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Cinema

Mai su questi schermi

Inquadratura sul cinema italiano indipendente

di Giada Gentili

Da giovedì 11 Aprile a Mercoledì 17 una media di 60 persone a sera, con un tutto esaurito nelle serate di Venerdì 12 e Martedì 16, hanno riempito il cinema FilmStudio nel cuore della capitale, a Trastevere per la precisione, per assistere alla prima visione del film Fuorigioco.

Si narra la storia di Gregorio Samsa, il cui “padre” è il Gregor Samsa de “Le metamorfosi” di Kafka, che licenziato dal posto di lavoro, si trova a fronteggiare il nulla giornaliero di chi non ha più “un posto nella società” (parole del protagonista del film).

Samsa, quello del film, inizia a combattere con le tentazioni che derivano dalla noia e la paura: da quelle extra-coniugali a quella che mettere fine alla sua vita.

Fuorigioco è attuale, a tratti difficile da sopportare ma che, fortunatamente, alla fine non lascia allo spettatore una pillola della felicità ma consegna domande a cui ognuno è libero di dare proprie risposte.

Scheda tecnica

Fuorigioco è l'opera prima di Carlo Benso.

Benso studia recitazione e regia teatrale a Firenze, il teatro rimane il suo primo amore (e il primo amore, senza retorica, non si scorda mai); lavora per RAI e Mediaset realizzando diversi spot, in seguito si occupa anche di regia di videoclip per la casa discografica Micocci.

Negli ultimi anni si è dedicato alla regia e sceneggiatura sia teatrale che cinematografica.

Lei lavora e collabora da anni con diverse compagnie teatrali perché ora si è dedicato al cinema?

Io nasco e cresco nel teatro, mi sono avvicinato al cinema grazie ad amici e colleghi e nonostante non abbia mai abbandonato il teatro, la storia del film per me urgeva di essere racconta, ne avevo necessità io in prima persona.
Il cinema comunque mi coinvolge e affascina da sempre e il motivo per cui ho realizzato la mia opera prima a 56 anni è che credo che ogni opera necessiti di un percorso prima di essere realizzata.

Com'è stata la prima esperienza dietro la macchina da presa, anche paragonandola alla regia teatrale?

È andata bene sotto diversi punti di vista, è stata un esperienza sia umana che professionale.
Umana perché il film è stato una condivisione d'impresa a tutti i livelli, dal cast artistrico a quello tecnico. Ognuno ha portato qualcosa di sé sul set, sentendosi parte di un progetto, e tutto questo ha permesso la realizzazione del film.
Sotto il punto di vista professionale perché in teatro va detto e raccontato tutto, al cinema basta un'inquadratura. La macchina da presa mi ha permesso di focalizzare i dettagli, le particolarità, uno sguardo dell'attore che volevo enfatizzare e questo per me, rispetto al teatro, è stato un qualcosa di innovativo nel voler raccontare una storia.

Però hai trovato in qualche modo un tuo stile nel raccontare al pubblico una storia attraverso il cinema.

Esattamente, nel girare la storia contemporaneamente ho cercato anche me stesso e il mio modo per riuscire a parlare attraverso la macchina. Non considero la telecamera qualcosa per vedere ma un mezzo per esprimere te stesso e per dare forma alla storia.

La scelta della trama è dovuta solo all'attualità dell'argomento?

Non solo, è dovuto soprattutto dalla mia esperienza personale. Sono un'artista, o presunto tale, e vivo quindi in costante precarietà, lavorativamente parlando. Mi sveglio la mattina e mi chiedo “Che faccio oggi?”; la rabbia, la frustrazione che mi sono portato negli anni l'ho oggettivizzata nel contesto odierno e l'ho resa metafora.
Il cinema per la mia visione non è analisi ma metafora appunto, ho voluto guardare gli ombelichi degli altri, non solo il mio, e raccontare cosa vedevo. Sono partito da me ma ho alzato lo sguardo verso ciò che mi circondava.

Il suo è uno di quei film che necessita di essere guardato fino ai titoli di coda perché se così non fosse il finale risulterebbe privo di speranza. La scena e l'ultima inquadratura, che mostrano uno stupro cruento, non lasciano intravedere la luce alla fine di questo tunnel che è la crisi, esistenziale più che economica.

Non avevo ambizione di creare speranze, non volevo consolare, non volevo miagolare: volevo urlare. Preso atto di questa crisi che facciamo? Spariamo agli altri? A noi? A chi ci ama? È al pubblico che lascio la risposta.
La speranza di cui parli fa riferimento alla canzone che ho cercato ovunque perché, a prescindere da tutto, volevo lasciare allo spettatore il messaggio: bisogna essere vivi! Il testo, la musica provano a lenire il dolore, ciononostante non ho voluto addolcire la storia, mi sembrava una ruffianeria.
Sono consapevole che questo è il pregio e il difetto del film.

La scelta di una casa di produzione indipendente, la RIO film e quindi anche l'auto-produzione, è stata voluta dall'inizio o ha tentato anche la strada dei finanziamenti ministeriali piuttosto che quelli delle grandi case di produzione e distribuzione?

No non c'ho neanche provato, non avevo intenzione di perdere tempo, perché davvero si perdono gli anni! Ho scritto la storia e volevo realizzarla, punto. Non sapevo come e quando ma non volevo stare appresso ai finanziamenti che tanto non ci sono e, se ci sono, non arrivano.

Il fatto che il film faccia parte del circuito “indipendente” emerge anche dai titoli di coda in cui si ringrazia il portiere, i parenti, questo o quel condominio. La suddetta atmosfera in qualche modo famigliare si è respirata anche sul set, pur lavorando con professionisti?

L'atmosfera di cui parli è stata fondamentale. Il film è stato girato nel mio condominio, e le persone si sono trasferite da suoceri e amici chi per darmi un base per la produzione, chi per liberare la seconda casa di cui avevo bisogno per le riprese. La casa del protagonista del film è la mia e tutta la mia famiglia si è dovuta trasferire per 15 giorni. Questo appoggio da parte delle persone che conosco è stato basilare per me.

Per girare un film a basso costo l'arte di arrangiarsi premia.

Assolutamente. Aggiungo che la troupe era formata da ragazzi appena usciti dalle scuole di cinema, giovani che volevano girare un film e volevano fare esperienza, molti di loro sono riusciti a firmare l'opera per quanto riguarda, ad esempio, scenografia o costumi.
Insomma, non tutti ci possiamo permettere i soliti nomi da botteghino nel cast! Fuori dal circuito commerciale non saremo tutti geni ma ci sono parecchie persone che meritano di lavorare.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)