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Arte

Galleria Comunale d'Arte
del Palazzo del Ridotto, Cesena (FC)

Giorgio Celiberti

Sul volo di una farfalla, Segni di memorie
dai muri di Terezin-bambini nella Shoah

a cura di Maria Grazia Melandri

Dopo una visita al campo di concentramento di Terezin nel ‘65, con la tecnica dell'affresco su tela o su tavola Celiberti ha inciso la materia di graffi e segni a volte appena abbozzati: utilizzando le X con le quali le vittime conteggiavano i giorni di prigionia, le lettere T, Z, N, riferite al luogo e segni elementari che parlano di un'umanità sofferente

Uno straordinario evento si è svolto alla Galleria Comunale d’Arte Moderna-Palazzo del Ridotto di Cesena, legato ad uno degli ultimi artisti viventi che hanno partecipato alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra (1948), Giorgio Celiberti. Testimone superbo dell’arte italiana nel mondo a cavallo di due secoli, è animato da una gestuale furia creativa che lo ha portato a sperimentare e ricercare il segno del proprio linguaggio con i materiali più diversi, dalla pittura all’affresco, dalla scultura alla ceramica.

Instancabile viaggiatore, curioso delle culture e delle atmosfere del mondo e dei popoli, fin dagli anni Cinquanta entra in contatto con i maggiori esponenti della cultura artistica italiana e internazionale di quel tempo.

Un anno fondamentale del suo percorso è il 1965, dopo la visita al campo di concentramento di Terezin, lager nazista vicino a Praga, dove trovarono la morte migliaia di bambini ebrei; lo shock emotivo fu talmente forte da rappresentare una svolta radicale nella sua vita artistica.

   

I disegni tracciati sui muri dai bambini ebrei lì internati, quelle tragiche “finestre” con cancellature, elenchi e colonne di numeri, colpirono a tal punto la sensibilità dell’artista che, da quel momento, il suo linguaggio pittorico si permeò di quei segni.

Celiberti affermerà: “Quello fu il momento più drammatico della mia storia di pittore...

...Ciò che producevo dopo la visita a Terezin sembrava non esprimere abbastanza il dolore profondo che provavo. Come se in quel momento fossi passato a vedere la vita dall’altra parte: dalla parte della verità, della tragedia, del dolore, dell’orrore, della vergogna di essere uomo e come tale responsabile di quello che era accaduto.

Desideravo dare una risposta che non si servisse delle parole, perché le parole erano tutte inutili. Bisognava scavare dentro per trovare segni che rispondessero all’invocazione di quei bambini, che con i loro graffiti avevano lasciato una disperata domanda d’amore e anche di perdono. Hanno scritto delle poesie e fatto dei piccoli disegni rappresentanti farfalle, cuori, numeri.Ho cominciato così a dipingere le farfalle e i cuori in omaggio a quelle vittime innocenti.”

L’esposizione al Palazzo del Ridotto parte proprio dal ricordo dell’artista di quei momenti e da tutto ciòo che quell’esperienza gli ha lasciato nel cuore fino ai giorni nostri. Opere selezionate, tele preziose per impasti e cromie, sculture, una progressione di opere che costituiscono un corpus espositivo rigoroso nei motivi ispiratori, un affondo storico che si concretizza in impegno etico.

   

Con la tecnica dell’affresco su tela o su tavola, Celiberti ha inciso la materia di graffi e segni a volte appena abbozzati: utilizzando le X con le quali le piccole vittime conteggiavano i giorni di prigionia, le lettere T, Z, N, riferite al luogo, elementari segni come cuori congiunti, colombe e farfalle che ci parlano di un’umanità sofferente arsa dal bisogno di dialogo, tenerezza e amore.

È stato selezionato per il manifesto e l’invito un particolare di un’opera di Celiberti esposta nella mostra cesenate, che rappresenta il volo di una farfalla, simbolico sogno di libertà di sofferte tracce esistenziali impresse nei muri di Terezin. La farfalla, inoltre, quale incisivo elemento metaforico, si ritrova anche nei codici miniati di Novello Malatesta, come documentano i materiali conservati nella Biblioteca Malatestiana di Cesena, patrimonio dell’umanità.

   

Organizzata dal Comune di Cesena - Assessorato alla Cultura. in collaborazione con Galleria L’immagine di Cesena, e il patrocinio del Museo Ebraico di Bologna – Regione Emilia Romagna – Provincia Forlì-Cesena , questa esposizione ha suscitato grande interesse e si è imposta come veicolo di dialogo tra società e ambienti e riflessione sullo spirito di pace e fratellanza dei popoli, di forza interiore che non dovremmo dimenticare nel nostro vivere quotidiano.

   

   


 

Poesie e disegni

dei bambini di Terezin

15.000 tra bambini e giovinetti, dei quali
ne sopravvissero meno di cento

Del loro passaggio a Terezin è rimasta una commovente testimonianza, rappresentata da alcune migliaia di disegni e qualche decina di poesie. Di tali documenti, che furono oggetto di affettuoso studio da parte di psicologi, letterati ed artisti, traspare una maturità di pensiero straordinariamente precoce, la straziante consapevolezza di un destino inesorabile, e soprattutto il disperato, insopprimibile anelito alla vita delle giovani vittime. Nella maggior parte dei versi, già di per sé toccanti per i motivi ispiratori e la vicenda umana che sottintendono, sono presenti valori poetici autentici, che stupiscono per l’altissimo, imprevedibile livello di forma e linguaggio e la sconvolgente capacità espressiva. Questa impressionante, commovente documentazione ha ispirato produzioni artistiche di ogni genere: pittura, scultura, teatro, letteratura e, naturalmente, musica. Tra le molte composizioni (prevalentemente céche) dedicate all’argomento è anche questo oratorio, nel quale le più significative poesie sono commentate da brani musicali. La rievocazione della tragedia dei bambini ebrei di Terezin, che si riteneva memoria di un oscuro passato, destinato a non più ripetersi, ci ricorda invece dolorosamente che in più parti del mondo attuale simili atrocità si ripetono, ed i bambini sono sempre le vittime dell’umana ferocia.

L’oratorio è stato eseguito in molte città italiane e straniere (Roma, Praga, Bristol, Washington ecc), teletrasmesso e radiotrasmesso dalle televisioni di Stato Italiana, oltreché da molte emittenti private.

Ma le due più importanti esecuzioni dell’oratorio avvennero nel ghetto di Praga, e nella stessa città – lager di Terezin alla commossa presenza di foltissimo pubblico e di alcuni superstiti dei bambini di Terezin.

Terezin
Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
e scavano un solco nella nostra memoria.
Da troppo tempo siamo una schiera di maledetti
che vuole stringere le tempie dei suoi figli
con le bende della cecità.
Quattro anni dietro a una palude
In attesa che irrompa un’acqua pura.
Ma le acque dei fiumi scorrono in altri letti,
in altri letti,
sia che tu muoia o che tu viva.
Non c’è fragore d’armi, sono muti i fucili,
non c’è traccia di sangue qui: nulla,
solo una fame senza parole.
I bambini rubano il pane e chiedono soltanto
di dormire, di tacere e ancora di dormire...
Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
e scavano un solco nella nostra memoria.
Neppure gli anni potranno cancellare
tutto ciò.


Anonimo
Vorrei andare sola
Vorrei andare sola dove c’è un’altra gente migliore,
in qualche posto sconosciuto
dove nessuno più uccide.
Ma forse ci andremo in tanti
verso questo sogno,
in mille forse...
e perché non subito?


Alena Synková (1926, sopravvisuta)



La farfalla
L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.


Pavel Friedman (1921 – 1944)
Il giardino
È piccolo il giardino
profumato di rose,
è stretto il sentiero
dove corre il bambino:
un bambino grazioso
come un bocciolo che si apre:
quando il bocciolo si aprirà
il bambino non ci sarà.


Franta Bass (1930 – 1944)

A Olga
Ascolta,
già fischia la sirena della nave.
Su, partiamo
per porti sconosciuti!
Ecco,
è già l’ora.
Navigheremo lontano,
i sogni diventeranno realtà.
Oh, dolce nome del Marocco!
Ecco,
è già l’ora.
Il vento ci porta canzoni
di paesi lontani.
Guarda il cielo
e pensa soltanto alle violette.
Ecco,
è già l’ora.


Alena Synková (1926 sopravvisuta)
Il topolino
In fondo al nido il topolino
si cerca una pulce nel pelo fino.
Si dà da fare, fruga e rifruga,
ma non la trova, non ha fortuna.
Gira di qui, gira di là,
ma la pulcetta non se ne va.
Ed ecco arriva il papà topo,
che al suo pelo fa un sopralluogo:
Ecco che acciuffa quella pulcetta
e poi nel fuoco lesto la getta.
Il topolino corre diretto
ad invitare il suo connetto:
“Menù del giorno
pulcetta al forno”.


Koleba
Addio
Tutti gli istanti felici
sono perduti per sempre,
e non ho più la forza
di proseguire il camino.
Ancora una volta, una sola,
tenere il tuo capo tra le mani,
poi chiudere gli occhi, e in silenzio
andarmene verso le tenebre...


anonimo



disegno di Ilona Weissovà (n. 6/3/1932 - m. 15/5/1944 ad Auschwitz)



disegno di Hana Gueldovà (n. 20/5/1931 - m. 1944 ad Auschwitz)
La Paura
Di nuovo l’orrore ha colpito il ghetto,
un male crudele che ne scaccia ogni altro.
La morte, demone folle, brandisce una gelida falce
che decapita intorno le sue vittime.
I cuori dei padri battono oggi di paura
e le madri nascondono il viso nel grembo.
La vipera del tifo strangola i bambini
e preleva le sue decime dal branco.
Oggi il mio sangue pulsa ancora,
ma i miei compagni mi muoiono accanto.
Piuttosto di vederli morire
vorrei io stesso trovare la morte.
Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere!
Non vogliamo vuoti nelle nostre file.
Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore.
Vogliamo fare qualcosa. È vietato morire!


Eva Picková, anni dodici, (morta 18/12/1943)



Pavel Sonnesnschein (n. 9/4/1931 m. 23/10/1944 ad Auschwitz)
Terezin
Una macchia di sporco dentro sudice mura
e tutt’attorno il filo spinato:
30.000 dormono
e quando si sveglieranno
vedranno il mare
del loro sangue.
Sono stato bambino tre anni fa.
Allora sognavo altri mondi.
Ora non sono più un bambino,
ho visto gli incendi
e troppo presto sono diventato grande.
Ho conosciuto la paura,
le parole di sangue, i giorni assassinati:
dov’è il Babau di un tempo?
Ma forse questo non è che un sogno
e io ritornerò laggiù con la mia infanzia.
Infanzia, fiore di roseto,
mormorante campana dei miei sogni,
come madre che culla il figlio
con l’amore traboccante
della sua maternità.
Infanzia miserabile catena
che ti lega al nemico e alla forca.
Miserabile infanzia, che dentro il suo squallore
già distingue il bene e il male.
Laggiù dove l’infanzia dolcemente riposa
nelle piccole aiuole di un parco,
laggiù, in quella casa, qualcosa si è spezzato
quando su me è caduto il disprezzo:
laggiù nei giardini o nei fiori
o sul seno materno, dove io sono nato
per piangere...
Alla luce di una candela m’addormento
forse per capire un giorno
che io ero una ben piccola cosa,
piccola come il coro dei 30.000,
come la loro vita che dorme
laggiù nei campi,
che dorme e si sveglierà,
aprirà gli occhi
e per non vedere troppo
si lascerà riprendere dal sonno...


Hanus Hachenburg (1929 – 1943)




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