Cinema
Apriamo un appuntamento settimanale
Mai su questi schermi
“Inquadratura” sul cinema italiano indipendente
Intervista a Stefano Landini
di Giada Gentili
Il cinema italiano degli ultimi anni alterna momenti di stallo e calo di incassi a film da record ma dal sapore discutibile.
I primi dieci mesi del 2012 hanno visto nel cinema un calo al botteghino del 10% rispetto all'anno precedente. E anche se il cine-pattone sembra aver abbandonato i natali italiani, commedie con sceneggiature intelligenti e acute sembrano essere un puntino luminoso in un universo che ormai da qualche anno è un manto nero di scontento, ovvietà di trame e volgarità messa a servizio della risata facile.
Il cinema d'autore, non è ripagato in termini economici, e la colpa si può attribuire alla pirateria su internet, al sovraffollamento di film americani nelle sale ma, andando a stringere, probabilmente anche a chi produce e realizza film che non riesce fino in fondo a convincere la platea.
Il “ma” arriva e giunge per chi guarda nel sottobosco del nostro cinema, nelle file retrostanti (in termini di distribuzione) dove si svela un mondo di persone capaci.
Ecco il perché di questo appuntamento settimanale, una serie di interviste e appunti per puntare i riflettori sul cinema indipendente italiano, quello dei film che non trovano distribuzione (o ne trovano col contagocce) ma che, ognuno a suo modo, rimangono bei film purtroppo conosciuti e noti solo agli addetti ai lavori.
SCHEDA TECNICA
Apro questo appuntamento con Stefano Landini, romano sulla carta e nell'anima, vive a Torino ed è stato studente al Centro Sperimentale di Cinematografia. Appassionato di cortometraggi vince nel 1998 il Premio Qualità del Ministero dei Beni e le attività culturali con il corto “La firma” e realizza poi, insieme a Mauro di Flaviano e Federico Greco un documentario su Stanley Kubrick.
Da quattro anni è direttore artistico del festival di cortometraggi “Corto su di te” e il suo primo lungometraggio, “Sette ottavi” ha vinto il premio come miglior film nel 61° festival Internazionale del cinema di Salerno.
Cos'è che rende UN film un GRAN film?
Il cinema italiano delle grandi distribuzioni ha perso la peculiarità artistica per concentrarsi sull'aspetto business?
Se intendi i film commerciali, questi ultimi non hanno mai, sottolineo mai, avuto una peculiarità artistica: fare incassi al botteghino è il loro unico obiettivo, assolutamente non biasimabile e giustificabile; è semplicemente un altro tipo di cinema. Per alcuni non è affatto cinema. Se parli invece di film distribuiti in grande scala, abbiamo alle volte anche rari esempi di cinema di qualità distribuito in molte sale. Naturalmente questo tipo di cinema è costretto ad avere il requisito di avere nel cast o come autore grandi nomi di star, o aver vinto grossi premi tali da giustificare un grande afflusso di pubblico.
Ma per il cinema indipendente italiano questo è un fatto molto raro, se non addirittura impossibile.
La situazione attuale del cinema italiano, in grande crisi, può trovare soluzioni nell'attingere al cinema indipendente?
Si, ma per farlo bisogna prima abbandonare i prodotti cosiddetti 'sicuri', chiudere con i pregiudizi e iniziare ad apprezzare l'originalità del cinema indipendente. Ogni euro regalato ad un kolossal americano è una pugnalata a chi, tra mille difficoltà, cerca in Italia di fare un nuovo tipo di cinema.
I kolossal americani quindi fanno incassi superiori ai film italiani solo per il marchio? O perché sono davvero (in termini di trama e tecnica) superiori ai film italiani?
Assolutamente no.
Non è questione di marchio, ma esclusivamente di soldi, realizzando il primo film lungometraggio mi sono reso conto di quanto sia importante l'investimento in termini di pubblicità per far conoscere i film italiani, così come il numero delle copie stampate con cui il film si distribuisce. Ma continuerò a vedere i film italiani e a rifiutare di vedere quelli americani dei quali sento puzza di commerciale. I kolossal hanno mezzi maggiori, ma non sempre sono superiori al prodotto italiano. Anzi in termini di idee, dovendo sottostare a regole commerciali che li rendono grossi prodotti seriali e ripetitivi di se stessi, non lo sono mai secondo me. L' originalità non paga, la gente vuole vedere i 'prequel' e i 'sequel'? Provate a tornare indietro nel tempo e a chiedere a Leonardo da Vinci il prequel de La Gioconda.
Hai girato il tuo primo lungometraggio nel 2007. Qual'è stato lo scalino più difficile da superare per realizzarlo?
Naturalmente è stata la scommessa, data per persa da moltissimi prima durante e dopo la realizzazione del film, di girare e terminare con pochissimo budget un film storico, con un buon cast e collocato nel periodo della Seconda guerra Mondiale. Praticamente come suonare un brano al pianoforte di Mozart a testa in giù su un treno in corsa.
Nel tuo mestiere quanto e fino a che punto è giusto arrivare a certi compressi (con produttori e distribuzioni) pur di realizzare un film?
Un minimo di compromessi c'è sempre, è quasi impossibile evitarli pur di realizzare un film.
Se sono di natura economica ma con persone di grande professionalità, non ho mai avuto problemi ad accettarli.
Ma se il tuo amor proprio o la tua serietà ti dicono che per accettare un compromesso stai facendo scelte poco professionali, il tuo organismo prima o poi ti mette uno stop.
Nei prossimi anni il cinema italiano continuerà a produrre in larga scala solo commedie di sicuro incasso o volgerà lo sguardo anche altrove?
Per fortuna no, sarebbe davvero riduttivo: praticamente un incubo.
Ma c'è una fetta di pubblico italiano molto intelligente e preparato, che si rifiuterà di appoggiare prodotti superficiali o scadenti.
Bisogna credere nel pubblico, secondo me; e nella capacità di maturare, crescendo, che abbiamo tutti noi.