Parchi e oasi dello spirito
Camaldoli ha mille anni
Siamo nell’Appennino Tosco-Romagnolo, qui aleggia il mistero e la leggenda intorno alla figura del fondatore dell’ordine Monastico dei Camaldolesi: San Romualdo. Il suo nome è legato inscindibilmente a quel fazzoletto di terra nascosto sui più alti versanti dell'Appennino Casentinese che il conte aretino Maldolo – da qui forse il nome della comunità - gli donò nel 1012.
San Romualdo costruì un oratorio con cinque celle, primo nucleo dell'Eremo di Camaldoli custodito fino ai giorni nostri dai monaci Camaldolesi. Prima di morire, nel 1027, Romualdo riuscì a edificare in località "Fonte Buono", in posizione meno solitaria e più facilmente raggiungibile, una seconda, piccola costruzione che aveva lo scopo di accogliere gli ospiti ed i pellegrini. In questo modo vennero gettate le basi per la costruzione, che avvenne nel XVI secolo, dell'odierno Monastero costituito da due piani e che può ospitare più di cento monaci. Anche l'Eremo, nel corso dei secoli, subì degli allargamenti e oggi è formato da venti celle e dalla chiesa di S.Salvatore, di stile barocco.
La sorte della foresta circostante l'Eremo e il Monastero fu legata in maniera indissolubile con quella dei sacri edifici, e più questi si ingrandivano più aumentavano le donazioni di boscose terre appenniniche. I monaci si prodigarono in maniera egregia per la cura e il governo del bosco, sostituendo al bosco misto di faggio e abete piantagioni pure di Abete bianco. Il preciso motivo di questa sostituzione non è ancora stato perfettamente chiarito: secondo alcuni storici i motivi erano prettamente economici, essendo l'Abete bianco un'essenza molto pregiata.
Secondo altri perchè la struttura colonnare e severa delle abetine suscitava nei monaci un maggior senso di misticismo. Ad avvalorare questa seconda tesi vi sono le regole selvicolturali rigidissime a cui i monaci dovevano attenersi, regole che prescrivevano abbattimenti molto limitati e continuo rimboschimento con Abete bianco. In questo modo nasceva quel nucleo forestale che, quasi mille anni dopo, doveva rappresentare il cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
Un ponte fra Oriente ed Occidente
Questa realtà monastica affonda le sue radici tanto nell’antica tradizione dell’Oriente cristiano, quanto in quella dell’Occidente che si riconosce in San Benedetto. Inoltre essa coniuga la dimensione comunitaria e quella solitaria della vita del monaco, espresse rispettivamente nel Monastero e nell’Eremo, che formano una sola comunità.
Per naturale vocazione, perciò, Camaldoli ha svolto e svolge una funzione di “ponte” fra le tradizioni monastiche di Oriente e di Occidente. Con il Concilio Vaticano II è poi tornata ad essere luogo privilegiato di incontro nel dialogo ecumenico e interreligioso, nonché più in generale con la cultura contemporanea, aperto a tutti gli uomini e le donne in sincera ricerca interiore.
Camaldoli intende così configurarsi come comunità in dialogo e ospitale. La sua ricchezza è rappresentata infatti anche dai tanti ospiti che hanno frequentato, specialmente dagli anni Trenta in poi, la Foresteria del Monastero, intrecciando con la comunità monastica percorsi di preghiera e spiritualità, ma anche di elaborazione culturale e impegno civile.
Le date significative della Storia dei Camaldolesi
Vita monastica a Camaldoli
La vita quotidiana a Camaldoli si svolge secondo modalità e ritmi che rispecchiano la scala delle priorità a cui la comunità fa riferimento. Semplicità di stile e informalità nei rapporti reciproci esprimono l'obbedienza alla ferialità degli impegni comuni ad ogni persona. La discrezione di tale stile - come afferma San Benedetto - non scoraggia i deboli e stimola coloro che possono fare di più. La fede, la speranza e la carità condivise nella fraternità conferiscono al vivere quotidiano il suo respiro trascendente. Lo arricchiscono di una dimensione simbolica semplice e liberante.
La celebrazione comunitaria della Liturgia delle ore e dell'eucaristia, nutrite dalla Lectio Divina personale, sono collocate nei momenti strategici della giornata. Costituiscono una precisa struttura di riferimento al ritmo di vita della comunità e di ogni monaco e indicano con quale spirito va vissuta la trama quotidiana di preghiera, lavoro, riposo, servizi e relazioni.
Le attività lavorative svolte dai monaci provvedono alle normali necessità di una comunità abbastanza numerosa, composta da anziani e da giovani con le rispettive esigenze di assistenza e di formazione umana, spirituale e teologica.
Durante le attività scolastiche i professi in formazione risiedono nel monastero di San Gregorio al Celio a Roma. In quel contesto si coniugano la normale vita comunitaria e gli impegni accademici, avvalendosi delle opportunità offerte dall'Ateneo Sant'Anselmo gestito dai monaci benedettini e da altre facoltà filosofiche e teologiche.
La comunità condivide le proprie risorse economiche con quelle di recente fondazione in India e Brasile, e finalizza una quota annuale del bilancio comunitario a sostegno di progetti promozionali a favore dei poveri.
Uno stile di vita sobria, pur vissuto dentro strutture storiche, cerca di far propria la saggezza, piena di umanità e di semplicità evangelica, che è insita nel programma benedettino dell'Ora et Labora (preghiera e lavoro). Eremo e monastero, pur nella condivisione delle risorse, hanno ritmi ed equilibri propri, in armonia con le priorità che ciascun ambiente di vita offre ai monaci e agli ospiti, secondo lo spirito di Camaldoli.
L'assistenza ai fratelli anziani è divenuto in questi anni un aspetto evangelicamente significativo della vita comunitaria. Un fratello medico garantisce la professionalità delle prestazioni sanitarie svolte nell'infermeria. Consentire agli anziani di vivere nel clima dei rapporti comunitari consolidati, da loro serenità e sostegno spirituale. Contribuisce a conferire alla comunità quel carattere di normalità umana anche nell'accettazione della malattia e dell'invecchiamento che a tante famiglie non è più permesso dall'attuale assetto sociale.