Cinema
Festival cinematografico di Venezia
Vince il Leone d'Oro
Pieta di Kim Ki Duk
di M.L.K.
Seul, tra grattacieli e industria informatica da primato mondiale, si consumano storie incredibilmente nefaste per bramosia di denaro ed usura.
Pietà e vendetta sono gli ingredienti del film Pieta del coreano Kim Ki Duk, che si aggiudica il massimo riconoscimento veneziano, e che nell’entusiasmo ringrazia la giuria, presieduta da Michael Mann, con un canto popolare del suo Paese.
Il film presenta un giovane collaboratore di uno strozzino, Kang-do, che vive in uno squallido ambiente; ma ha la faccia charmant e indossa un giubbotto di pelle glamorous, alla Arthur Fonzarelli di Happy Days.
La “madre” indossa abiti di accesi colori per esorcizzare un’esistenza di dolore: moderna Maria di Nazareth , risulta in realtà un personaggio monocorde, così come il “suo bambino” , e accetta ogni cosa passivamente. Ma la lettura più corretta non è il rapporto madre-figlio, il regista si esercita consapevolmente a gettare tra i loro piedi un terzo incomodo, il denaro.
La trama, dunque, è semplice e pecca anche di un eccessivo limite strutturale, riscattato comunque dall’interpretazione della protagonista, Mi-sun, decisamente all’altezza del difficile ruolo assegnato al suo personaggio.
C’è da dire che la linea psicologica appare è un po’ superficiale, e lo stupro del figlio verso la madre in questo onirico rapporto ritrovato si presenta in tutta la sua crudezza: brutalmente la costringe a mangiare un pezzo di carne tagliatosi davanti a lei, per strapparle un rifiuto o per scovare un segnale che faccia di lei una mentitrice.
La madre però non cede, e si fa accettare tutto sopportando. Il suo fine è altro e alto, così il suo dolore e l’onore infangato. Pungente l’onore infangato. La parabola del figliol prodigo è rovesciata, nella pellicola coreana, non serve a redimere quanto a colpire più in profondità.
Il film Pieta non ha convinto molti, ma come succede spesso, anche in questa occasione basta un geniale colpo di scena finale del regista per consacrare un Maestro ed esaltare un film.
Se la violenza appare gratuita e non si riferisce al perché un figlio viene abbandonato da sua madre alla nascita, o al perché ripresentarsi nella vita del mostruoso e crudelissimo trentenne, passa la linea di un pentimento soffocato dalla volontà di redimere: redimere la cattiveria del figlio, liberarlo dalle catene dell’anaffettività e condurlo, così come riuscirà a fare, lungo il sentiero del recupero dell’onore..