Un albero un animale
L’abete e il bue
di Federica Fasciolo
Natale arriva! Già, esattamente come ogni anno, direbbero i cinici di turno, eppure ci piace, ci piace eccome questa festa. Capace di riunirci un po’ tutti, di farci gioire di piccole cose, come per esempio dei negozi e delle città decorate in modo speciale…
E se parliamo di decorazioni e simboli, non possiamo non nominare il simbolo per eccellenza di questa ricorrenza: l’albero di Natale.
A migliaia vengono tagliati, trasportati in habitat impropri, e gettati dopo l’uso. E già sembra alzarsi un lamento: un rimpianto per le pendici del Gran Paradiso o quelle dei Monti Pallidi; e per il silenzioso lavoro di guardiani di ghiacciai perenni, di rete di protezione dalle valanghe, di custodi di un territorio e casa per scoiattoli ed uccelli….ricordo di quell’aquila…
L’albero di cui parleremo questa settimana è proprio l’abete infatti. La natura con le sue opere stupisce, e non fa di meno con questa pianta sempreverde. Quello classico, l’abete bianco, soprannominato non a caso “principe dei boschi”, può raggiungere infatti fino ai 600 anni di età, arrivando a un’altezza media di 30 metri, se non 45-50 (50 metri il più grande d’Europa, che si trova proprio in Italia, in Trentino).
Viene da lontano la storia di questo magnifico albero, simbolo dell’Italia del Nord, già accompagnato dalla mitologia, così come la racconta Ovidio nelle Metamorfosi: Questo albero è legato al mito di Cenide, Prese il nome di Cineo, divenne un imbattibile guerriero e fu proclamato re dei Lapidi. Diventò così superbo da piantare nel centro della piazza la sua lancia realizzata con legno di abete e chiese ai sudditi di dedicarle dei sacrifici. Zeus, per punirlo, spinse i Centauri ad ucciderlo, perquotendolo con tronchi di abete e conficcandolo al suolo come fosse un albero. Da allora presso molte popolazioni in primavera si verifica un rituale, durante il quale un palo di abete viene conficcato al centro della piazza del mercato.
Molte sono le tradizioni legate a quest’albero a Natale… famosa quella di Londra, che ogni anno importa l’abete per Trafalgar Square dalla Norvegia fin dal 1947, addobbandolo con le decorazioni tipiche di quel paese.
Rimaniamo in tema Natale… ricordate il bue e l’asinello? Certo, un anno fa Benedetto XVI, nel suo libro “L’infanzia di Gesù”, aveva smentito (per quanto sia possibile usare questo termine) la presenza ufficiale di questi due animali alla nascita di Gesù, ma (non ce ne voglia) essi rimangono nell’immaginario collettivo innegabilmente legati al Natale, e non mancano in nessun presepe.
Tralasciamo per il momento l’asino, di cui parleremo in altra occasione, e soffermiamoci brevemente sul bue…lo so, spontaneo viene alla mente il tempo delle rime scolastiche del Carducci: “T’amo pio bove e mite un sentimento di pace…
Sembra ormai unanimemente confermato che tutte le razze di buoi domestici del mondo abbiano avuto origine da un unico antenato selvatico, l'Uro, diffuso dal tardo Pleistocene al Neolitico dall'Eurasia settentrionale fino al Mediterraneo, al Medio Oriente e all'India, ancora presente in grandi branchi nell'Europa centro-settentrionale ai tempi dei Romani e sopravvissuto fino al secolo XVII, in una mandria di pochi capi, nella foresta di Jaktorow in Polonia, dove conviveva col Bisonte europeo. Tuttavia la sua libertà fu destinata da lungi a scemare, l’uomo ha visto nel bue un possibile schiavo e già da 9000 anni lo ha addomesticato al proprio servizio. E nei secoli, però, lo ha selezionato esaltando le sue qualità essenziali: produrre latte, carne e forza lavoro.
Francesco, nel famoso Presepe di Greccio, pone il bue e l’asino a fianco della mangiatoia che fu culla per Gesù di Nazaret, proprio perché erano – e in larga misura lo sono ancora in buona parte del mondo contadino di ogni dove – i due animali più vicini e utili all’uomo; ma la scelta sicuramente fu in primo luogo quella di testimoniare all’atto di nascita di Gesù, e la nuova alba per l’umanità, la necessità di rendere tutti consapevoli del rispetto per tutte le creature del creato.
Nonostante poeti e scrittori abbiano a lungo elogiato questo animale nei suoi generi, quello che resta di più in mente, agli uomini del nostro tempo, è il bue della corrida, la sfida uomo-animale (e in questo caso è difficile distinguere chi sia l’animale nell’arena).
Sarà bene sfatare che sia il drappo rosso a scatenare il toro, che invece ha una vista in bianco e nero, per confermare che il toro si scatena perché è aggressivo per selezione, una trasformazione che fa ancora leva sulla violenza dell’uomo sull’animale, in contraddizione con la “Pace e la serenità” impressa nel presepe da Francesco.