parchi e OASI DELLO SPIRITO
Nella Mappa dei Parchi dello Spirito della Provincia di Roma, il dito è caduto sul Monte Guadagnolo nel territorio di Capranica Prenestina. Qui tra i boschi, un reticolo di rocce nasconde un tesoro, l’Oasi:
Santuario Madre delle Grazie alla Mentorella
Nella quiete di quassù si adagia il Santuario della Mentorella.
Si narra che la sua origine risalga all’apparizione di Gesù a S. Eustachio, martire del primo secolo, durante una caccia al cervo su questi monti; altre fonti parlano di Costantino, altre ancora di Benedetto. Notizie utili datano 594, ma è nel 984 che la Mentorella viene assegnata ai benedettini. Restaurato nel 1600, il Santuario del 1857 è retto da padri Resurrezionisti polacchi.
Architettura rigorosa con elementi medioevali, la Mentorella conserva ben visibili dipinti del 400, tra cui immagini di San Benedetto e di Santa Scolastica; nella navata centrale un ciborio custodisce una statua lignea di una madonna con bambino, esempio tra i più preziosi del genere del ‘200.
Si è già detto della caccia al cervo, ma il monte Guadagnolo ospita, tra le sue suggestive rocce, i suoi boschi ed i pittoreschi altopiani, una gamma infinita di animali: si tende l’orecchio e si possono ascoltare il merlo, il cuculo ed il rigogolo. Tra piante d’alto fusto ed arbusti quali il pungitopo, il cardo, la rovella e il carpino nero, si aggirano tassi, martore, volpi e lepri.
Dalla Mentorella lo sguardo si perde su paesaggi collinari e pianori: distese di verde e campi coltivati, colori che mutano di stagione in stagione. La quiete, il paesaggio, l’arte e l’atmosfera d’insieme che si respira alla Mentorella hanno a lungo attirato quassù Giovanni Paolo II, prima della sua elezione al Soglio Pontificio e subito dopo: “Questo luogo mi ha aiutato a pregare… Sono venuto a cantare il Magnificat”.
di Justyna Dehmel
…giungeva proprio dalla Mentorella, il Cardinale atteso a Roma per il Conclave… e vi entrò nel mentre le porte si chiudevano…un calcolo sbagliato delle distanze e del traffico…ma andò bene, un segno dell’Alto, perché qui era stato già deciso che quel cardinale polacco ne uscisse Papa: il primo non italiano, dopo tanti anni.
Un lungo regno, all’interno del secolo breve, per svolgere un’azione da protagonista nel campo ecclesiale e quello religioso, con forte connotazione ed influenza sul sociale e sulla vita in generale dell’uomo in tempi difficili.
Ha pregato e a volte alzato la voce verso le ingiustizie. E ancor più si è speso, viaggiando instancabilmente per il mondo, per la Pace, e semplicemente scriveva, perché tutti comprendessero:
“La pace si costruisce.
Aprite gli occhi a visioni di pace!
Parlate un linguaggio di pace!
Fate gesti di pace!
Perché la pratica della pace
porta alla pace.
La pace si rivela e si offre
a coloro che realizzano,
giorno dopo giorno,
tutte quelle forme di pace
di cui sono capaci.”
Il suo impegno è stato riconosciuto ovunque, la sua parola ha accompagnato i nostri tormenti, a tutti ha ricordato con voce possente: “Non abbiate paura” , e questa breve frase sintetizza la Sua beatitudine. Con grande e sollecito coraggio la Chiesa lo ha proclamato Beato riconoscendogli virtù attraverso il ricordo del Suo successore Benedetto XVI :
“Cari fratelli e sorelle,come sapete, il 1° maggio prossimo avrò la gioia di proclamare Beato il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, mio amato predecessore. La data scelta è molto significativa: sarà infatti la II Domenica di Pasqua, che egli stesso intitolò alla Divina Misericordia, e nella cui vigilia terminò la sua vita terrena. Quanti lo hanno conosciuto, quanti lo hanno stimato e amato, non potranno non gioire con la Chiesa per questo evento. Siamo felici!”
di Ruggero Scarponi
Ci siamo lasciati Fontana alle spalle, ier l’altro. Erano le sei del mattino quando abbiamo preso a salire la lunga dorsale dei Colli Albani. Davanti a noi, la scura massa del Monte Cavo, coperto di verdi boschi e nascosto dalle nuvole. Mio fratello ed io, due impiegati cinquantenni in bicicletta con una mèta: raggiungere il Santuario della Mentorella nel mezzo dei Monti Prenestini. Senza fretta, adagio come si conviene a una certa età, ma con l’ostinata determinazione di chi ha deciso di compiere un’impresa. Da cento a milleduecentocinquanta sul livello del mare. Non male, per due ciclisti della “domenica”. Ma ce la siamo studiata. Da tre mesi. Un po’ di fondo, un po’ di salite per affrontare, senza traumi l’ascensione. Le biciclette sono di quelle buone, da “corsa”. Tutto è stato programmato con cura. C’è un sapore e un piacere antico nel preparare le bici per l’escursione. Poi passiamo a cerchiare sulla mappa i punti di sosta e di ristoro. Così ci immergiamo nel territorio prima ancora di transitarvi. Si familiarizza con i nomi delle località, si evidenziano le altimetrie, il disegno tortuoso della strada i primi contrafforti dei monti, i tanti tornanti, che ci faranno soffrire, ma anche regalare splendidi scorci sulla pianura, fino al mare. Sudore, fatica e felicità. Di andare. Questo è il viaggio.
Quello che la strada la senti per davvero, mica come con l’automobile…. Con la bici il viaggio te lo guadagni, lo fai tuo e per qualche giorno ancora, una volta concluso, te lo senti nelle gambe e nella testa. Così lasciammo Fontana ieri l’altro e subito ci trovammo su una stradina che saliva tra ampie campagne, a Monte Giove, tra vigne, ulivi e casolari, sulla pedemontana dei Castelli Romani, a mezza costa tra il mare e la dorsale dei Colli Albani. Subito Genzano, poi lo specchio di Diana, la Diana Nemorense del Ramo d’Oro, e Nemi la Nemi delle fragole. Fin qui tutta salita, bella e suggestiva; nel tratto che sale da Genzano poi, sovrastata da imponenti castagneti Un caffè nel bar della piazzetta, a Nemi, davanti alla fontana è la prima sosta. Ora ci attende uno “strappo”, fino ai Pratoni del Vivaro.
La strada si immerge nei castagni e il profumo del bosco, ti inebria, quasi ti stordisce. Poi si scavalla, ovvero la salita si trasforma in piano. Larghi prati, verdi di erbetta prendono il posto delle scure masse dei castagni e delle querce. L’orizzonte si apre e solo il fianco allungato del Monte Artemisio impedisce all’occhio di scorrere il pendio per correre giù, fino a Velletri. Ma la mèta è oltre, oltre le vaste distese dove il bestiame brado pascola e si trastulla indolente. La mèta è oltre. Bisogna affrontare la valle e oltrepassare la minuscola Carchitti, regina delle pèsche, nell’estate.
Quando risaliamo siamo già in vista di Palestrina. Ce lo conferma l’imponente tempio della Fortuna Primigenia. Altra sosta. Siamo alla base di un nuovo “strappo”, stavolta più ambizioso, questo ci porterà su, a Capranica. Al bar dove ci fermiamo un tizio ci guarda con curiosità, poi si fa avanti e chiede. – Da dove? – Da Fontana di Papa - Però…! …e dove andate? – a Guadagnolo… poi alla Mentorella – un bel coraggio…!- La salita è dura. Il paesaggio diventa a ogni tornante più aspro, più selvaggio, compare la roccia, qualche rara casupola al margine della strada si staglia sul fianco della montagna nel suo rivestimento in pietra. Ecco Castel San Pietro col bel campanile aguzzo. E dopo, via!
Su a Capranica, prima del grande balzo. Siamo ben oltre la metà della mattina. Appena sulla piazza, scendiamo dalle bici e ci troviamo circondati da ragazzini. Tante domande. – Da dove? – Da giù, dal mare – Ehhhh! – Risate, complimenti, incoraggiamenti.- E adesso? – Adesso si va su, a Guadagnolo e poi alla Mentorella – Ehhhh!.- Affrontiamo la parte più tosta.
Da qui fino a Guadagnolo è senza respiro. Non spiana mai, stai sempre sui pedali a tirare. E ti godi la montagna. La senti tua, pedalata dopo pedalata. Gli abeti sembra ti guardino sbigottiti alti e superbi. Le querce invece fanno scendere le fronde fin quasi a sfiorarti come volessero darti una mano. E dai uno sguardo… giù nella piana… che sembra il mondo, che sta sotto di te, fino al mare, nascosto da una nebbiolina azzurrina, quasi grigia.
Arriviamo sulla piazza di Guadagnolo alle due passate. È stata dura! Mi sarei aspettato la banda ad accoglierci. Entriamo in un bar per mangiare qualcosa. – Ehhh ne vengono di ciclisti quassù, tutti i giorni…- E io che credevo…!- E allora va bene anche un bicchiere di vino genuino e un bel panino con prosciutto, per una degna conclusione. E dopo, mentre si torna giù, un po’ più in basso, ci fermiamo alla Mentorella. C’è la grotta di San Benedetto e la rupe che si apre sulla vallata. Lì tra i bianchi calcari, gli odorosi mirti e i pini la bellezza ti corre incontro da tutte le parti e allora senti che quella giornata l’hai fatta tua e non la scorderai più… per tutta la vita.