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Parchi e Oasi dello Spirito

Macenano di Ferentillo – Terni

Abbazia di San Pietro
in Valle

di Dante Fasciolo


L’abbazia di San Pietro in Valle è uno storico monastero della Valnerina, nel comune di Ferentillo e più precisamente a Macenano, in provincia di Terni.

Immerso nel verde, fu edificato nell’VIII secolo da Faroaldo II duca di Spoleto nei luoghi dove si tramanda abbiano vissuto gli eremiti Lazzaro e Giovanni.

Si tratta di un luogo particolarmente amato dai numerosi visitatori per la quiete che vi regna e per le bellezze naturali del circondario, tipiche del paesaggio umbro più intimo e raccolto, quasi geloso delle sue terre, delle sue acque e del suo verde.

Si potrebbe dire che il complesso architettonico longobardo è il testimone di un modo d’essere di questi luoghi e al contempo emblema della spiritualità che questi stessi lunghi hanno a lungo suscitato alimentando il cammino di eremiti, eroi della fede, santi tra i più venerati, Benedetto e Francesco per citare due nomi, e Chiara e Rita.

   

Secondo una leggenda il Duca di Spoleto vide in sogno San Pietro che lo invitò ad edificare nel luogo dell'attuale abbazia un monastero benedettino. Pochi anni dopo il duca rinunciò al titolo e si fece monaco nell'abbazia. Da allora il cenobio fu strettamente legato alla città di Spoleto accogliendo le spoglie di molti dei duchi della città.

Sul finire del IX secolo il monastero subì, come accadde poco dopo a Farfa il saccheggio dei Saraceni e risorse solo nel 996 per volere di Ottone III. Nel 1234 Gregorio IX assegna l'abbazia ai Cistercensi in linea con quanto avviene del Lazio sotto Innocenzo III.

Nel 1484 papa Innocenzo VIII dona il feudo dell'abbazia ai Cybo. Inizia così una “Saga dei Cybo”: Il papa Innocenzo VIII (Giovan Battista Cybo - ossia Giobatta ricordato come il pontefice romano che iniziò la caccia spietata alle streghe), come detto, costituì per suo figlio Franceschetto Cybo un principato nominandolo, oltre a duca di Spoleto anche conte di Ferentillo e quindi governatore dell'abbazia.

A Franceschetto, che sposò Maddalena de' Medici, successe il figlio Lorenzo Cybo, il quale sposò Ricciarda Malaspina marchesa di Massa e Carrara. Dal matrimonio nasce Alberico I Cybo, il quale, dopo la morte della madre Ricciarda, assunse anche (sempre per volere della madre) il cognome di Malaspina.

Alberico I Cybo Malaspina divenne così Marchese di Massa, Signore di Carrara, Conte di Ferentillo governatore di Monteleone di Spoleto e quindi signore anche della Abbazia di San Pietro in valle. Il feudo di dominio dei Cybo Malaspina durò fino al 1730 con Alderano Cybo.

   

L'abbazia comunque ebbe sempre la commenda degli Ancaiani nobili spoletini fino alla sua vendita definitiva avvenuta nel 1907. L'edificio è un monumento nazionale visitato da molti turisti per le sue opere d'arte, come il ciclo degli affreschi di scuola romana (1150) antecedenti il Cavallini; gli affreschi nell'abside del maestro di Eggi del 1445.

La chiesa, che è rimasta come corpo separato rispetto all'abbazia, è ad una sola navata che risale al VII secolo; l'abside è del XII secolo. Conserva pregevoli affreschi medievali e rinascimentali di scuola umbra raffiguranti scene dell'Antico e del Nuovo Testamento.

Al II secolo risalgono invece quattro sarcofagi conservati nella chiesa, che per lo stile e le raffigurazioni fanno pensare ad artisti orientali: Sarcofago con tre barche (viaggio nell'Ade); Sarcofago di Faroaldo con Dioniso, Sileno, Pan e Menade danzante; Sarcofago di Amore e Psiche; Sarcofago dei cacciatori. i epoca longobarda sono invece le due lastre dell'altare principale, scolpite a bassorilievo.Su quella che è fronte dell'altare corre una scritta in lingua latina, con curiosi caratteri misti maiuscoli e minuscoli: “Ilderico Dagileopa, in onore a san Pietro e per amore di san Leone e san Gregorio, per la salvezza dell'anima (pro remedio animae)”. Ilderico fu duca di Spoleto tra il 739 e il 742. La lastra è inoltre adornata con due bizzarre figure, con le braccia piegate a 90° e levate verso l'alto, con il petto nudo e indosso un gonnellino corto. Le figure sono circondate da fusti vegetali stilizzati, che culminano in dischi con delle croci inscritte. Una delle due figure brandisce uno sorta di stiletto, da alcuni ritenuto uno scalpello. Ciò suggerirebbe che la figura rappresenta Orso, lo scultore indicato come autore dell'incisione dalla scritta Ursus magester fecit (“Il maestro Orso l'ha fatto”).

   

Più difficile comprendere chi sia l'altra figura: il gonnellino, indumento forse adatto all'attività di scultore, mal si addice alla dignità del duca. Le braccia levate sono state interpretate come atteggiamento rituale e, in questo caso, il gonnellino corrisponderebbe al panno che si indossa dopo il battesimo (che, anticamente, si svolgeva per immersione). La posa corrisponderebbe a quella del coevo altare in osso del vescovo Liudger a Werden (frazione di Essen) o a quella del sarcofago del vescovo Agilberto nella cripta di Jouarre (Francia), leggermente più antico.

Questo di San Pietro in Valle è uno dei rarissimi casi, nell'arte medioevale, in cui si può facilmente distinguere il committente dall'artefice, grazie al fatto che sono entrambi menzionati. Tutto ciò aiuta i visitatori, studiosi e appassionati d’arte, a meglio collocare il tempo storico e le vicende del territorio e a meglio comprendere come lo spirito degli artisti e dei committenti abbia indirizzato e guidato la realizzazione dei manufatti artistici oggi giustamente considerati beni preziosi del patrimonio culturale nazionale.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)