Cultura e societÀ
Manifesto dei Neoromantici
per un Nuovo Umanesimo
Una “cartuccella”
per un Manifesto
di Anna Manna
È cominciata così, in una giornata di pioggia primaverile davanti a tre tazzine di caffè bollente. Con Elio Pecora a mia sorella Elisa, un pochino infreddoliti, un pochino delusi dalle cose del mondo, un pochino arrabbiati perché ci sentivamo soli a parlare di poesia ed educazione in mezzo ad un mondo che non voleva saperne più di poesia e di sentimenti, e di educazione. Mi ricordo che c’era un cartoccio di carta ruvida per terra fuori al bar, ed il vento lo faceva grignare ogni tanto, un lamento, un rumore fastidioso e ricorrente che neanche il caffè bollente riusciva a far dimenticare. Pioveva... il bar era freddo.
Elio mi guarda dritto negli occhi e mi dice: “Anna ma non puoi parlare di neoromanticismo in un mondo che va a rotoli. Non ti sentiranno, non hanno orecchie per sentire.”
Poi ci siamo salutati, dopo averci confessato senza neanche dircelo che era meglio lasciare stare che non era il caso, che forse non c’era neanche più la poesia.
Ma quel cartoccio continuava in un lamento fastidioso tra la pioggia ed il vento e quel lamento di carta mi feriva l’anima.
A casa ripensavo al nostro incontro, quelle poche parole con il grande Elio diventarono una bellissima intervista che ha invaso internet.
E già questa cosa mi placò.
Elio lanciò nell’etere queste parole magiche: poesia come educazione al sentimento.
Cominciò così, senza nessuna intenzione di fare un Manifesto, neanche un volantino, neanche una cartuccella. Sai quelle piccolissime cartucce dove appunti le cose importanti che ti conservi stropicciate nel cappotto bagnato? Poi le riponi in borsa sperando che si asciughino, ma loro niente, e così le butti via, mezze sgualcite e bagnate. Senza che si possa leggere più niente.
Le Nugae dell’esistenza io le chiamo così, perché sono cose da niente eppure te le ritrovi in mano quando è ora.
Così mi sono ritrovata in mano quegli appunti presi con il grande poeta, Elio, e la sociologa dell’umanesimo come chiamo mia sorella Elisa, responsabile cultura al Censis.
Ho letto di sfuggita ma ho letto con chiarezza la delusione e la voglia di rivalsa, la tristezza per il mondo che scivola verso il basso e la barbarie e dall’altra parte quella freschezza, nonostante tutto, di sensazioni ed emozioni che solo un artista ed uno studioso possono comunicarsi con uno sguardo.
Ed in mezzo io, una poeta per ripicca al dolore – prima della morte di mio padre non me ne fregava niente di essere poeta – una donna innamorata della vita e delle emozioni belle e vitali.
Dell’arte per esempio, con tanti amici artisti. E tra loro, Daniela Fabrizi, una che la poesia la mangia tutti i giorni da che è nata.
Insieme a lei abbiamo cominciato ascrivere un libro, poi un percorso artistico e poi un viaggio nella poesia, che scoprivamo essere tra noi e le nostre cose di tutti giorni. Ma era sgualcita, calpestata dalle volgarità del mondo, negata dalle meschinità, da sguaiate espressioni di niente.
Abbiamo cominciato a soffrire, poi a comunicare anche ad altri questa sofferenza.
Poi abbiamo cercato i giovani, poi i numeri, le statistiche.
Così ci siamo incamminate nelle note drammatiche del femminicidio sui giornali, i racconti del disagio giovanile, del disagio degli anziani. Questa umanità senza emozioni umane, senza racconti dell’animo, solo numeri, solo sofferenza, solo ferite.
Quella cartucella bagnata dentro la tasca del mio cappotto è diventata un lunghissima pergamena dove scrivere le poesie mie, quelle di Daniela, quelle di tutti i poeti che si sentono trapassati dal dolore per questa società senz’anima.
E ci siamo dette che era ora di muoversi, è iniziato un movimento dentro di noi.
Quel movimento è stato compresso per circa un anno poi è esploso domenica mattina 3 febbraio alla Casa delle Regioni, dove ho presentato il mio libro di racconti. In una mattina piena di sole, in una sala piena di gente venuta da tutta Italia.
Gente particolare, tutti artisti! Dicono che il mio libro sia un pochino magico, fiabesco, stregonesco, che ti racconta l’Italia in punta di cuore rosso come ha scritto la Fabrizi. E che ti abbraccia senza lasciarti il fiato per parlare, per tornare indietro. E che la poesia ti cattura, ti sorprende, ti stordisce come ha scritto Gilberto Mazzoleni, poeta ed antropologo.
Tutto questo è stata una miscela esplosiva. Accanto a noi sul tavolo Vera Ambra, che ha organizzato le manifestazioni del Viaggio tra le vie dell’arte che mi ha ospitata per la presentazione del libro. Una siciliana vigorosa, piena di speranza. Le nostre parole sul tavolo rimbalzavano, prendevano fuoco come una improvvisa eruzione dell’Etna. Quel fuoco, lo sguardo sorpreso dell’antropologo, la gioia che vedevo negli occhi di Daniela perché aveva capito che eravamo pronte, ebbene tutto questo e tanto altro ancora, che però fa parte delle mie emozioni più profonde, mi hanno messo le ali.
Ho annunciato il Manifesto dei Neoromantici per un nuovo Umanesimo.
Daniela ha letto l’Empito lirico che aveva scritto da qualche giorno.
Vera ci ha stretto le mani, ci ha baciate.
Neria de Giovanni, presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari, dalla prima fila di posti ha annuito.
E l’applauso di tutti, caloroso, scrosciante, immediato ha detto sìììììì.
Andate avanti, siamo con voi!
Così è nato il Manifesto. Ora lo stiamo organizzando, limando, lo presenteremo ufficialmente a breve.
Hanno aderito quasi all’alba del 4 mattina dopo il mio comunicato stampa notturno: Corrado Calabrò, Silvia Costa, Iole Chessa Olivares, il pittore Fabio Piscopo (il giorno dopo) e lui Elio Pecora, entusiasta e contento perché quella cartucella bagnata di quel lontano pomeriggio l’avevo conservata con cura. Niente era andato perduto.
La pioggia non aveva cancellato niente!
Presentazione di “Una città un racconto” Nemapress 2012 presso Società umanitaria - Roma, 3 febbraio ore 12
Relatori Gilberto Mazzoleni, Daniela Fabrizi