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racconto

L’amore

di Ruggero Scarponi

Dite quel che volete, ma i conventi a me son sempre piaciuti, soprattutto quelli delle monache. Vi si respira un’atmosfera serena e dei profumi di pulito e di peperoni in padella che ti fanno sentire sicuro, beato nel corpo e nello spirito.

Quando Don Aldo, la domenica mattina, di buon’ora, andava a celebrare messa al convento delle domenicane non perdevo occasione di seguirlo per fargli da chierichetto. Concluso il rito era tradizione che le monache ci offrissero la colazione. E io che ero un bambinetto di dieci o undici anni ricevevo un sacco di coccole e complimenti da quelle buone suore. Mi coprivano letteralmente di attenzioni rimpinzandomi di dolci e marmellate fatte da loro stesse con la frutta che cresceva nel giardino del convento.

Ma fra i tanti ricordi di quelle visite, il colore bianco è quello che più si staglia nella mia mente. Bianchi gli intonaci delle stanze, gli abiti delle monache, i soggoli, i visi delle anziane e quelli delle giovani. Bianchi i golfini di lana i cui polsini a piccole coste, sporgevano appena dai manicotti, così come le calze che si scorgevano di un nulla tra la lunga veste e le scarpe. E bianche erano soprattutto le mani, esili e forti da instancabili lavoratrici. Ricordo quando mi accarezzavano le guance. Le ricordo quelle mani, un po’ ruvide, avvizzite e quasi trasparenti, percorse dalle linee bluastre delle vene. Ricordo il contatto, dolce, mai molle o indolente. Lì mi sentivo a casa.

Da grande, cominciai a meditare, sarei diventato prete. Immaginavo di poter gustare senza limite alcuno la pace e la serenità che quel mondo poteva offrire. Naturalmente non erano solo gli aspetti materiali ad affascinarmi perché quando mi trovavo in una chiesa o in qualche convento mi sentivo realmente più vicino al mistero e una specie di euforia mi pervadeva come se da un momento all’altro dovessi ricevere la Grande Rivelazione, la Chiamata di Dio. Ma a distogliermi da tutto questo fu una giovanetta, della mia età, forse, o poco più. Si chiamava Vincenzina e aveva i capelli lunghi e biondi come frange dorate che le coprivano le spalle e le cadevano a cascata sulla schiena. Anche di lei il ricordo si colora di bianco, quello della tunichetta di cui era vestita come l’abito delle bambine alla prima comunione. Quando la vedevo non potevo distoglierne lo sguardo. Anzi cominciai ad andare al convento delle domenicane con varie scuse solo per vederla. La trovavo in chiesa dove spesso si fermavano le ragazzine della scuola media tenuta dalle religiose. Non avevo il coraggio di parlarle di fronte ad altre persone per cui non potendo far di meglio, presi a sognarla di notte. Facevo sogni bellissimi in cui Vincenzina e io passavamo tanto tempo insieme a parlare di noi, delle nostre cose. Una volta sognai di sposarla, così, ancora bambina, con la sua tunichetta bianca da prima comunione, nella cappella delle domenicane dove il coro delle suore faceva risuonare la chiesa di un canto celestiale come fossero angeli dal paradiso.

Un giorno che durante una lezione a scuola mi ero messo a fantasticare fui turbato da un pensiero diverso. Per la prima volta provai forte l’impulso di un rapporto nuovo con Vincenzina. In quell’istante provai netta la sensazione che non mi sarebbe bastato più di sognarla, ora desideravo toccarla, tenerla tra le braccia e perfino di baciarla. Le sue labbra tumide e rosse mi attiravano in maniera irresistibile e il suo sguardo, infinitamente dolce, amabile, mi seduceva provocandomi un languore e uno spasimo doloroso. Tornai nuovamente al convento delle Domenicane sperando di ritrovare la fanciulla che ora segretamente, dentro di me chiamavo senza mezzi termini: amore!

Come mi batteva il cuore e come arrossivo quando la portinaia che mi faceva entrare mi trapassava con uno sguardo un po’ indulgente e un po’ indagatore.

I mesi passarono lenti e veloci come accade ai ragazzi ansiosi e timorosi a un tempo di crescere e di vivere la propria vita. Ma la passione per la mia Vincenzina non mi abbandonò.

Un giorno più sconvolto che mai bussai da Don Aldo.

- Padre ho bisogno di confessarmi – dissi in un fiato.

- Che ti succede, perché tutta questa fretta? – chiese il prete leggermente allarmato vedendomi in quello stato.

- Ho bisogno di parlare, Padre, ma in confessione.

Il religioso restò un momento esitante poi compreso che qualcosa doveva pesarmi davvero nell’anima disse

- Va bene, non sarebbe orario ma… seguimi in cappella.

Dopo aver indossato la stola Don Aldo prese posto al confessionale.

- Avanti, parla pure con fiducia, Dio è sempre disposto a perdonare.

Stavo per cominciare quando improvvisamente mi sentii bloccare da una specie di morsa che mi serrava la gola. Restai qualche istante incapace di parlare, riuscendo solo a farfugliare qualche suono inarticolato.

Don Aldo che mi conosceva dalla scuola elementare mi parlò con dolcezza cercando di mettermi a mio agio e finalmente riuscii ad aprirmi.

- Don Aldo credo di aver commesso un grave peccato.

- Per quanto grave, Dio è sempre disposto a perdonare i suoi figli per i quali Gesù è morto sulla croce, non dimenticarlo.

- Ma il mio peccato è grande davvero, talmente che mi vergogno perfino di dirlo a me stesso.

- Figlio mio stai pur tranquillo. Tutti i giorni mi sento dire le stesse cose da ogni genere di persona. Uomini, donne, ragazzi e perfino preti. Ognuno ha la presunzione di commettere il peccato più grave, ma alla fine i peccati sono sempre gli stessi e un confessore non si scandalizza mai se non dei propri peccati che non dovrebbe commettere e che invece stanno lì a ricordargli la virtù dell’umiltà, parla dunque senza timore, in nome di Dio ho il potere di assolverti.

- Bè allora – dissi con un filo di voce – vorrei confessare che stanotte ho avuto un pensiero brutto, ho sognato di fare all’amore con una ragazzina…

- L’hai solo sognato? – chiese Don Aldo – perché se l’hai solo sognato, non ti devi preoccupare, questo non è peccato. Non siamo responsabili dei sogni.

- Si l’ho solo sognato, Padre, ma sono rimasto ugualmente turbato al risveglio e ora quel pensiero mi perseguita e non posso scacciarlo dalla mente.

Dissi queste ultime parole tra i singhiozzi e Padre Aldo durò fatica a restituirmi la calma e la fiducia.

- Figlio mio – disse alla fine – capisci bene che se la vista di questa ragazzina ti sconvolge tanto sarebbe saggio evitarla, al momento. Magari quando sarai cresciuto se avrai ancora interesse per lei e se dovessi scoprire di essere ricambiato potresti chiederle di frequentarla come si fa tra ragazzi e ragazze e forse, se Dio vorrà, potreste un giorno perfino unire le vostre vite e sposarvi, chi può dirlo?

- Dio lo volesse! – esclamai in un fiato – Tuttavia Padre, non credo sia possibile, né facile evitare d’incontrarla.

- perché? – chiese Don Aldo che pensando di aver terminato il suo ufficio stava per impartirmi la benedizione.

- veramente Padre la conosce anche lei, molto bene e la incontra tutte le domeniche a messa.

- Ah! – sorrise Don Aldo – ora ho capito si tratta forse di una ragazzina che va a scuola dalle domenicane?

- Dalle domenicane si, - risposi timoroso - ma non va a scuola…

- Ohè, dico, non ti sarai innamorato di qualche monachella spero!

Sbiancai letteralmente all’insinuazione di Don Aldo ma con tutto il coraggio che mi restava mormorai:

- Peggio…

Don Aldo ebbe un sussulto e uscì fuori dal confessionale. Mi si avvicinò con il viso quasi a sfiorami il naso.

- Parla!- ingiunse -

- Ma lei, me la da ugualmente l’assoluzione, qualunque cosa sia? – chiesi spaventato.

- Chi? – incalzò, il prete.

- La Beata Vincenzina – piagnucolai sconvolto – quella dell’immagine nella cappella di sinistra.

- Ma – disse Don Aldo, tra sorpreso e rassicurato – se è solo per questo, va pure in pace, non preoccuparti, certe suggestioni sono normali per i ragazzi della tua età. Io ti assolvo nel nome…

Ma subito dopo, mentre stavo per allontanarmi dal confessionale udii distintamente Don Aldo che mormorava fra sé:

- Gesù! Com’è possibile? La piccola Vincenzina, un’anima candida, una piccola santa. Io stesso ho promosso in diocesi gli atti per il suo processo canonico. Non capisco cosa ci abbia messo il pittore in quel quadro, ma senz’altro dovrò suggerire alla madre di farlo togliere, non è il primo ragazzo che viene a confessarmi questa storia.


Racconti d’altri tempi  

Liceali inusuali

di Agnolo Camerte

Ciao Cesarino, ciao Carletto…..Allora? Che hai fatto? Ti vedo un po’ stralunato Carletto….che ti succede? Ma niente, sto bene, ma domani ho il compito in classe di latino…e quel Professore, te l’ho già detto, impensierisce tutti…Ma dai, diceva Cesarino, stai tranquillo, vedrai che lo fai bene!

Certo è con l’ottimismo che si affrontano e superano le difficoltà; latino e greco sono davvero tosti, ma per fortuna non tutti i Professori sono così arcigni direi!

Per fortuna italiano, storia e……; direi che latino e greco sono resi difficili dal prof.. E’ talmente severo……anche noi tre (Carletto, Eugenio e Fabrizio) non eravamo tanto teneri…occorreva solo ammorbidire un po’ quel Prof. Di Latino e Greco, anche se era uno studioso nonché sacerdote….degno di rispetto e stima…..

Fabrizio pochi giorni dopo se ne uscì con un’idea…a carnevale si sa ogni scherzo vale…..E noi eravamo fonte ineusauribile di trovate. Siccome aspettandolo, tra un’ora e l’altra di lezione, era naturale che ci sfogassimo e che facessimo un bel chiasso, Lui aveva preso l’abitudine di entrare e per farci fare silenzio, dava un calcione a quella pesantissima porta di quercia della classe che sbattendo contro il muro con un botto assordante, dava il segnale che il “cerbero” era entrato e che bisognava fare silenzio per non prendere una nota.

Ma un bel giorno, misteriosamente, quella porta dopo l’usuale calcione uscì dai cardini e , pesante com’ era, cadendo a terra fece un tal botto che sembrava fosse scoppiato un petardo………Quello fu definito allora un classico scherzo da prete……..

Per nostra fortuna l’amabilissimo Prof. di scienze, era la persona che ogni studente vorrebbe avere come insegnante. Era preparato e la materia la faceva capire…ma noi approfittando della sua infinita pazienza e bonomia gliene combinavamo di tutti i colori. Noi tre eravamo sempre i principali indiziati…….ed uno dei tre era anche suo nipote! Famosa la sua frase “oggi interroghiamo tre a caso”…….Prima che pronunciasse i nostri nomi eravamo già vicino alla cattedra, perché sapevamo che chiamava sempre noi tre, per tenerci buoni. L’imprecazione del nipote era sempre la stessa porch…..zio, chiami sempre me!......

Il poveretto un giorno si vantò di conoscere l’anatomia degli animali: lui era in grado di esaminarne i corpi e gli organi: Eugenio chiese, anche dei conigli? Prof. Ma certo, che ci vuole? Frase infelice!

Il giorno dopo Ticche prese un coniglio alla madre, lo infilò dentro la cartella vivo e prese la corriera per venire a lezione. Arriva l’ora di scienze e….professò allora? La facciamo l’autopsia al coniglio? Lui rispose, e chi ce l’ha il coniglio? Eccolo! Disse Ticche, tirandolo fuori dalla cartella. Mossa improvvida, perché la povera bestiola, spaventata dal rumore della corriera e dalla permanenza forzata nella cartella, come uscì irrorò con un potente sghizzo d’urina il povero Professore!......Lui si scherniva e non voleva continuare l’esperimento di scienze……Ma come faccio ad andare avanti? Povera bestia! Non ho neanche un coltello affilato! Pronto disse Filippo, eccolo! Conficcandolo nella cattedra; ma manca anche tutto il resto, ci vorrebbe una bacinella! Eccola! La bacinella disse Gabriella! Insomma avevamo tutto predisposto per sacrificare alla scienza quel povero coniglio!....Stranamente l’esperimento riuscì perfettamente e la lezione di scienze terminò con gli applausi di tutti.

E il coniglio? Che ci facciamo? Chiese il Prof. Ci penso io! Intervenne Carletto, d’accordo con gli altri due…..Che ne dice professò, non bisogna sprecare il cibo no? All’osteria della Bella Gina, lo sanno cucinare in un modo eccezionale, lo fanno in porchetta!.. E’ buonissimo, che ne dice Professò ce ne facciamo preparare altri due e andiamo a cena tutti insieme!?

Se a qualcuno non piace, peggio per lui, ma gli facciamo preparare un’altra specialità, per esempio li ”zampetti di maiale con la finocchiella.”

Tutta “roba leggera”; ma si sa, a quell’età , se si digeriva il latino ed il greco, si digerivano pure i sassi!

E le ragazze? Chiese Fabrizio? Speriamo che vengano tutte, almeno potranno raccontare che una volta sono state anche all’osteria! Figuriamoci! Allora per una ragazza bene era un’esperienza inusitata!

Già pensò Carletto in fondo la mia classe è inusitata, sembra una gabbia di matti! Di liceali inusuali!


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)