Costume e SocietÀ
Cosa farò da grande?
Il futuro come lo vedono i nostri figli
Colloquio con il psicoterapeuta
Gustavo Pietropolli Charmet
di Elena Marchini
Essere adolescenti oggi significa iniziare presto a chiedersi “cosa farò da grande?”, ma riuscire tardi a trovare una risposta.
A detta di molti psicologi, l’età dell’adolescenza è la fase della vita in cui si verificano il maggior numero di trasformazioni psicofisiche. Nell’adolescenza avviene cioè una ridefinizione dell’identità, che è l’esito del superamento di eventi critici e di sfide di natura biologica, culturale e sociale. La proiezione verso il futuro, esemplificata con la famosa frase “cosa farò da grande?” sembra pertanto connessa a una rinnovata conoscenza che l’adolescente ha di sé, del suo mondo interiore, delle proprie risorse personali, familiari e sociali.
In oltre quaranta anni di lavoro psicoterapeutico con gli adolescenti in crisi e nei colloqui con i loro genitori, lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet ha constatato però che i ragazzi sono preoccupati e angosciati nell’affrontare il futuro, e hanno paura di affrontare quelle sfide e quei cambiamenti che dovrebbero essere propri dell’età adolescenziale. I ragazzi temono cioè di non essere capaci di uscire dall’adolescenza, di non essere capaci di diventare adulti, e al contempo i genitori hanno paura di non sapere come e cosa fare per aiutarli.
Da queste riflessioni è nata l’idea del nuovo libro di Gustavo Pietropolli Charmet, Cosa faro da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli, pubblicato da Laterza. E nella premessa scritta dallo stesso Charmet, è focalizzata subito un’immagine di futuro alquanto buia e difficile, infatti scrive l’autore che mentre sta lavorando a queste pagine, cercando di illustrare quale sia la chiave di alcuni comportamenti giovanili “a Londra ed in altre città inglesi gruppi di giovani stanno mettendo a ferro e fuoco il loro quartiere o migrano verso il centro lasciando dietro di sé vandalismi, devastazioni… Qualcuno mi ha chiesto perché succeda tutto questo; ebbene penso che una delle motivazioni sia la seguente: a questi giovani sta morendo il futuro, e allora o protestano o tentano di rianimarlo e di tenerlo in vita… Questi ragazzi, ai quali è venuto meno il futuro, protestano accendendo un falò visibile a tutti gli abitanti del pianeta e i bagliori dell’incendio parlano di loro, lasciando intravedere la possibilità che questo incendio possa estendersi nei tanti luoghi in cui i ragazzi si trovano nelle medesime condizioni”.
Viene da chiedersi a questo punto, in un futuro così incerto e tumultuoso, quali possano essere i punti di riferimento della scena adolescenziale, e se famiglia e istituzioni possano accompagnare un ragazzo nel mondo adulto. “I genitori di oggi – sostiene Charmet - ritengono di dovere trasmettere al figlio affetto, sicurezza, sostegno, in definitiva amore, piuttosto che regole e valori. Oggi, la famiglia e la società considerano il bambino un individuo competente, buono, relazionale, creativo, cioè un bambino che ha bisogno di essere valorizzato nella ricerca di se stesso, del proprio talento e della propria indole e di conseguenza meno bisognoso di regole. Molti criticano l’abbandono delle regole, perché ritengono che i ragazzi crescano in una situazione priva di conflitti con i genitori, e non si dà loro senso di responsabilità e del dovere”. Ma se la famiglia non è più una figura etica e normativa, anche le istituzioni, come la scuola, dà ai ragazzi poche sicurezze: “È successo – continua Charmet - che la scuola agli occhi dei ragazzi non garantisce più un ascensore sociale, un passaggio da una categoria sociale ad un’altra più elevata, e non garantisce neanche un’esperienza contro la disoccupazione. I ragazzi si chiedono in che senso la scuola possa essere utile per capire qualcosa di se stessi e del mondo, se non sarà utile al loro futuro. La scuola, per gli adolescenti, ha un culto verso ciò che è successo in passato, però, oggi come oggi, i ragazzi sembrano più interessati a capire cosa succede nel presente e cosa sarà nel futuro. E la scuola così come è strutturata non soddisfa questa esigenza sia nell’organizzazione del lavoro sia nella relazione con la natura, con il pianeta e con i grandi problemi del futuro”.
In sostanza i giovani hanno paura del futuro o non si sentono pronti ad affrontare il futuro perché si sentono ingannati da una società organizzata dagli adulti, che ha tolto loro possibilità di crescita, riconoscimenti, e diritto al lavoro.
Come sempre avviene nel mondo reale non esistono ricette magiche o soluzioni per progettare la ricostruzione di un futuro in cui si possano realizzare i progetti però: “Sarebbe bello – consiglia Charmet - che i genitori non fossero pessimisti. I genitori dovrebbero aiutare i propri figli a capire che toccherà a loro inventare un nuova modello di sviluppo. La crisi che stiamo attraversando segna la fine di un’epoca, e i giovani devono essere in grado di trovare un modello di sviluppo meno consumistico, più sobrio, più attento alla persona, e forse anche più felice”.