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Racconto

Le letture del Padre

di Ruggero Scarponi

A trent’anni dalla morte di mio padre, oggi che ho raggiunto quasi la sua età di quando se n’è andato, mi coglie improvvisa una suggestione. Chi era mio padre? Che cosa ho conosciuto veramente di lui?

Un figlio ha del padre un’immagine che si modifica negli anni.

Si sa che in questo rapporto vi sono varie fasi che si susseguono. D’intensa ammirazione, di contrapposizione, di complicità o di distacco.

Ma cosa resta di lui? Molto, comunque sia. Io stesso per esempio. Io, con la mia personalità in parte ricalcata su un modello da cui mi è impossibile prescindere. Questo lo so.

Eppure per conoscere chi era veramente mio padre sento che non mi bastano i ricordi, le fotografie, gli oggetti cari, certe espressioni o certi atteggiamenti mutuati, ereditati; è il suo pensiero, la sua visione del mondo e soprattutto il suo universo segreto, il suo immaginario che oggi mi tocca nel profondo. In poche parole cosa sognava mio padre, per me che ero suo figlio?

Che progetti aveva, reconditi, su di me? E durante gli anni della nostra vita comune, mi domando, avrò soddisfatto le sue aspettative?

Io dalla sua parte non mi ci sono mai messo. Sono sempre stato dalla mia, da quella del figlio, in osservazione, pronto ad approvare oppure no. Ma dalla sua mai. Per scoprirlo, per scoprire cioè i sogni di mio padre mi è venuta un’idea. Scorrere la sua biblioteca. Non quella, per così dire, istituzionale, quella dei libri che bisogna possedere in una casa ma quella minuta, costituita dal saggio o dal romanzo cercato in libreria o sulle bancarelle. Spazi di intimità, da cui forse si possono comprendere tante cose. Certo occorre lavorare pazientemente. E’ quasi una ricerca storica. Tentare di ricostruire una psicologia sulla base delle letture praticate. Come procedere?

Intanto immagino che sia importante fare ordine. Un ordine cronologico e per argomenti da cui si possano individuare i sentieri su cui mio padre si è inoltrato. Che cosa cercava nei romanzi? E nei saggi?

Allora vediamo che cosa leggeva, innanzitutto. Comincio a catalogare i titoli. Sfoglio i testi. Forse mi può aiutare qualche segno particolare. Il modo che usava ad esempio per tenere il segno. In qualche caso piegava lo spigolo della pagina, ad orecchio, di questo me ne sono accorto. In qualche caso, di questi orecchi, ce ne sono rimasti ancora, forse nei libri non finiti di leggere, vuoi per un interesse scemato o vuoi perché se ne è andato troppo in fretta, senza neanche finire il capitolo. E poi gli autori, i “generi”… C’è molto lavoro da fare. Bisogna salire in soffitta e cercare sugli scaffali di una vecchia libreria i “suoi” libri. Ci vado. Provo una forte emozione quando ritrovo quei titoli e ne scorro con le mani le copertine. Ho quasi il timore di spiare, di introdurmi furtivamente. Mi sembra di sentire una voce che dice:

- Che cosa vuoi scoprire? Qui ci sono cose che avresti potuto condividere già da tanti anni. Lasciami qui, nella soffitta, dove mi hai relegato. Quassù me ne sto in pace. –

C’è stata incomprensione tra me e mio padre. A volte non ci siamo parlati. E allora dico a me stesso che oggi sono padre: com’è quando tuo figlio non ti parla? E in cosa si rifugia un padre dal silenzio del figlio? Mio padre quando se n’è andato, io non c’ero. Non è una cosa rara. Spesso si muore da soli. Ma quell’ombra discesa nella sua anima, che per un istante, forse l’ultimo, ha coperto il suo cuore, forse avrei potuto dissiparla. Non l’ho fatto. Perché?

Troppo giovane. E immaturo, forse.

Oggi potendo, non lascerei morire da solo nessuno. Vorrei, in quei momenti, stringere la mano e vorrei che la stringessero a me, perché oggi so che non c’è alternativa all’amore, all’abbraccio fraterno. Fuori c’è il freddo e il buio. Non ci sono altri ideali. La morte ci spoglia di tutto e solo nella morte ci riconosciamo veramente. Nella morte degli altri e nella nostra. Ma io non c’ero quando mio padre se n’è andato e ora ho voglia di sapere che cosa ha provato.

Ecco allora che annoto con pazienza i titoli dei “suoi” libri. Lo faccio con spirito di servizio. Un gesto d’amore, per ricordare. È un modo tutto mio di passare un po’ di tempo con lui, quassù in questa soffitta dove d’inverno fa anche un po’ freddo. Ci parlo, a modo mio, commentando i testi che man mano vado sfogliando. Vorrei capire quando ha comprato questo libro, per esempio. Ne scrivo su un taccuino il titolo, l’autore, l’editore e l’anno di pubblicazione. A quest’altro, invece, manca la copertina. Però me lo ricordo bene. Tante volte l’ho sfogliato perché era un libro strano. Parlava di ricette di cucina. Di “questi”, mio padre che lavorava nel settore, ne ha comprati tanti. Ma questo qui, era proprio curioso. Parlava di cucina come fosse un romanzo. C’erano dei tali, certi inglesi, che andavano a caccia di tigri in India e ogni tanto si fermavano a fare dei pic-nic nella boscaglia. Gente eccentrica, gli Inglesi, padroni del mondo. Andavano ovunque come fossero nel giardino di casa loro. E quindi quando si fermavano per mangiare e prendere un po’ di ristoro durante le faticose battute, imbandivano dei veri e propri banchetti mostrando una scienza e un lusso nel progettare i loro pasti degni dei più affascinanti racconti orientali. Di queste storie è fatto il libro.

Prendo un altro volume. Non posso scriverne molto, oltre alla copertina manca la pagina del colophon. Resta il “finito di stampare” di una tipografia vicino Firenze, con l’anno di pubblicazione, il 1946. E’ un tempo lontano. Tanto lontano e tanto diverso da oggi. Allora bisognava ricostruire il paese. La guerra l’aveva segnato. Oggi è diverso. Oggi nessuno sa più bene cosa ricostruire. Faccio una pausa.

Poi mi viene in mente di arricchire ulteriormente la mia ricerca. Cercherò di trascrivere con un breve riassunto l’argomento di ogni libro. Questo mi permetterà di entrare ancora più in intimità con mio padre. Così potrò condividere con lui, almeno gli argomenti. Scorgo adesso un volume che ho letto. A sua insaputa. Non gliel’ho mai detto che qualche volta leggevo i libri che trattavano della guerra d’Africa, la sua guerra, che lui ha continuato a comprare fino all’ultimo. Già, la guerra. Un abisso che divide chi l’ha fatta da chi no. E, infatti, per me era solo narrativa, saggio storico al massimo. Per lui no. Ma io non capivo. Continuo a cercare, con calma. Anzi proprio la calma deve essere la cifra di questo lavoro. Umile, da amanuense. Così posso farlo per amore. E mi piace. Trovo tanti libri dimenticati. Buoni autori. Edizioni spesso economiche, con le pagine di carta grossa e gialla, gialla perché ingiallita dal tempo o perché povera di cellulosa e satura di pasta legno. Pagine incollate malamente, che si staccano appena cerchi di spiegarle bene, di aprirle fino alla cucitura. Libri comprati a pochi soldi sulle bancarelle. Titoli importanti. Classici del Novecento. A mio padre piacevano gli autori italiani. Ce ne sono tanti. Pasolini, Pavese, Moravia, Marotta, Buzzati, Berto, Vittorini. Questi nomi costituiscono già un indizio. C’è la sua giovinezza, per esempio. Gli anni trenta e quaranta. E poi la Guerra, l’Africa.

Una particolarità in proposito. Ci sono diversi libri scritti da autori inglesi, i nemici. La guerra d’Africa vista dall’altra parte. Era curioso, mio padre. Voleva conoscere l’altra campana, quella dei vincitori. Una volta, quand’ero ancora bambino mi raccontò che durante un’azione aveva ucciso dei soldati inglesi. Per questo fu proposto per un encomio di fronte al battaglione. Rifiutò. Mi disse che non se la sentiva di ricevere un premio per aver ucciso dei ragazzi. Dei “poveri figli di mamma”, li chiamava lui, i suoi compagni come anche i suoi nemici, quando morivano ammazzati. Ma anche i romanzi di guerra leggeva. C’è tutta una collezione del tedesco Hassel. Storie romanzate con riferimenti autentici ai luoghi e alle battaglie. Cerco altri libri sulla guerra d’Africa. Alcuni me li ricordo bene. Le copertine Longanesi, Mondadori. Non ci sono più. Dispersi, forse, nei tanti traslochi. Non ne ho avuto cura allora, non abbastanza almeno.

E i gialli e la fantascienza? Mi ricordo che mio padre ne era un accanito lettore. Restano quassù, su questi scaffali, pochi titoli. Che fine avranno fatto gli altri che leggeva divorandoli addirittura? Persi, rivenduti alle stesse bancarelle dove li acquistava? Eppure dovevano essere importanti per lui. Mettevano in moto la sua fantasia. I suoi sogni infantili, custoditi gelosamente. E mi viene da chiedermi. Era lì che si rifugiava quando non gli parlavo? Nelle galassie fantastiche di Asimov, per esempio? O negli intrighi polizieschi di Ellery Queen?

Ma ecco un altro gruppo interessante. Nabokov, Green, Salinger. Gli anni cinquanta. Anni cinquanta a ridosso dei sessanta, gli anni del boom. Anni di grandi speranze. La guerra era alle spalle, e il paese in gran parte ricostruito e arricchito. Anni di nuovi progetti e di nuovi desideri. Ognuno, a quel tempo, voleva trovare il suo posto nella società. Voleva la sua parte.

Il paese è cresciuto, allora. Si andava in macchina, al mare e al ristorante la domenica, con la famiglia. Lavoro se ne trovava e i soldi in tasca non mancavano. E i sogni? Qualcuno sognava ancora? C’era tempo per questo? Oppure la realtà con il benessere a portata di mano era già il sogno? Per mio padre no. Il sogno restava “una stanza privata”. Lui il benessere non l’ha mai capito. Per questo leggeva Mauriac e Bruce Marshal. Bisogno di qualcos’altro. Di Dio, forse. Però giocava anche al lotto. Per sognare.

Ritrovo il libro della smorfia. Il suo libro. E’ pieno di segni e su alcune pagine nel margine basso ci sono scritti con la biro dei numeri. Chissà, forse nel timore di dimenticarli li aveva scritti sul primo pezzo di carta disponibile. Infine la cucina, il suo mestiere. Così definiva mio padre il lavoro da chef di cucina, un mestiere. Si sentiva un artigiano. Uno che ogni giorno produce qualche cosa di nuovo sul tronco di una tradizione felice. E ne cercava le radici…sempre. Voleva conoscere l’origine dei piatti famosi, le storie dei grandi cuochi, la magnificenza delle tavole rinascimentali. Che cosa provava di fronte ai fornelli? Si sarà mai immaginato di preparare il desinare per un re o per il papa? Forse in segreto sì. Per questo forse comprava le storie della gastronomia. Non si rassegnava a una cucina di routine, a una fabbrica del cibo. In ogni cosa voleva la sua parte di progetto, d’immaginazione. E in fine, per me? Che cosa avrà sognato? C’è ancora tanto da scavare, per cominciare a capire.

Anche se in tutto sono solo qualche decina, i “suoi” libri, hanno da dirmi molto. Li ascolterò, con calma, con attenzione. Finché ne avrò assimilato il messaggio, forse inconscio, che mio padre mi ha lasciato. Questa era la sua letteratura, le sue lettere. Ma, a buon diritto potrei considerarle come, “Lettere indirizzate al figlio”. A colui che è destinato a raccogliere l’eredità più preziosa: i suoi sogni.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)