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Racconto

Il patto

di Ruggero Scarponi

In lingua Masai Zuri significa Bello. Questo era il nome del grande leone maschio nella piana di Amboseli. I Morani, i giovani guerrieri lo avevano spiato da tempo, lungo il confine che da sempre divide la terra degli uomini da quella dei leoni. Zuri ora se ne stava acquattato, tra le alte erbe della savana, di fronte al villaggio, accanto al sentiero che conduce alla sorgente d’acqua dolce. I giovani dopo la cerimonia dell’Eunoto, adornati con i surutia, i caratteristici pendagli Masai, durante la notte si erano abbandonati frenetici all’Engilakinoto, la danza della forza, per festeggiare il passaggio alla vita adulta.

Ma Zuri, il grande leone maschio, emetteva, ferito, un sordo brontolio minaccioso che rimbombava come un temporale, per tutta l’ampia pianura perdendosi nel vento lontano. Gli uomini e le donne del villaggio con le mani tremanti scrutavano atterriti le alte erbe che da qualche parte ne celavano la vista. I ruggiti di Zuri giungevano fin dentro le capanne scuotendo e svegliando dal sonno le madri e i figli e facendo correre brividi lungo la schiena degli uomini. Il leone sembrava non voler prendere riposo, sofferente e rabbioso, mentre il sangue della ferita richiamava mosche e formiche. Era solo questione di tempo. Lo sapevano i guerrieri e lo sapeva il grande leone maschio. Uno dei due contendenti avrebbe ceduto al fine. A Zuri sarebbero venute meno le forze a causa dello sfinimento e del dissanguamento e ai Masai sarebbe venuta meno l’acqua. I giovani guerrieri, i Morani, si erano dati all’Olomayio, la caccia al leone, contro il parere degli anziani. Avevano seguito Zuri, spavaldi e baldanzosi. Alcuni si erano appostati, altri lo avevano disturbato con una sorta di danza rituale, col suono di campanelli legati alle caviglie. Zuri aveva lasciato correre. Non era la prima volta che qualche giovane di uomo era penetrato nel suo territorio. Ma stavolta lo avevano svegliato durante il sonno e si erano avvicinati oltre il consentito. Li aveva inseguiti ed era caduto nella trappola. I giovani guerrieri lo avevano atteso nel punto prefissato e colpito con le lance, ma non avevano tenuto conto della sua forza. Zuri anziché accasciarsi al suolo aveva puntato i suoi occhi di ghiaccio contro gli inesperti nemici, aveva spalancato le enormi fauci mostrando le zanne e li aveva terrorizzati. E terrorizzati i Morani erano scappati per rifugiarsi nel villaggio al sicuro dietro le fitte siepi di rovi. Ma i colpi ricevuti avevano prodotto una profonda ferita nel fianco del leone che aveva intuito di non avere scampo. Per questo dopo aver percorso l’intero perimetro del villaggio fissando con lo sguardo gli uomini si era ritirato nel punto più strategico. Tra le alte erbe della savana lungo il sentiero sulla via dell’acqua. Sarebbe morto Zuri, questo lo sapeva, ma per la sua morte avrebbe preteso almeno un’altra vita, quella di colui che esasperato dalla sete avrebbe tentato di raggiungere la sorgente. Il sole del primo giorno calava all’orizzonte mentre gli avvoltoi con ampi giri si apprestavano all’antico rituale. Anche le fameliche iene avevano fiutato il banchetto e guardinghe si stavano avvicinando. Gli anziani del villaggio seduti in circolo scuotevano la testa mentre i giovani appoggiati alle inutili lance erano ammutoliti. Le madri con i piccoli aggrappati al seno al calare della sera si erano rintanate nel profondo delle capanne per supplicare Enkai il dio benefico dei Masai. Ma il ruggito di Zuri non lasciava speranza. La belva esigeva il tributo. I Morani avevano violato il patto, solo con il sangue avrebbero potuto ripristinarlo. Al sorgere del giorno i Masai oramai senz’acqua, cominciarono a temere il sole dardeggiante. Sapevano che il leone là fuori poteva resistere immobile per altro tempo ancora, mentre loro avrebbero dovuto affrontare il pianto dei piccoli, le suppliche delle madri e l’agonia dei vecchi. I giovani decisero di tenere consiglio sotto l’albero di fico, l’albero sacro, da cui nei tempi remoti Enkai fece discendere dalle praterie del cielo le mandrie bovine per donarle agli uomini. Prima di sedersi ne accarezzarono l’erba vicino alle radici in segno di ossequio così come da sempre insegnava la tradizione. Il sommesso brontolio di Zuri non dava tregua e i guerrieri nell’angoscia del feroce richiamo non riuscivano a trovare intesa e concentrazione. Intanto nel villaggio ognuno tentava di spingere gli altri a uscire con promesse con minacce con scherni e con risa. Gli uomini con le donne le donne con i vecchi e i vecchi con i bambini. Ma la paura inchiodava i Masai. Fuori c’era la morte. La morte era venuta a cercarli fino a lambire il villaggio. Forse avrebbero potuto resistere. E mentre cercavano di convincersene deglutivano saliva senza trovare sollievo. Zuri era rimasto immobile finché anche il sole del secondo giorno non si spense clemente oltre le colline. Gli avvoltoi scendevano ora più in basso pregustando un pasto che non gli sarebbe stato negato. E le iene facevano risuonare beffardo il loro verso senza osare ancora di avvicinarsi. Nel villaggio i piccoli con occhi pieni di mosche e di lacrime supplicavano le madri e queste piene di muto risentimento si volgevano verso i loro sposi incapaci di guardarle negli occhi. All’alba del terzo giorno Zuri emise un profondo ruggito. Nel villaggio gli uomini insonni si appressarono alle siepi di rovi, il terrore negli occhi, cercando di valutare con lo sguardo se l’esile difesa potesse difenderli dall’attacco del leone. Un secondo ruggito scosse la natura circostante fugando qualsiasi dubbio. Nell’attesa mortale Zuri chiamava gli uomini alla sfida. Un ultimo scontro prima di ripristinare l’antico patto. Zuri uscì dalle alte erbe. Zoppicante ma in breve riprendendo il fiero portamento con la testa alzata e la grande criniera al vento, le zampe poderose sotto le forti spalle. Si soffermò a pochi metri dai suoi nemici, incrociando con lo sguardo gli occhi spalancati di ognuno, poi prese a trotterellare intorno al villaggio a coda alzata lasciando sulla terra riarsa una lunga striscia di sangue rosso e bruno. Fu così che dopo il secondo giro quando oramai non sembrava che i Masai intendessero raccogliere la sfida che Zuri si trovasse di fronte il piccolo Malaika che in linguaggio Masai significa angelo. Anche armato di lancia e scudo il piccolo appariva poca cosa al confronto con il leone. Lo sguardo di Zuri si fece duro e spietato e si preparò ad attaccare. Quando la fiera spiccò il salto si sorprese di come non trovasse sotto di sé il piccolo Malaika bensì Nuru che significa luce, la donna, la madre. E non si accorse nemmeno che dietro Nuru era finito il piccolo angelo mentre la punta della lancia lo trapassava da parte a parte. Ma Malaika e Nuru schivato il balzo del leone non si voltarono verso il villaggio, né verso il grande leone esanime, ma presa ognuno una grande zucca essiccata si recarono sul sentiero, per andare alla sorgente dell’acqua.


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