alimentazione
Contro i brevetti dei semi
Cibo un bene per tutti
di Federica Fasciolo
Ottenere brevetti su varietà di frutta e verdura che quotidianamente consumiamo, per avere il monopolio sui loro semi: ecco i nuovi “Standard Oil” e Murdoch, ma dell’alimentazione.
Aziende come Monsanto tornano all’attacco: fanno richieste di brevetti per le diverse varietà di grano (ed è solo un esempio) per metterli in commercio in un vero e proprio regime di monopolio, così che un qualsiasi coltivatore venga costretto a pagare i semi (come fossero una proprietà intellettuale delle suddette aziende) e rischiare di essere portato in tribunale se non lo fa.
Questa “operazione”, partita in India e più in generale dei paesi del sud del mondo, non si ferma. Le scappatoie per aggirare anche le leggi europee a quanto pare esistono, infatti, e simili aziende non si pongono scrupoli nello sfruttarle. Secondo
Mira Shiva, attivista e ambientalista, “ora che i prezzi del cibo aumentano, la battaglia per impedire la brevettazione di riso, grano, così come di piante mediche è questione di vita o di morte per i piccoli agricoltori”.
Per Shiva è possibile combattere il fenomeno in due direzioni: la prima l’educazione dei giovani, la seconda – altrettanto importante se non più urgente da attuare – ottenere leggi che tutelino la libertà dei semi.
Per rendere questo possibile è dunque necessario un formale impegno politico. Avaaz.org, organizzazione non governativa internazionale, ha già lanciato una petizione online per difendere il nostro cibo e attirare l’attenzione delle istituzioni, in dovere di agire impedendo a queste aziende di ottenere un monopolio sui semi della vita.
È indispensabile vincere questa battaglia, o i piccoli produttori si troveranno in enormi difficoltà.
La questione non è solo economica, ma anche morale: i beni alimentari devono essere comuni, non privatizzati e quindi utilizzabili solo pagando costose licenze.
Il cibo non è una proprietà intellettuale di questa o quell’altra azienda e che sia possibile brevettarlo dovrebbe essere impensabile.
Le istituzioni hanno il dovere di trasformare quel “dovrebbe” in un verbo che esprima certezza, la certezza che il cibo sia ancora considerato come quel bene prezioso, necessario alla sopravvivenza e sacro, che è giusto appartenga a tutti.