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Racconto

Il Negromante

di Ruggero Scarponi

La notizia si sparse rapida per i vicoli come la polvere sollevata dal vento. Don Ciccio aveva fatto il miracolo. Don Ciccio, in odore di eresia e di negromanzia, per la gioia dei suoi concittadini e della propria salute, con arti magiche o chissà, per intercessione dei santi, aveva stravolto i suoi accusatori mandandoli sepolti sotto travi e calcinacci.

Un “colpo di teatro”, disse qualcuno, un intervento della Divina Provvidenza affermarono i più. Ché Don Ciccio era amato assai e ben dovevano saperlo i santi del paradiso che di sicuro avevano mosso la mano dell’Altissimo contro l’infamia e l’ingiustizia perpetrata ad arte nei suoi confronti, un vero benefattore, un amico del popolo, un consolatore dei più deboli.

Avevano voluto trascinarlo in tribunale con accuse che prevedevano interrogatori e torture e ora il popolino se la rideva dopo quanto era avvenuto.

- Signori miei – sembra avesse detto Don Ciccio con voce accorata al momento di essere legato per ricevere il primo tratto di corda – Signori miei, voi non sapete cosa state facendo e a chi.

I giudici al sentire tanta sicumera e arroganza da parte di un condannato, di uno che avrebbe urlato di dolore di lì a poco, anziché irritarsi, ne risero.

- E quando mai? – Esclamò il Presidente con disprezzo.

- E lo vedrete allora, lo vedrete. – minacciò il poveretto.

- Carceriere – intimò un giudice – potete procedere…

E scoppiò il finimondo.

Come l’aguzzino ebbe tesa la corda dalla carrucola per dar inizio al tormento del condannato, in mezzo a una nuvola di polvere bianca, si vide crollare il soffitto.

I giudici e il carceriere stesso ne furono travolti. Sommersi sotto un intrico di vecchie travi calcinacci e mattoni. Solo Don Ciccio restò incolume da quel crollo.

- Miracolo, miracolo! – Subito corsero le voci, portate per ogni dove da bande di marmocchi festosi.

- Miracolo, miracolo! Don Ciccio ha fatto il miracolo! Alla faccia del Marchese… e di chi lo voleva morto!

   

Per chiarezza bisogna informare il lettore che il Marchese altri non era che il Presidente del Tribunale, Sua Eccellenza Don Lodovico di Pietramurata. Acerrimo nemico di eretici, infedeli e volterriani di qualsiasi natura. Persecutore di liberi pensatori e anche di negromanti, quest’ultimi però, non in quanto sovversivi dell’ordine costituito quanto piuttosto perché riluttanti a servirlo con le loro arti magiche.

Dunque, con la storia del miracolo Don Ciccio si era guadagnato un’altra bella fetta di popolarità tra i suoi concittadini, tanto che il Capitano di città, vista la folla già enorme che si era radunata di fronte alle vecchie carceri per inneggiare al povero condannato, appena diffusa la notizia del crollo miracoloso, si decise, così, su due piedi per evitare una pericolosa sommossa, di liberare lo scomodo prigioniero.

- Ma quello c’ha una condanna sulla testa – obiettò il Barone Sante Castaldi, intimo e confidente del defunto Pietramurata – lasciarlo andare è come cedere alla marmaglia e a tutti i peggiori nemici dello stato, liberi pensatori e corruttori del popolo ignorante.

- Facciamo calmare le acque, Signor Barone – rispose a bassa voce il capitano – che poi glielo sistemiamo noi, per le feste. Ogni cosa a tempo debito e a saper aspettare ci sarà più gusto e se qualcuno s’è messo in testa strane idee non mancherà di comprendere, suo malgrado, che siamo sempre noi che teniamo saldamente in mano il potere in questa città.

Il Barone sorrise soddisfatto.

- Un’ultima cosa – aggiunse prima di licenziarsi dall’ufficiale – voi mi dovete garantire, capitano, che Sua Eccellenza sarà vendicata in maniera esemplare.

- Avete la mia parola – rispose l’uomo portando la mano aperta all’altezza del cuore.

Il fatto era che Don Ciccio era indispensabile alla povera gente e fargliela pagare, come pretendeva il Barone, non sarebbe stata cosa facile.

In primo luogo perché, si può dire, che non ci fosse cittadino in quella Città del Regno che non ricorresse a Don Ciccio almeno una volta l’anno.

Compreso il Capitano di Città, con tutti i suoi sgherri. Sebbene segretamente, per non guastare il decoro delle istituzioni.

E poi perché al popolo che non possiede nulla, almeno la speranza, bisogna lasciargliela.

Don Ciccio, infatti, dava consigli su tutto e per ogni cosa preparava rimedi, formule, preghiere.

Ma la fama di guaritore non sarebbe stata sufficiente a tirarlo fuori dalla prigione. Infatti, il suo merito più grande, quello che lo aveva reso tanto popolare tra la povera gente, era, si dice, che fosse in grado di suggerire due numeri buoni per ogni estrazione del gioco del lotto. Due soli, naturalmente e che donava a questo o quello senza pregiudizi. La gente lo fermava per strada e lo invocava come un santo.

- Fatemi la grazia Don Ciccio, che non ho più di che sfamare i miei cinque figli…- Diceva uno.

- E giocati il… e il… – rispondeva mentre cercava di farsi largo tra la folla che non avrebbe voluto lasciarlo andare e reclamava i numeri, i numeri... sempre i numeri.

   

E proprio a causa dei numeri era passato a miglior vita il Pietramurata insieme agli altri giudici del tribunale e al carceriere. E sì perché si da il caso che il Capitano di città che ci teneva tanto a passare per brav’uomo, onesto e timorato di Dio, si fosse invaghito di una sgualdrinella, una cantante, una di quelle che si esibiscono nei teatrini di strada e girano di paese in paese in cerca di qualche buon protettore più che di un buon pubblico. Fatto sta che tanto se n’era preso il nostro ufficiale, da impegnarsi perfino un bracciale della moglie, pur di soddisfare i capricci della giovane amante.

Alla consorte aveva detto che essendo difettoso nell’allacciatura l’aveva portato da mastro Goffredo l’orefice, per farlo aggiustare. Ma passa una settimana passa l’altra e non vedendo tornare la gioia, la donna si era messa in sospetto. Il Capitano accampava scuse e ogni giorno ce n’era una nuova. Ma oramai era alle strette ed era necessario disimpegnare il bracciale per evitare uno scandalo. Mancandogli il denaro necessario era ricorso a Don Ciccio per avere due buoni numeri. Proprio lo stesso giorno in cui aveva ricevuto dal Marchese di Pietramurata l’ordine di condurlo in carcere. E così che volete, si poteva mettere alla tortura un poveretto per poi andare a chiedergli un favore?

Pure se era uno sbirro certi scrupoli se li faceva, il capitano, e una soluzione bisognava trovarla. Siccome la carrucola sulla quale scorreva la corda alla quale veniva assicurato il condannato era fissata alle travi del soffitto, fu sufficiente allentare un bullone qua, segare qualche listello di là, che al primo tentativo di sollevare Don Ciccio che per di più era di robusta corporatura, venne giù l’ira di Dio, seppellendo gli odiosi magistrati.

Il Capitano dopo tutto quel po’ po’ di cataclisma trovò il modo, la sera, d’incontrare in via riservata il negromante, e farsi dare i sospirati numeri che sicuro come la morte sarebbero usciti con sua piena soddisfazione. E fu così che il giorno seguente dopo l’estrazione della lotteria, la sospettosa consorte dell’ufficiale, ebbe la piacevole sorpresa di trovare sul comodino accanto al letto, adagiato su un cuscinetto di velluto, in bella mostra, l’agognato bracciale, lucido e funzionante come nuovo. Insomma tutto sembrava essersi sistemato. Don Ciccio era stato liberato, il popolino festeggiava e il Capitano di Città poteva tornare a godersi la pace con la moglie e l’amore con la cantante. Tutto bene dunque? Mah! Forse, però, a qualcuno, di nostra conoscenza, le cose non erano andate così bene.

Per la verità, infatti, tra tanta confusione, non si ritenne opportuno dare pubblicità a quanto avvenne allo zelante Barone Sante Castaldi che ebbe un grave incidente quel giorno. Non si sa come, ma, di fatto, dopo il colloquio con il Capitano, apprestandosi all’uscita andò a scivolare malauguratamente sui ripidi gradini della torre del palazzo di Città che forse, qualche bestia di inserviente doveva aver lasciati insaponati durante le pulizie giornaliere. Una distrazione naturalmente e che per di più non si seppe mai di chi fosse la colpa. Però per il Capitano fu un’autentica fortuna che altrimenti si sarebbe trovato suo malgrado, per dar soddisfazione al nobiluomo, a dover procedere contro Don Ciccio, dopo esserne stato salvato. Si seppe poi, da indiscrezioni che Il Barone volò come un angelo per tutti i 249 gradini della scala elicoidale. Così che arrivò in fondo, alla velocità di un proiettile. Ad attenderlo era già pronto il prete con indosso la stola e chierichetto al fianco e che fece giusto in tempo a dire – Amen – su quanto restava dello sfortunato Barone. Ma come abbiamo già detto, di questo miracolo, non si ritenne opportuno diffonderne la notizia.


Racconti d'altri tempi  

La Befana

di Agnolo Camerte

“La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, ha il cappello alla romana, viva viva la Befana” diceva la Mamma a Carletto, in prossimità delle Feste di fine anno. – Ma ha fatto tanta neve! – commentò Carletto un po’ preoccupato, -come fa ad arrivare se stamattina il Babbo non riusciva neanche ad aprire il portone di casa ! E poi con le scarpe rotte! Si bagna tutta!... Ma no , ma no!- rispose la Mamma- Lei viaggia sulla scopa! E porta i regali ai bambini buoni!... Lei non si bagna come te quando vai in mezzo alla neve! - Ma come fa ad entrare in casa se è tutto chiuso ?- insisteva Carletto incuriosito...- Passa dal camino no?! Rispose la Mamma- . - Carletto - Ma si brucia! La scopa le prende fuoco! - Ma no! - lo rassicurò la Mamma- , non vedi che la sera il fuoco lo lasciamo spegnere... Passa dal camino, come Babbo Natale...

Bella forza -pensò Carletto - , lui non solo ha le renne che volano, ma ha anche la slitta, carica di regali... però non mi piace un gran che sto Babbo Natale... sono due anni che gli chiedo di portarmi una slitta, ma lui niente, non ci sente, mi sa che si è messo d’accordo con la Befana... neanche Lei mi ascolta...

Allora a Carletto venne un’idea grandiosa…Di neve ce ne era tanta, la discesa di fronte all’uscio era abbastanza ripida... Chissà se prendendo di nascosto il prete di mamma (quell’affare curvo a forma di sci che si infilava nel letto per riscaldarlo con la monica piena bi brace) si poteva scivolare sulla neve! Eccome se scivolava! Che bello! Finalmente! Che divertimento pazzesco! Lui ed il suo compagno di giochi Cesarino andarono su e giù per la discesa per tutta la mattinata, all’insaputa degli ignari genitori... Si inzupparono ben bene con la neve, finchè , si sa , ogni bel gioco dura poco. Finì che Carletto andò a sbattere contro il muro in fondo alla discesa, mandando in frantumi il povero prete... Prima delle feste e dei regalini che si aspettava non fu una cosa buona...

   

Inevitabile la ramanzina e la punizione... che però fece diventare Carletto di un buono…quasi un’angioletto ubbidiente... la Mamma lo rimproverò dicendogli che sia Babbo Natale che la Befana gli avrebbero portato solo cenere e carbone!... Carletto allora pensò che era meglio andare alla S.Messa serale con il Bambinello del Presepe, per raccomandarsi almeno a lui. Si presentò a Don Gildo il quale bonariamente, benedetta la statuina del S.Bambinello, lo rassicurò dicendogli che in fondo a Natale ed alla Befana tutti diventavano più buoni e sia Babbo Natale che la Befana in fondo erano buonissimi e molto comprensivi con i bambini.

E fu così! A Natale, al risveglio Carletto andò di corsa a vedere se vicino al camino c’erano regalini... C’erano! erano caduti giù dal camino due arance, due mandarini, un torroncino, una salsiccetta ed un bellissimo trenino a molla!... ma la slitta non c’era!... c’era però un sacchetto di cenere e carbone? Ma no! Erano dolci... E si ! C’era anche un po di cenere e carbone! Però non era tanta! Pazienza! Si vede che Babbo Natale aveva saputo del prete... Ho fatto quella stupidaggine!!... Ma chissà!? C’è sempre la Befana... Aspettiamo un po'... Pare che sia molto buona, anzi buonissima! –pensava Carletto-.

Arrivò finalmente anche la Befana. Quella mattina Carletto dormiva profondamente; non riusciva a svegliarsi; le grida di gioia della sorella e della cuginetta però lo svegliarono e incuriosito, si alzò dal letto anche lui, sicuro che la Befana non gli avrebbe portato altro se non cenere e carbone . Che importa pensò Carletto, ci ha pensato Babbo Natale a me, che vuoi che mi porti su quella scopa?... Si affacciò sulla stanza del camino e... sorpresa delle sorprese... c’era uno slittino per lui vicino al camino!.....Rimase senza fiato dall’emozione e si mise quasi a piangere dalla contentezza!... Che Befana!... Lo vedi, disse alla Mamma, che ho ragione io!- Si conoscono con Babbo Natale! Si vede che lui glielo ha detto che desideravo tanto la slitta! A Lei non lo avevo scritto! Da lei volevo solo i dolcetti! Ed invece mi ha portato anche la slitta! Allora Mamma non sono tanto cattivo! Ma no! Rispose la mamma- tu sei come tutti i bambini l’angioletto della tua Mamma. E la Befana lo sa!..E’ una brava vecchina che ama tanto i bambini, anche quelli un po’ birbantelli come te!

Per Carletto fu una Befana memorabile, non la dimenticò più.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)