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racconto

An Irish Novel

di Ruggero Scarponi

- Per la verità, - disse Padre O’ Connor, - una certa diffidenza per i Palazzi Romani l’ho sempre avuta.

- È stato a Roma di recente, Padre? – Chiese il giovane Martin, da poco ordinato sacerdote nella contea di Sligo.

- Grazie a Dio non mi sono mai mosso dalla nostra Irlanda – Rispose O’ Connor mentre strizzava l’occhio al barista William. – Senza le mie due pinte giornaliere – aggiunse – non credo che riuscirei a conservare la fede!

Tutti risero nel bar alla battuta dell’anziano religioso e tutti sollevarono i bicchieri in segno d’approvazione.

- Laggiù – continuò O’ Connors – nell’Urbe, si dicono tante parole, ci si perde dietro a una quantità di discorsi insulsi, tutta roba filosofica, che non dico che ai cervelli più fini non possa essere gradita, ma a me è sempre sembrata buona solo per gente vana e oziosa.

Noi, invece, siamo gente diversa.

Qui il religioso prese un bel respiro. Era in piedi davanti al bancone col bicchiere della Guinnes in mano. Fece qualche passo e si avvicinò alla finestra che dava sulla scogliera. In quel momento soffiava un freddo vento oceanico, il cielo era grigio di pioggia e da sotto giungeva chiaramente l’urlo rabbioso delle onde che si frangevano sull’alta falesia.

- Ecco – disse gravemente mentre l’ultima luce del giorno si spegneva in lontananza – ecco, questa è la natura con cui abbiamo a che fare, per combattere contro questi elementi ci vogliono membra temprate e spiriti forti.

Tracannò l’ultimo sorso di birra, estrasse dal borsellino i soldi, pagò a William un giro completo per tutti i presenti e poi disse:

- Ora sarà meglio andare fra un’ora ricevo i ragazzi delle prime comunioni.

- Padre, l’accompagno – si offerse il giovane Martin – qui fuori ho la macchina.

- Non se ne parla – protestò il vecchio O’ Connor, - camminare mi farà bene e poi sono meno di due miglia.

Martin non insistette ma quando uscirono all’aperto si rese conto che l’anziano compagno si reggeva a malapena sulle gambe.

- Non sono più quello d’una volta, figliolo – si giustificò sospirando il vecchio e aggiunse – da giovane avrei potuto prosciugare il bar senza risentirne mentre adesso sono sufficienti due innocue pinte a imbrogliarmi le gambe, tu però stai alla larga da me, non è ancora arrivato il giorno che qualcuno mi debba riportare a casa!

Per la verità il bravo Martin senza contraddirlo era riuscito con modi garbati a condurre l’anziano sacerdote alla macchina.

- Insomma – bofonchiò quello – non hai nessun rispetto? T’ho detto di lasciarmi fare da solo!

Ma Martin con dolce fermezza aprì lo sportello dell’auto e ve lo caricò quasi di peso.

- Eh, Martin, - disse O’ Connor come se parlasse tra se - che brutta cosa la vecchiaia, vedrai quando toccherà a te…- S’interruppe, non aveva fatto in tempo a rannicchiarsi contro lo schienale che si addormentò di colpo.

Martin allora prese posto alla guida e mise in moto.

In quel momento però era scesa sulla scogliera una nebbia densa e il giovane sacerdote faceva fatica a seguire il tracciato, incerto per la verità, tutto in mezzo a campi e torbiere, della stradina che dal bar conduceva alla parrocchia di San Kevin.

Per colmo di sventura, dopo la nebbia si scatenò un temporale che contribuì non poco a ridurre la visibilità con violenti scrosci di pioggia. Il giovane sacerdote perse ben presto l’orientamento, per di più l’anziano compagno dormiva pesantemente e lui che era forestiero di quei luoghi non aveva la minima idea di dove stesse andando. Oramai si era infilato in un dedalo di viottoli campagnoli da cui sembrava impossibile uscirne. Cercò di svegliare il vecchio O’ Connor ma invano. La notte era calata e nel buio non si distingueva neanche più la carreggiata che sembrava diventata un fiume di fango. Martin continuò a guidare per ore in quel lugubre paesaggio senza trovare una casa, un punto di riferimento, qualcosa che lo aiutasse a ritrovare la strada per San Kevin. Alla fine fu vinto dallo sgomento. Arrestò l’auto nel mezzo di una landa solitaria. Appoggiò stremato il volto tra le mani e si accasciò piangendo sul volante.

Poi colto da un’ illuminazione, trasse di tasca il rosario e cominciò a pregare con fervore.

- Prega figliolo, prega – rimbombò seria la voce di Padre O’ Connor.

- Oh Padre, finalmente – esclamò il giovane. – siete sveglio, meno male. Credo di essermi perso

- Lo vedo – rispose tranquillo l’anziano – Bisogna perdersi qualche volta nella vita, se ci si vuole ritrovare – sentenziò.

- Non capisco – disse Martin – mi sembrava di aver preso la strada giusta e poi a un tratto mi sono trovato…Dio sa dove!

- Non preoccuparti – Disse O’ Connor, - Dio lo sa.

- E ora? – Chiese Martin

- Ora preghiamo e aspettiamo che faccia giorno –

- E i bambini delle prime comunioni? Che faranno da soli, nella parrocchia?

- Non preoccuparti per loro, hanno tutti delle buone famiglie.

- Mi spiace Padre, - disse sconsolato il giovane - volevo accompagnarla e invece…

- Martin , figliolo, forse questo è un segno del cielo. Forse questo tempo che passiamo insieme è l’occasione che Dio ci offre per conoscerci meglio, per confidare uno nell’altro come fratelli. Vedi Martin voglio farti una confidenza in proposito.

Man mano che O’Connor parlava, Martin sentiva di star meglio, di rasserenarsi.

- Dunque Martin – continuò l’anziano – voglio rivelarti perché oggi mi sono espresso in quel modo riguardo a Roma. Tu mi conosci da poco, ma certamente avrai colto che sono un carattere piuttosto scettico, uno che crede poco persino ai miracoli, uno…ma procediamo con ordine.

Da giovane ero un promettente studente nel collegio ecclesiastico e Sua Eccellenza il Vescovo, da poco giunto in Irlanda da Roma, mi aveva preso a benvolere. Soprattutto apprezzava l’atteggiamento di severa censura che mostravo ogni qualvolta sentivo le inverosimili storielle di elfi e folletti tanto care alle nostre genti sulle colline. Certamente aveva maturato qualche progetto su di me e, infatti, subito dopo la laurea in teologia mi prese come segretario. Furono anni esaltanti, caro Martin, in cui appresi i modi della più raffinata diplomazia venendo a contatto con uomini illustri delle istituzioni religiose e laiche. Sua Eccellenza un giorno in tutta confidenza mi parlò come un padre rivelandomi che aveva preso la decisione d’inviarmi a Roma con un incarico di grande responsabilità presso la Curia e poi…poi, mi fece intendere che se avessi condotto le cose per bene nulla avrebbe potuto impedirmi di raggiungere i più alti traguardi. Ero giovane e ambizioso e baciai le mani a Sua Eccellenza per il favore che mi accordava.

Prima di partire, però, mi fece un altro gradito dono, quello di una breve vacanza da trascorrere in famiglia, proprio qui, nella parrocchia di san Kevin.

Ero ansioso di raccontare tutto a mia madre che fin da bambino aveva sognato per me la carriera ecclesiastica. Fu una bella giornata di festa quella con tutti gli amici e parenti giunti dalle vicine contee a salutarmi. Poi nel pomeriggio, noi ragazzi, ci scatenammo in una memorabile partita di hurling che naturalmente ci mise addosso una sete del diavolo. Anche allora, dopo tanto giocare, finimmo da William per bere due o tre pinte. Uscimmo dal locale che era già notte e dopo i saluti chi da una parte chi dall’altra ognuno prese la sua strada. Io, come ti dicevo, nonostante le due o tre pinte che avevo in corpo, mi sentivo fresco e lucido come fosse mattina e fischiettando allegro mi misi di buon passo sulla strada di casa. Ma quando giunsi nel tratto adiacente al bosco, mi si fece avanti, sbucata da chissà dove, una donnicciola piccola e curva che sembrava quasi la radice contorta di un albero centenario.

- Padre – mi disse con voce accorata – c’è uno che sta per morire, c’è bisogno di lei, non si faccia pregare, mi segua per favore.

Ero perplesso. Era un incontro inaspettato, di notte in un luogo isolato, temetti un agguato. Ma poi scacciai via un simile pensiero pensando che prima di ogni cosa dovevo operare per il mio ministero. Decisi di fidarmi e mi affidai al Signore. Caro Martin, se sapessi, credo di aver camminato per ore prima di giungere alla casa del moribondo. La notte era talmente buia che non vedevo nulla né avanti né intorno, solo il lembo del mantello che ricopriva la mia anziana guida che mi precedeva a passo svelto. Pertanto non saprei dirti dove ero finito, proprio come ci sta capitando oggi, qui in questa campagna desolata. Finalmente, come ho detto giungemmo a destinazione. La casa era chiaramente stravagante, così come le persone che la occupavano, tutti tipi bassotti e tarchiati alti poco più di un cane di taglia grande, la metà di un essere umano. Erano vestiti come nelle favole con grandi calze di lana, scarpe enormi e strani berretti a punta. Non volevo credere a quello che l’evidenza mi stava mettendo davanti. Ero finito in un villaggio di folletti, non c’era dubbio. Provai a pizzicarmi le guance a mordermi il labbro nella speranza che fosse tutto frutto di un’allucinazione, di un sogno e che da un momento all’altro mi sarei svegliato nel letto di casa mia.

Purtroppo caro Martin, era tutto vero, e so che dicendo questo anche tu come tutti coloro cui ho raccontato questa storia, mi prenderai per matto, eppure, ti giuro Martin non sto mentendo, tutto era maledettamente vero. I folletti furono molto ospitali e dopo una prima esitazione si fece avanti un vecchio con una grande barba. Teneva in mano una pipa dal cannello lunghissimo e mi fece cenno di seguirlo in disparte in un’altra stanza. Fui costretto a camminare ricurvo per non rischiare di urtare contro il soffitto essendo l’abitazione costruita per persone molto più piccole del normale.

- Noi folletti – disse il vecchio – siamo soliti starcene per i fatti nostri e non amiamo ficcare il naso nelle cose degli uomini così come desideriamo che voi – disse indicandomi con l’indice straordinariamente grosso e nodoso, della sua mano – facciate altrettanto. Ora so bene che per la vostra religione noi o non dovremmo esistere o se esistiamo dovremmo essere originati da forze oscure e malsane. Bene, non è così. I folletti sono su questa terra da molto prima di voi umani e la nostra natura è pacifica. Siamo lavoratori e onesti padri di famiglia. Ma abbiamo le nostre credenze, con tutto il rispetto per le vostre.

A quel punto non potei trattenermi dal domandare:

- perché mi avete fatto chiamare allora, cosa posso fare per voi, sono solo un semplice prete. La guida che mi avete inviato mi ha parlato di un moribondo e mi ha fatto capire che desiderava ricevere i conforti della nostra religione…o sbaglio?

- È vero - confermò il vecchio – l’anziano Kauth, è sempre stato un originale e alla bella età di centosessantadue anni ha deciso di convertirsi alla vostra religione. Che possiamo farci noi folletti? Ho già detto che siamo un popolo pacifico, non potevamo negargli, ora che sta per rendere l’anima al suo Dio la benedizione di un prete. Abbiamo fatto male?

- Certo che no – dissi – anzi sono sicuro che Dio, il nostro Dio, vi renderà merito per quest’atto di carità.

Subito fui condotto dal vecchio Kauth che disteso a letto stringeva tra le mani il santo rosario.

Muoveva le labbra silenziosamente e pregava a occhi chiusi.

- Ah, siete arrivato – disse dopo che qualcuno gli ebbe mormorato qualcosa all’orecchio - vi aspettavo, devo confessarmi.

Restai con lui per circa un’ora. Ascoltai la sua confessione e feci giusto in tempo a ungerlo con l’olio santo che recavo con me, neanche mi ricordo bene perché, in una boccetta dentro una tasca della giacca. L’olio fece il miracolo e poco dopo il vecchio folletto si riprese magnificamente e per far vedere che non scherzava e che si sentiva davvero bene fece imbandire all’istante un’enorme tavolata alla quale fui invitato quale ospite d’onore e posso testimoniare che si mangiò e si bevve in quantità mai immaginate.

Questa è la storia Martin e fu la mia rovina.

Il giorno seguente, infatti, con tutta l’ingenuità della mia giovane età mi recai da Sua Eccellenza per informarlo di fatti tanto straordinari. Il sant’uomo mi ascoltò impassibile e alla fine del mio racconto mi disse che riguardo alla missione da compiere a Roma s’era verificato un contrattempo e che al momento avrei occupato l’incarico di vice parroco a San Kevin; mi parlò così, asciutto e quasi senza espressione.

Inutile dirti, caro Martin la mia amarezza. Recavo la notizia di un miracolo bell’e buono! L’incontro con un popolo che avremmo potuto facilmente convertire, dopo la faccenda dell’olio santo e invece di essere accolto con gioia, mi vedevo scacciato e disilluso. Da allora mi sono fatto l’idea che solo gli Irlandesi possono comprendere le loro tradizioni. E quindi non ho più voluto lasciare questa terra.

Ora, dopo tanto parlare, si era fatta mattina. L’alba recava finalmente una luce chiara e la campagna che nella notte era apparsa lugubre e ostile ora salutava ridente i due uomini di chiesa. Ma soprattutto rese evidente che non si erano persi. Davanti a loro in una breve lontananza appariva il campanile di San Kevin.

- Evviva – esclamò, Martin, felice – siamo salvi!

Padre O’ Connor rise sonoramente e gli fece eco con la sua voce grossa e cavernosa.

- Salvi! Martin, che ti dicevo!

Subito il giovane girò la chiave dell’accensione per avviare l’auto.

Purtroppo non ne ricavò nessun effetto.

- Martin – esclamò costernato – O’ Connor – la benzina Martin, segna rosso l’indicatore.

- È vero Padre – replicò il giovane - ieri sera ho dimenticato di fare rifornimento e quando sono arrivato al bar di William ero in riserva da un pezzo, poi con tutti i giri di stanotte…

- pazienza Martin – tanto avevo deciso di farla a piedi, no?

- Un momento – disse il ragazzo – aspetti, perché non proviamo…

- Cosa? – chiese sorpreso l’anziano –

- Preghiamo. Il Vangelo c’insegna che la preghiera può spostare le montagne.

- Già ma per le automobili senza benzina neanche i profeti hanno lasciato insegnamenti.

Così dicendo i due religiosi si raccolsero in preghiera.

Poi, Martin con piglio serio e deciso riprovò ad avviare l’auto.

Che volete che vi dica a questo punto?

I due, non si sa come, raggiunsero San Kevin con la macchina a serbatoio vuoto e senza benzina e si fermarono giusto davanti all’unico distributore del paese.

Ma nessuno dei due ritenne di raccontare a qualcuno la loro straordinaria avventura di quella notte e quanto ho narrato, ora che sono passati tanti anni, posso anche dirlo che l’ho saputo da un amico di un amico di un amico di un amico di un amico, forse di qualcuno, cioè, che aveva raccolto la storia da padre O’Connor in confessione poco prima che morisse.

Che volete il vecchio scettico si era dovuto ricredere per ben due volte nella sua vita e non l’aveva più dimenticato.

Che il Signore rechi merito alla sua anima. E così sia.


Racconti d’altri tempi  

La Noia

di Agnolo Camerte

Carletto si era proprio stufato a fare la solita strusciata della sera su e giù per l’aringolo.

Aringolo dal greco agorà ripeteva sempre il Professore di greco e latino….ma che noia!

Ragazzi basta studiare, ripeteva Carletto agli amici: qualcuno cerchi di trovare un antidoto alla noia di questo struscio pomeridiano!....Le ragazze che si incontrano sono sempre le stesse…..belle si, ma inavvicinabili!

   

Solo a guardarle troppo ti ritrovavi fidanzato o chissà cosa…. le mammme le controllavano a vista, durante la passeggiata, neanche se fossero carcerate! Che diamine! Questo è troppo! Incominciava a sbuffare Cesarino; aveva adocchiato una bella biondina che lo intrigava molto, ma stava sempre appiccicata alla mamma che non la mollava mai! La vide un paio di sere e poi più!

Chissà che classe fa, credo sia alle Magistrali, ma non ne sono sicuro, disse Cesarino… io lì non conosco nessuno..Però aspetta, continuava, Noemi, la mia vicina di casa fa le Magistrali, forse lei la conosce…. Ti lamenti sempre, disse Carletto a Cesarino, neanche tu fossi il più sfortunato! Allora che dovrei dire io di quella volta che mi hanno invitato a Serravalle a ballare! Ho ballato di noia! C’erano due ragazze e tutte le madri attorno che ci sorvegliavano attentamente, come carabinieri! Però una signora mi disse” che bel giovinotto!” Che noia, ma che noia, anche a quella festa!...

Insomma eravamo la banda dei dammene tre che te ne do quattro…Non si aguzzava un chiodo..

La noia regnava sovrana..casa e studio, studioe casa…passeggiata serale e basta!

Bisognava rompere questo circolo noioso, ma come? Cesarino una sera ebbe l’idea folgorante…..disse a Carletto : ma tu suoni la chitarra, perché non organizzi una festa? Magari poi si balla e io invito la biondina che sai! -Io da solo con la chitarra? E che faccio, chi mi sente? Allora è meglio con il giradischi, no? Io ho qualche disco a 45 giri ed il mangiadischi disse subito Gigi….Ecco! Io ne ho altri per ballare e facciamola una festa!

Si ma dove ? disse Carletto, mamma mia non vuole, mi caccia a scopate ha detto, perché mi ha beccato con Giovannino che festeggiavamo in quattro il mio (falso) compleanno a casa mia! Peccato! Non erano male quelle due belle ragazze! Sapevano ballare benissimo!

Gigi tu hai quel bel salone, perhè non fai qualche cosa tu. Dai portiamo tutti qualche cosa da mangiare e da bere e facciamo una festa…..E va bene! Disse facciamola per sabato sera.

Incominciò il giro degli inviti: tu porta tua cugina, io dico a Noemi se viene, con le sue due sorelle, e se invita la mia biondina; chi conosce quella bellissima ragazza che abita sotto al Duomo, quella mora tanto bella, chiedeva Gigi. Nessuno…..Che noia!

Alla fine rimediata qualche volenterosa ragazza, si riuscì ad organizzare la festicciola a casa di Gigi. Aveva una casa antica, bellissima, con un ampio salone, dove potevamo ballare comodamente, ma le ragazze erano poche; inoltre l’impianto di illuminazione doveva essere un po’ difettoso, perché ogni tanto si spegnevano le luci e si riaccendevano solo dopo che si sentiva il rumore di un sonoro schiaffo|…..Strani fenomeni dell’elettricità! Nonostante le poche ragazze ci divertimmo ugualmente; fu quella l’occasione per progettare feste più divertenti con partecipanti più numerosi. Si avvicinava il Carnevale ed era tempo di veglioni e di balli al Teatro ed al Circolo Cittadino.

Venimmo a sapere che al Circolo avevano organizzato un veglione dove avrebbe suonato Fred Buscaglione! Che notizia! Noi ragazzi incominciammo a chiedere ai genitori giacca e cravatta, altrimenti al Circolo non ci facevano entrare. Sapevamo che le ragazze si stavano preparando i vestiti da sera per andare a ballare! Finalmente un po’ di divertimento a portata di mano! Chissà se quella biondina ci sarebbe andata, e quella mora? Cesarino si tirò tutto che sembrava un attore; si mise persino la brillantina sui capelli! …..E Gigi? Portava addirittura la farfallina! Bellissimo! Ma di quelle due ragazze nemmeno l’ombra, non vennero a quel memorabile veglione. Qualche giorno dopo a Gigi venne un’idea grandiosa: disse organizziamo noi la festa di Carnevale delle scuole Magistrali, Istituto Tecnico e Licei! Andiamo dai Presidi e cerchiamo di farci aiutare.

L’iniziativa andò a buon fine e fu bene accolta da tutti e tutti ci prestavamo ad organizzare il ballo. L’orchestra diretta dal Maestro “Ossu” si rese disponibile e fu fissata la data per l’ultimo sabato di carnevale; tanto neve o non neve( ce ne era mezzo metro) sarebbe riuscita ugualmente. Unico scoglio insuperabile fu la Superiora del collegio femminile S.Giuseppe: si rifiutò di mandare le ragazze al ballo! Povero Cesarino! La sua biondina stava a pensione proprio lì! Quanto si arrabbiò! Noi della banda dammene tre che te ne do quattro, rimanemmo proprio male! Ripetevano a Carletto, vai tu dalla Superiora, tu la conosci no? Tuo Padre ti manda a consegnargli i fili da ricamo, il moulinè, i bottoni di madreperla per i cuscini, vai, vedi di convincerla!

Non ci fu niente da fare! Le ragazze non ebbero il permesso di partecipare al veglione.

Era però carnevale e a carnevale, si sa che ogni scherzo vale! Con tutta quella neve quattro buontemponi pensarono bene di ammucchiarne, di notte , sul portone d’ingresso delle suore, tanta da ricoprirlo proprio tutto!

Conseguentemente il mattino seguente, quando la povera Suor Clementina andò ad aprire il portone di legno, fu sommersa da una valanga di neve che arrivò a metà corridoio!.........

Morale un fiocco di neve non scaccia la noia, ma una valanga di neve si! Noi della banda ancora ci domandiamo chi abbia avuto la bella idea di un tal scherzo di carnevale ; gliene siamo grati perchè l’anno successivo le ragazze di tutti i collegi femminili parteciparono ai balli di Carnevale……e la noia sparì!


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)