Nei maestosi ambienti delle Gallerie d’Italia (braccio culturale di Banca Intesa SanPaolo)
hanno disvelato l’intrigante artista Felice Carena (Torino 1879 - Venezia 1966)
Milano - Gallerie d'Italia
Felice Carena
protagonista del primo ‘900
di Wanda Castelnuovo
La mostra dedicata a Felice Carena, con più di 100 opere (dipinti e disegni articolati in cinque sezioni con ragguardevoli e singolari inediti), provenienti da collezioni pubbliche e private delle città in cui ha vissuto e lavorato (Torino, Roma, Firenze e Venezia), è stata ben curata e pregevolmente proposta in ordine tematico e cronologico da Luca Massimo Barbero, Virginia Baradel, Luigi Cavallo ed Elena Pontiggia.
Questa grande esposizione, a 145 anni dalla nascita di Carena e a una quindicina dall’ultima antologica, celebra il pittore torinese tanto acclamato in vita.
L‘interruzione di celebrità non significa che sia un minore sopravvalutato, ma semmai un grande misconosciuto anche per il suo coraggio di non essere mai allineato se non con sé stesso, comportamento sempre difficile da tenere, sostenere e comprendere nel passato e ancor di più oggi.
Di grande aiuto il catalogo (edito da Gallerie d’Italia|Skira) per conoscere in modo sempre più approfondito un uomo, un artista, una persona vissuta in un momento storico di cui forse non riesce a percepire appieno le problematiche così impegnato com’è a cercare e introiettare brandelli di calore umano nel suo dolente io.
Il suo iter esistenziale e artistico aiuta a scoprire alcuni aspetti di una vita connotata ab infantia da una palpabile vena melanconica che non lo abbandonerà mai come uno scuro demone pronto a inghiottire il gioioso piacere di esistere lasciandogli un doloroso vuoto attenuato dalla lente religiosa di una compassione dolente e sofferta.
(Fu uno degli artisti che aderì all' Unione Cattolica degli Artisti Italiani -UCAI- promossa nel dopoguerra dal Mons. Montini, futuro Papa Paolo VI)
Sembra quasi che l’artista assuma su di sé il carico del dolore che lo circonda senza riuscire a liberare sé stesso e gli altri se non attraverso il pennello catartico: una carezza che a volte diviene compiacimento e poi viaggio verso la luce che da fisica si fa religiosa e divina.
Quarto di sei figli di Giuseppe (impiegato) e di Delfina (maestra elementare figlia di un notaio), una famiglia molto religiosa, Felice Mario Ippolito da bambino frequenta a lungo la casa dei nonni a Cumiana: nella sua Autobiografia ricorda “un’infanzia triste, grigia e monotona” che non ha certo attenuato il suo carattere schivo e melanconico. In difficoltà con gli studi classici, si trasferisce con parecchie perplessità all’Accademia Albertina che seguirà per i primi tre anni senza quell’amore che gli regala la consolatoria poesia e dove costruisce solide amicizie sempre più numerose che estenderà anche in ambienti letterari.
Attore tragico, scenografo e truccatore più per amore sociale che teatrale, durante i corsi superiori dell’Accademia sceglie pittura (tra i suoi maestri Giacomo Grosso e Lorenzo Delleani) e questa volta si appassiona alla materia conseguendo successi.