cinema
Django Unchained:
l’evoluzione del western
di Giada Gentili
Tarantino, come molti grandi registi contemporanei, è riuscito a creare il cinema "alla Tarantino", guardando un suo film non si può non riconoscere la sua firma, le sue riprese e persino gli attori che recitano "alla Tarantino".
Django Unchained, "la DI non si pronuncia, bifolco!" è un po' meno splatter di "Pulp Fiction", dalla sceneggiatura coinvolgente quanto quella di "Kill Bill", anche se in modalità diverse, ma Tarantino si vede e azzecca tutto: il cast al completo, le ambientazioni, la musica.
I personaggi sono interpretati da tutti magistralmente. Da Christoph Waltz, il mentore e co-protagonista di Jamie Foxx (Django) che è riuscito e creare un personaggio di spiccata ironia a cui non ci si può non affezionare dall'inizio. A Samuel L. Jackson, nel film Stephen, il capo-schiavo della tenuta del proprietario terriero Candie (Di Caprio), che ricorda vagamente i simpatici e tartassanti modi di Mami, la celebre Hattie McDaniel, la serva-tata di Via col vento.
Il file rouge della sceneggiatura è la volontà di condanna all'America dell'epoca, intenzione che era nella mente del regista sin dall'inizio della produzione, durante un'intervista al Daily Telegraph nel 2007 Tarantino affermò che quel periodo di storia è vissuto e ricordato con vergogna dagli americani e lui si sentiva pronto per portarlo sul grande schermo.
L'espertimento è riuscito: uno spaghetti western con un buona dose di modernità e azione.
Scene crude e sangue infatti non mancano, non a caso unchained traduce scatenato, anche se in qualche modo, in questa produzione tarantiniana sono meno protagonisti della situazione.
Si aggiungono le chicche sparse nel film: un cammeo per il regista, la partecipazione di Franco Nero, ad omaggiare il primo Django del 1966 di cui l'attore fu protagonista, e la melodia fischiettata come musica finale tratta da "La trilogia del Dollaro", un classico western.
E a proposito di musica, forse è la colonna sonora che su tutto non sbaglia una virgola, la firma della direzione è nostrana: Ennio Morricone mette la sua mano in ogni scena e nessuna scelta è casuale.
Il richiamo al classico immerso nel moderno, che Tarantino crea con la sua regia, è perfettamente in linea con le scelte di Morricone che ha mixato rap, hip-hop con musica tradizionale e classica, tipica del genera a cui Django si ispira. La canzone principale porta il nome di un'altra firma italiana: Elisa.
Volendo redigere una critica bisognerebbe comunque evidenziare qualche errore, si può dire che l'epilogo risulta un po' troppo lungo o che il finale non riservi particolari sorprese ma nel complesso Django è un bel film, per chi ama Tarantino, per chi ha nostalgia del genere spaghetti western e/o per chi ama il cinema curato in ogni sfumatura.