Cinema
L'ultimo capitolo di Batman
Più uomo che eroe
di Giada Gentili
Batman di Nolan non è un eroe come gli altri, è depresso, apatico, ha paura, preferisce la morte al mondo "là fuori". È una figura che può essere considerata emblematica del nostro tempo, qualcuno che ha dato tanto per il prossimo ma che rimane con una grande angoscia e vuoto dentro.
Al di là degli effetti speciali, spettacolari come sempre ma di cui, per fortuna, Nolan non si è servito per mascherare una trama inesistente o fragile, come succede troppo spesso nei film di oggi, il ritorno del Cavaliere Oscuro non può essere declassato come la classica "americanata", farcita di spari, bombe e fuoco.
Nonostante siano state usate alcune delle tecniche di ripresa più avanzate del nostro tempo, come l'utilizzo di telecamere IMAX, impiegate più che altro nei documentari, che il regista preferisce al 3D, è la sceneggiatura che porta il film in una categoria superiore, che non si ferma a quella dei supereroi.
È una considerazione sulla società attuale, un'antropologia moderna. Una grande teoria su come il mondo occidentale potrebbe reagire alla crisi, economica, di valori, di idee, e che potrebbe portarlo a consegnarsi nelle mani di leader che fanno grandi promesse ma che ridurrebbero in cenere la società.
Il terzo capitolo della saga su Batman si chiude in bellezza e si distanzia leggermente dalla narrazione a cui Nolan ci aveva abituato, anche se la sua firma registica è evidente. La grande ondata di critiche che ha accompagnato l'uscita del film, dovute alla tragedia di Denver quando un 24enne alla prima del film ha iniziato a sparare sulla folla uccidendo 12 persone, tra cui alcuni bambini, ha fatto sorgere il dubbio che questo genere di film incitino troppo alla violenza, spingendo ad azioni di questo tipo.
Operare questo collegamento è pericoloso: Micheal Moore, regista americano, nel film Bowling at Columbine, affermava che la tragedia nella High School di Columbine (città vicino Denver) non poteva essere collegata al fatto che gli assassini ascoltassero Marilyn Manson, tutti coloro che ascoltano musica metal o hard rock sarebbero in questo modo potenziali assassini, o tutti quelli che hanno visto Arancia Meccanica potrebbero andare in giro con un bastone a torturare le persone.
La ricezione di un messaggio che proviene dai media è recepito dai singoli a seconda dei loro vissuti, della loro cultura, della loro personalità e non si può giudicare un film violento senza considerare il contesto della storia. Batman non è più violento di quanto non lo sia stato Spiderman, o un qualsiasi altro supereroe, e quella di Denver è stata una strage dovuta alla mente di un folle.
I personaggi sono stati costruiti magistralmente, i protagonisti non hanno niente fuori dall'ordinario e dalla realtà, non si arrampicano sui muri con le mani, non volano con la forza del pensiero, non inceneriscono nessuno con lo sguardo; la splendida Anne Hathaway ne è la prova, nella storia è Selina, non Catwoman come l'abbiamo vista interpretata da Halle Barry (più Cat che Woman) ma una normale e furba ragazza di periferia che non viene mai chiamata con il nome della supereroina, a parte qualche riferimento al fatto che si muove come un felino e che sia vestita di nero per quasi tutto il film. La sua personale evoluzione nella storia è una delle peculiarità che fanno dei personaggi delle persone, che cambiano, sbagliano, tornano indietro.
Anche se più di qualche momento cade nella retorica lo spettatore viene messo in costante atteggiamento di dubbio, verso la trama e verso i protagonisti, perché nessuno agisce in modo assoluto in maniera giusta o sbagliata, neanche Batman o il saggio Alfred.
Così com'è nel mondo reale, nessuno, neanche il migliore, è perfetto.