e gli chiesi a brutto muso:

- Che intende con quel “uno dei suoi”?

Mi osservò attentamente prima di rispondere.

- Uno...Di quelli che gli scriveva per il suo giornale...O sbaglio?-

Insinuò maligno.

Rimasi un istante perplesso. Mi rifiutavo di giocare al suo gioco, per cui tagliai corto.

- No, no, guardi con me non funziona e si sbaglia di grosso, se crede di farmi passare per un lecchino. Pur lavorando nel suo giornale, io non sono mai sceso a compromessi, non mi sono mai venduto e sono stato chiaro fin dal principio. Ho sempre svolto il mio lavoro con piena coscienza e autonomia...Per cui...

- Eh! Eh! – ridacchiò beffardo

– allora vorrà dire che lei era, come dite voi giornalisti, “una voce fuori dal coro” Eh! Eh!Non è vero? Fuori dal coro! Dite così, no? Voialtri? Eh! Eh! Che ridere!

A quelle insinuazioni non resistetti e mi ribellai con veemenza.

- Ma come si permette pezzo d’animale. Io sono un professionista serio e affermato, badi a come parla, screanzato!

- Un professionista, certo, come no! – Esclamò sardonico. - Che però appena le si è presentata l’occasione, appena ha annusato che il vento era cambiato, è venuto di corsa al capezzale... per rubacchiare...

- Ma senti questo che razza di impudente! – replicai - Quello che cerco io non è per lucro. A me personalmente non me ne viene nulla, ma abbiamo, noi giornalisti, il dovere di render noto ciò che appartiene alla storia di questo paese, e il paese ha diritto di conoscere certe cose, per cui caro lei questo non è rubacchiare, come dice.-

Mi arrestai un istante, emisi un profondo sospiro e ripresi:

- ma tanto che sto qui a perdere tempo. Che parlo a fare! Non credo proprio che uno come lei possa comprendere la differenza tra le due cose...

Ma il piccoletto non mollava e come avesse dimenticato completamente la nostra disputa, riprese pervicace le sue lamentazioni.

Ohi! Ohi! Ohi! - piagnucolava straziante

- E lo stipendio, adesso a me chi me lo deve pagare?

Poi come se si fosse ricordato di qualcosa, mi puntò di nuovo in faccia i suoi occhietti piccoli e gelidi e mi chiese quasi mellifluo, insinuante:

- Ma lei che è un giornalista, di sicuro potrebbe informarsi, conoscerà tanta gente col mestiere che fa, al Parlamento, magari anche al Governo, glielo dica, glielo dica sa, a quei signori che mi debbono pagare lo stipendio, se no come faccio ad andare avanti questo mese?

Me lo promette, che glielo dice?- concluse.

Ne avevo abbastanza. Decisi che non volevo più ascoltarlo e ostentatamente lo ignorai.

E mentre continuava a blaterare mi avvicinai alla finestra.

Si era a metà pomeriggio, un freddo e ventoso pomeriggio di febbraio.

Nel palazzo molte finestre erano state lasciate aperte e le gelide folate di vento si intrufolavano nelle stanze e nei corridoi facendo sbattere porte e mulinare cumuli di carte, polvere e cenere di sigarette. Vi si respirava acre l'odore della “caduta”. Di sotto nella Piazza antistante al Palazzo era il deserto. Dopo il clamore della mattinata, la manifestazione di protesta, i tafferugli, ora tutto taceva. La bandiera del Partito, altre volte orgogliosamente sventolante, penzolava mesta e a brandelli, quasi avvinghiata all'asta, dal balcone dell'ufficio da dove innumerevoli volte si era affacciato il Segretario Generale per annunciare le tante vittorie elettorali.

Un poco distante però nei pressi del vicino Hotel si udivano distintamente le urla e le imprecazioni della folla. Di sicuro un nutrito cordone di polizia stava a presidio dell' incolumità del gigante abbattuto, finito nella polvere e che all'insorgere dei primi tumulti era corso a rifugiarsi nell'albergo, dove risiedeva abitualmente durante i soggiorni nella capitale, vicino alla sede del partito.

(fine prima puntata)


Racconto d’altri tempi  

Lo Scienziato

di Agnolo Camerte

Adesso non fare storie! Vai su a S.Domenico a prendermi un litro di latte! Disse la mamma con tono che non ammetteva repliche! Ma è già buio! – provò a piagnucolare Carletto- ho paura ad andare da solo! Ma cammina! –replicò la mamma- la strada è illuminata e poi ti porti la cagnetta Alba che ti fa compagnia! A pensarci bene non era una gran fatica andare a prendere un litro di latte su a S.Domenico, anche perché Alba si faceva prendere per la coda e tirava su in salita... Che pazienza quella bestiola!

Carletto, sapendo che con la mamma c’era poco da scherzare, rassegnato prese la bottiglia, pensando che forse Cesarino lo avrebbe accompagnato. Non lo poteva cercare solo per giocare a pallone o alla guerra contro quelli di San Filippo; nel momento del bisogno si vede come è un amico... Cesarino si dimostrò un amico: lo accompagnò.

Usciti in strada, passando davanti alla Facoltà di Veterinaria, c’era una sola finestra illuminata. Una luce opacizzata dai vetri, con al centro un’ombra rotonda che assomigliava ad una palla. Vedi? Disse Cesarino, c’è il Professore che sta studiando. A volte studia tutta la notte, si capisce dalla luce rispose Carletto...

Cesarino fece un sorrisetto da furbastro, facendo capire che lui ne sapeva di più: in fondo lui era più grande... Bè che vuoi dire... mo che mi racconti, un’altra favola? Replicò Carletto.

Ma no! Solo penso che ora anche tu devi sapere chi è il tuo Professore che ci ha imbalsamato il barbgianni. Ma ti pare normale che sia riuscito a pietrificare quel rospo ed a legnificare quella rana? Il bidello te le ha fatte toccare no? Ti ricordi?

   

Camminavamo parlando, e Carletto, apparentemente tranquillo, fu percorso da un brivido di freddo per la schiena: era fifa Stavano passando sotto la finestra misteriosa...

Ma si! Possibile che non sai che lui ritiene di essere la reincarnazione di un sacerdote egizio, e che crede nella metempsi... come si dice!... metempsicosi! ecco metempsicosi! Non ho capito bene che significa però pare che lui parli con quel sacerdote egizio morto tanti anni fa che gli suggerisce tante cose strane!

Ma tu sei matto! Rispose Carletto che già era impaurito di suo! Me lo dici per mettermi più paura!

Guarda che non ce ne è bisogno perché io già sto tremando del mio! Via di corsa sulla salita, in un attimo ero arrivato a S,Domenico sulla piazzetta, dal droghiere a prendere il latte.Poi ansimando arrivò Cesarino che non la smetteva più di ridere e di portarmi in giro!

Ma come, proseguì, Cesarino, non lo sai che lui è anche un medium famoso, conosciuto per questo in mezzo mondo, e che fa le sedute spiritiche con quella signora che abita in Via Roma, quella che insegna..; spesso va in giro tutta vestita di nero... .Quelli sono due che non scherzano!
Ma te la vuoi smettere di sparar cavolate? Rispondeva Carletto. Ma che spiritismo, che spiritismo o metempsi... che’ Io non ci credo! Andiamo dai che devo portare il latte a mamma... E si mise ad accarezzare Alba sulla testa, che apprezzava molto quel gesto.

Cesarino tornò alla carica: se non ci credi domani andiamo nel suo studio, così ti faccio vedere che cosa c’è sulla sua scrivania che fa quell’ombra sui vetri...

Naturalmente la fifa aumentò nel passare avanti a quella finestra e fu uno sforzo immane non mettersi a correre verso casa. Cesarino non correva e nemmeno io dovevo! Ma la paura altro che novanta come diceva zia! Poco mancò che non me la facessi addosso..fortuna quel bagnetto all’inizio delle scale di casa...

L’indomani pomeriggio i due eroi cercarono di entrare nella stanza del Professore, eludendo la sorveglianza del bidello, che non faceva altro che cacciarci via... .Entrati nello studio, che era vuoto, Carletto si accorse subito che sulla scrivania, dietro la lampada , c’era un grosso teschio..
Il tuffo al cuore fu subitaneo..ma sull’istinto di scappare prevalse subito la curiosità... ..e si mise ad osservarlo attentamente. Chissà, sarà mica quel sacerdote egizio? Pensò.

      

Aleggiava in quella stanza un vago odore tra lo zolfo, la formaldeide, l’etere ed un altro odore indefinibile. Era una stanza piena di mistero... Sulla scrivania un sacco di libri, alcuni aperti ed altri accatastati, alcune pergamene ed un sacco di matite e di penne.

Inevitabilmente pensai chissà se fa qui gli spiritismi. .. Cesarino sottovoce disse che era probabile ma che era meglio se filavamo via! Si sentivano dei passi sul corridoio. Meno male!

Uscimmo di soppiatto, ma sentendo i passi avvicinarsi, aprimmo la prima porta a destra e ci infilammo dentro. Era la stanza dove il bidello ci aveva proibito di entrare. C’erano sotto formalina in grossi vasi di vetro, feti umani ed animali nati deformi... Impressionante! C’era un vitello con otto zampe, quattro sulla schiena...

Peggio di così non poteva andare quel giorno: tra spiritismi, metempsicosi, reincarnazione e esseri deformi, sembrava di stare su di un altro pianeta.

Riuscimmo a scappare dal museo di storia naturale senza incontrare il bidello e nemmeno il Professore, che tuttavia a parlarci non era niente male. Brutto era proprio brutto e burbero con gli studenti, mentre con noi curiosi ragazzetti era molto tollerante.

Naturalmente indagai sulla faccenda delle sedute spiritiche: era tutto vero, il Professore era uno studioso della fenomenologia, tanto da scrivere articoli sullo spiritismo su un giornale (l’Aurora? Non ricordo bene) diffuso in tutto il mondo. Pare avesse subisse pure una scomunica, poi rientrata.

Per certo non lasciò a nessuno la formula per pietrificare o legnificare gli animali perché asseriva che gli era stato proibito da quel sacerdote egizio maestro imbalsamatore.

Cesarino diceva di crederci... io invece no! Ma non per paura dell’ignoto, meglio essere sinceri: per una buona dose di sana fifa...

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)