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Parchi e Oasi dello Spirito

Abbazia di Vallombrosa

di Dante Fasciolo

Nel cuore di un’antica foresta, l’Abbazia di Vallombrosa conserva intatto il fascino che solo può avere un luogo testimone della nascita di un evento.

Sì, questo luogo e queste mura rappresentano la prima casa benedettina dei monaci Vallombrosiani.

Fu nel 1028 che il monaco Giovanni Gualberto qui si ritirò insieme a poche seguaci, dopo aver dismesso i suoi abiti di ricco signore e aver cristianamente superato un proposito di vendetta.

La storia è presto detta: dopo l’omicidio del fratello, Gualberto, assetato di vendetta, si mise sulle tracce dell’assassino che raggiunto implorò in ginocchio il suo perdono. Fu in quel momento che Gualberto provò un nuovo sentimento, l’ira si placò d’un tratto e il suo animo sconvolto per la morte el fratello mutò in perdono.

   

Fu un lampo, un sussulto del cuore: gettò via la spada già sguarnita e salvò la vita dell’assassino. La giustizia terrena all’epoca regolata con la spada, subì una svolta, poiché si intromise con forza un solenne comandamento: “non uccidere”.

Gualberto si ritirò nel convento benedettino di San Miniato, e qui, ben presto, maturò l’idea di dare Corso ad un rinnovato rito che meglio esprimesse la sua vocazione. Nacque così Vallombrosa.

Arte e natura rendono questo luogo ideale traguardo per quanti intendano ripercorrere la nostra storia e godere della simbolica pace del luogo. Qui, a mille metri d’altezza, sulle montagne che circondano l’ampia vallata fiorentina, è il profumo del bosco a farla da padrone, memore di quell’ordine e di quella cura che per primo Gualberto impose per la salvaguardia boschiva.

E proprio qui, il Corpo Forestale Italiano ha uno dei suoi caposaldo scientifici rivolto allo studio e alla sperimentazione arboree e all’attenzione verso gli animali al contempo.

Dante scrisse dell’Abbazia, e viene ricordato con una piccola scultura, datata 1921, che ne celebra il genio letterario. Mentre l’interno dell’Abbazia, che risente delle modificazioni avvenute nel tempo – XV e XVI secolo - dopo le distruzioni perpetrate da Carlo V, presenta un colonnato ionico e tele di sicuro valore alle pareti. Di particolare pregio il coro ligneo, alle spalle dell’altare maggiore, intagliato per opera di Nanni da Poggibonsi.

   

L’Abbazia fu requisita prima da Napoleone e successivamente dal Governo italiano, ma i monaci tornarono nel 1949 e in breve ritrovò l’antico splendore. Ammirevole l’austera facciata settecentesca di Gherardo Silvani, e austeri si presentano il chiostro e il duecentesco campanile che non mortificano, tuttavia, eleganti acquasantiere e il pregevole organo.

La reliquia del braccio di San Gualberto è conservata nella Cappella dedicata al Santo, ma non bisogna dimenticare una visita al refettorio e l’imponente biblioteca con volumi preziosi dedicati alla botanica e agli animali.

   

San Giovanni Gualberto  

A terra, braccia a forma di croce, chiede perdono, l’assassino;
e Gualberto, fuori Porta San Miniato,
getta lontano la spada della vendetta e perdona.
 
Qualcosa o qualcuno muove il suo cuore
che cerca rifugio e consolazione tra i monaci,
mentre infuria la lotta a simonia e nicolaismo.
 
Con forza, insieme ai monaci conversi,
si contrappone all’Abate Oberto e al Vescovo Mezzabarba,
e il fuoco di Badia a Settimo conferma l’ordalia.
 
Camaldoli e Acquabella – primi anni 1000 –
lo impegnano in preghiera e lavoro
secondo il cenobio ideale di Benedetto:
Acquabella cambia nome in Vallombrosa,
e qui il nuovo fondatore accende la sua Regola.
 
È il Creato il grande libro della Preghiera
e il bosco lo spazio del Lavoro.
Il verde abbraccio dell’abete bianco
reclama attenzione e un proprio codice di silvicoltura;
e da Vallombrosa si irradia in Europa
il “taglio raso con rinnovazione artificiale posticipata”.
 
La Badia di Passignano raccoglie l’ultimo respiro
e Benedetto da Rovezzano scolpisce con arte ed amore
il sarcofago che custodisce spirito e reliquie.
 
120 anni dopo, 1193, Papa Celestino III canonizza Gualberto;
e 878 anni ancora, 1951, Papa Pio XII, Eugenio Pacelli,
accoglie il desiderio del Corpo Forestale dello Stato,
erede e custode del Bosco di Vallombrosa dal 1866,
e proclama il monaco San Giovanni Gualberto
“Celeste principale patrono presso Dio dei Forestali d’Italia”
perchè “vivendo assiduo alla preghiera e all’esercizio
della penitenza in una solitaria e silenziosa foresta…
molto si dedicò insieme ai suoi monaci alla coltura dei boschi”.

Dante Fasciolo


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