Arte
Scuderie del Quirinale - Roma
L’“altro Rinascimento”
di Tiziano
Ovvero la nascita della pittura moderna
di Margherita Lamesta
Dopo oltre vent’anni, finalmente, una mostra cronologica su Tiziano Vecellio è ospitata fino al 16 giugno presso le Scuderie del Quirinale. L’ultima fu del 1990 al Palazzo Ducale di Venezia, città d’adozione del grande artista cadorino.
Espressioni d’uso comune rimandano al celebre pittore cinquecentesco e contribuiscono, tutt’oggi, a conservarne la fama anche nelle parole usate dai meno edotti. Una su tutte, “Rosso Tiziano”, divenuta emblema di un certo imprimatur di bellezza, fa riferimento ad un color miele ambrato, particolarissimo e molto lontano dal rosso vero e proprio.
In effetti, nel colore, nel suo uso fortemente soggettivo, risiede la rivoluzione del “maestro veneziano” la cui lezione di trasformazione dello stesso, attraverso le sue tele lisce, lo pone in netta contrapposizione con il Tintoretto e le sue tele piene di grumi.
Più in generale, Tiziano è considerato l’artista europeo per eccellenza, in una rosa di protagonisti della rivoluzione pittorica che storicamente include i nomi celebri di Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Lorenzo Lotto e lo stesso Tintoretto.
Oltralpe nasce, infatti, una delle più calzanti definizioni dell’artista, coniata da un altro Maestro a lui successivo di ben più di tre secoli. Delacroix disse, appunto, che “Tiziano era carne e sangue del suo tempo” e aggiunse che “non sarebbe così l’arte moderna senza il segno indelebile di Tiziano”. Anche Goethe non restò indifferente al talento del Maestro del colore.
Nel 1786, assieme all’amico pittore Tischbein, durante una celebrazione di Pio VI dentro il Palazzo del Quirinale, alla vista di una pala di Tiziano affermò: “Risplende ai miei occhi più di qualsiasi altro quadro veduto sino ad oggi… è il quadro più perfetto di quanti io abbia mai veduti”.
A ben guardare, le pale del celeberrimo artista rinascimentale racchiudono una tale carica illusionistica, che ritroviamo anche nel suo gusto per il dettaglio descrittivo.
Infatti, il Maestro offre liberamente il particolare alle vibrazioni di luce, in dialogo con le ombre così rotte a favore di un maggior fasto pittorico e di una specifica enfasi monumentale, perfettamente inscritta in dipinti di grandi dimensioni quali le pale sono per antonomasia.
Influenzato da Dürer e Bosch, Tiziano riuscì ad introdurre in una composizione di impianto classico un’ambientazione viva e pulsante, priva di schemi precostituiti, che diventa partecipe delle passioni e dei sentimenti degli uomini.
Egli rese le sue figure particolarmente plastiche, dai volti spesso duri, perché frutto di una meditazione sul dolore.
Nella Deposizione, un luna luce divina e lunare inonda il torace del Cristo morto dal volto dolcissimo contrapposto al gesto della Madonna, il cui dolore troneggia nella scena, dalla costruzione decisamente sostenuta. In parallelo, nell’Annunciazione, la Vergine è sontuosa e la fiamma dell’amore divino si fa luce tagliente e precisa come una lama, in una scena classicheggiante ma concitata e mossa. Entrambi i dipinti sono presenti in mostra.
La pittura veneziana dei primi del 500 – Giovanni e Gentile Bellini con lo schematismo geometrico e Giorgione con la riforma tonale e le sue forme completamente staccate dal fondo – avranno enorme influenza sul giovane Tiziano.
Il Maestro rivisita l’arte classica e, affidando i contorni delle figure alle sole macchie di colore, è da considerarsi un anticipatore dell’Impressionismo.
Sia nell’arte del ritratto, sia nei temi sacri, sia nella produzione profana e mitologica, le composizioni del Nostro faranno completamente svanire i contorni delle figure, superando la stessa lezione di Giorgione.
Tiziano opererà con il preciso obiettivo di affidare la propria immagine alla posterità, come possiamo agilmente notare nel suo autoritratto conservato al Prado di Madrid – presente in mostra. Qui, l’artista, ricorrendo alla tradizione del “profilo celebrativo”, restituisce allo spettatore una figura idealizzata dall’enorme forza espressiva. Il colore nero dell’abito, inoltre, è tipico dell’intellettuale e del gentiluomo, nel linguaggio pittorico, mentre l’essenzialità della composizione fa risaltare i segni del tempo sul volto, il cui sguardo è rivolto oltre il visibile.
Il cadorino non fu neppure insensibile ad un orgoglio italiano, in anticipo di oltre tre secoli sull’ unità d’Italia, volendo restituire alla flotta pontificia e veneziana, a proposito della vittoria di Santa Maura sui turchi, quegli onori che la storia aveva offerto ai soli spagnoli.
E’ quel che riscontriamo, infatti, nel ritratto Jacopo Pesaro presentato a San Pietro da Papa Alessandro VI, presente in mostra.
Realismo, dinamicità, inquietudine, sguardi languidi ed allusivi sono tutti riconoscibili nei temi femminili dei suoi dipinti. Flora, con il suo misto di pudicizia e voluttà. La maddalena, i cui occhi lacrimanti rendono sacra la sua nudità appena coperta da un velo, artefice di una forza erotica divenuta divina.
In ultimo, la celebre Danae, commissionata dal cardinale Alessandro Farnese e molto apprezzata addirittura dal Sommo Maestro Michelangelo.
Con la Punizione di Marsia, poi, la nascita della pittura moderna raggiunge la sua piena materializzazione: pennellate complesse, accumulo di colori sporchi, violenza espressiva sono tutte abilità che consacrano al pittore un posto d’onore nell’eternità.
Questo, e molto altro, si può ammirare in mostra, al fine di smuovere nell’animo di noi contemporanei, confortati da tali grandi onori del passato, un orgoglio ormai troppo sopito e calpestato dagli eventi. Sperando, dunque, in un rigurgito di DNA raffinatamente artistico - da estendere anche alle altre arti – ci auguriamo un sapiente recupero della memoria per non disonorarla e per meglio indirizzare il nostro futuro.