f

Racconto

Il Bacio di Miriam

di Ruggero Scarponi

Quei pochi soldi messi lì sul bancone, le tre banconote che Miriam allineò stendendole ben bene, furono i primi di cui avesse potuto disporre da sola. Fintanto che era vissuto suo marito, ogni spesa era stata vagliata e decisa da lui. Ora invece dipendeva solo da se stessa e poteva spendere i suoi soldi come più le piaceva. Era vedova, da poco più di un mese. E aveva scoperto di essere benestante, o forse ricca. Una situazione imprevista, quasi incomprensibile per lei. Bisognava abituarcisi. Intanto, però, anche la modesta spesa che aveva deciso per l’acquisto di un cagnolino le sembrò enorme, tanto da farla quasi tremare per l’audacia. Era divisa tra la gioia per il dono che si era concesso e il senso di vertigine che la spesa superflua le procurava. Non era avvezza a comprare da sé le sue cose.

Le sembrava quasi di sfidare anni di rassicurante sottomissione e di quieta rinuncia.

S’immaginò, mentre attendeva che il commesso le prestasse attenzione, che le banconote allineate fossero delle carte. Carte da gioco, che lei aveva disposto sulla tavola per raccogliere una mano finalmente vincente. Così pensò che dovesse essere.

- Si chiama Tommy, signora – le disse il commesso, mentre le affidava il cucciolo peloso – è buono. Vedrà non le darà nessun problema. E poi, qui, abbiamo anche il centro veterinario, per le vaccinazioni. Nessun problema. E’ un giocherellone affettuoso, le farà tante feste. Io l’ho visto subito che eravate fatti uno per l’altra, vedrà...

Il cucciolo peloso era morbido e caldo. Subito, Miriam, accostò il viso al muso del cane. Ne ricevette un mugolio di affetto e un tentativo di lavaggio con la lingua.

Rise. Era contenta. In tanti anni di matrimonio non aveva provato un calore simile.

Ora le piaceva anche l’odore penetrante che si respirava nel negozio. Un odore che mescolava ai densi vapori delle piante ornamentali e degli umori animali quello caldo e secco dei mangimi e della segatura. Si sarebbe potuta definire un’atmosfera tropicale in cui i versi ossessivi degli uccelli e i richiami dei cuccioli evocavano ambienti misteriosi, come le giungle nei romanzi d’avventura.

Si sentì amata, per la prima volta.

Non aveva figli. Morto il marito, si era ritrovata sola, come un viaggiatore che d’improvviso non s’avveda più del suo compagno. Erede universale di un ricco patrimonio. Ancora non riusciva a capacitarsene. Che fosse tutto uno scherzo della sorte? Lei in fondo si era adattata. Fin da bambina. L’avevano messa in collegio. Poi era stata da certi signori, dove aveva imparato i lavori di casa e infine senza neanche che qualcuno glielo avesse chiesto si era trovata sposata. Così per spirito di adattamento. Non aveva mai pensato all’amore, durante il matrimonio. Si preoccupava soltanto di fare ciò che le era chiesto. Ben poco per la verità. Suo marito lavorava molto e stava fuori tanto tempo. In casa le aveva messo due donne per le faccende e a lei non rimaneva da fare gran che. Non si era mai nemmeno posta la domanda del perché suo marito l’avesse sposata. Né tantomeno se fosse bella o brutta. Non ci aveva mai pensato. Suo marito non glielo aveva mai sussurrato. Non aveva avuto altri spasimanti, di questo, però non ne era certa. Accostò con dolcezza la guancia al naso dell’animale per gustarne il fresco umidore.

Passò con voluttà le dita della mano lungo la schiena del cucciolo fra la folta peluria, stropicciandolo e grattandolo al garrese. Quello la ricompensò ficcando la testa dentro la scollatura del tailleur per risalire a strofinarsi vigorosamente contro il suo collo. Ora Miriam stringeva il cagnolino al petto e mentre attendeva che le portassero il guinzaglio che aveva scelto, con gesto furtivo e quasi arrossendo appoggiò le labbra sulla testa pelosa. Vi lasciò un bacio leggero a labbra appena dischiuse. Socchiuse gli occhi al contatto. Non ricordava il piacere di un bacio. Per lei quello era stato sempre e solo un gesto di saluto.


Racconto di altri tempi  

Anno della Fede

La fede
delle monache di clausura

di Agnolo Camerte

Carletto si svegliava sempre al suono delle campane. Per forza! La sua cameretta stava tra il campanile delle suore di clausura di S.Caterina e quello di S.Chiara. Appena sveglio con quello scampanio poltriva un po’ e fantasticava Carletto; gli veniva in mente che le campane di S.Chiara cantassero” ciccia e cotica, ciccia e cotica…”. E ne rideva..Poi l’odore acre del latte versato sulla carbonella accesa, lo faceva balzare dal letto e di corsa andava dalla mamma a fare colazione. La mamma, si sa , sa tutto e Carletto incominciava con i suoi perchè, curioso come tutti i bambini.

Quando seppe che le campane le suonavano le suore di clausura e che erano chiuse nel convento dove non potevano entrare e uscire, pensò che probabilmente ne dovevano aver fatta una grossa, per stare tanto in castigo... Così un po’ per solidarietà ( anche lui ne combinava di tutti i colori..!) un po’ per curiosità, andò a trovarle con il suo amichetto Cesarino, più grande di qualche anno e quindi molto più esperto..Lo chiamavano sempre con il fratello maggiore a spicciare o riannodare le corde delle campane. E gli davano due biscotti che erano buonissimi...!

Carletto non le vide nemmeno le monache; le senti solo parlare al di là della grata. Riflettendoci , quelle ombre gli sembrarono tanto serene, con quella vocina soave e gentile che le rendeva simpatiche. Poi quei biscotti…erano favolosi..!

Tornando a casa di corsa , raccontò tutto alla mamma .Carletto era stupito del fatto che le monache nonostante fossero in castigo, non piangessero e non si lamentassero; sembravano serene e tranquille…addirittura felici.

Ma loro sono serene perché pregano, gli spiegò la mamma. Pensò Carletto: come? Pregano? Chi è morto? E già... a casa sua si diceva il rosario la sera con i vicini, per la commemorazione dei defunto... Ma nò, spiegò la mamma, loro stanno là dentro per pregare sempre il Signore. Non fanno come te che ti scordi pure di dire l’Angelo di Dio... Loro si che vivono la fede...Pregando il Signore.

La fede? E che cos’è...? E quante ne vuoi sapere! Devi andare al catechismo no? Lì te lo insegnerà Don Igino...

Carletto insisteva con la Fede e così incominciò a capire che le monache pregavano tutto il giorno per il bene di tutti, anche il suo. Gli restava però il dubbio. Che cosè la fede?

Don Igino infine gli spiegò che la fede è generata da Dio, da Gesù e dallo Spirito Santo; nasce nel cuore degli uomini e delle donne ascoltando la parola di Dio.

Allora le monache hanno la fede e pregano per tutti? Chiese Carletto.

Si! loro sono come le radici di un albero. Sono loro che nutrono l’albero con la preghiera; lo sostengono e lo fanno fiorire, anche se non si vedono.

Carletto non è che ci capì un gran che, però sgranocchiando quel favoloso biscotto delle monache , pensò che in fondo erano tanto simpatiche e tanto buone, più di quel biscotto...

Poi divenuto adulto seppe che una monaca di quel convento di Santa Chiara era stata elevata agli onori dell’Altare. La Beata Camilla Battista Varano di Camerino era stata fatta Santa.

Ricordò allora quel buffo suono delle campane, le monache e il dolce sapore di quel biscotto.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)