La Macchinetta
di Ruggero Scarponi
Si può pensare che uno schizzo di paese come Civitella sul Ciglio, non abbia nulla da offrire all’interesse di un forestiero. E’ più che legittimo. E, infatti, mai che la storia l’ abbia anche solo occasionalmente lambito, né l’arte, o artisti di qualche gusto, senonché si può dire che persino la natura gli abbia riservato il più insignificante dei luoghi ove aggregare un umano consesso.
Per descrivere Civitella, per quel poco che se ne può dire, basterebbe la semplice buona volontà di un modesto narratore o la disinvolta sintesi di un inviato di cronaca oppure il patetico verso di un poetastro locale.
Eppure non è proprio così. Perché a Civitella, se si va a ben vedere a ben cercare, si scopre che c’è stato un tempo in cui si è quasi realizzato un sogno, un sogno tale da iscrivere il nome del piccolo borgo tra le grandi località in cui il genio umano si è incarnato a imperitura memoria delle future generazioni.
A Civitella, nel segreto di una casa, una tra le tante, tutte uguali, tutte anonime, senza fantasia, ha vibrato un cuore, il cuore del Signor Pepi Fattiben.
E il cuore del signore in questione ha avuto buoni motivi per vibrare, o meglio ne ha avuto uno, ma che da solo è stato più che sufficiente.
Egli, negli ultimi cinque anni, ha coltivato un sogno, un obiettivo, un interesse spasmodico, tiranno e totalitario. Realizzare la Macchinetta. Ore e ore di studio e di lavoro consumati nella più mistica abnegazione lo hanno condotto al coronamento di quello che solo un lustro fa sarebbe apparso, utopia, e sin anche magia.
La macchinetta del Signor Pepi avrebbe cambiato la storia. Avrebbe stravolto la filosofia e rimesso in discussione gli stessi concetti di uomo, cittadino, società , diritto.
Raccontare la portata di una simile invenzione è come pretendere di parlare della scoperta del fuoco e della ruota. Senza ombra di dubbio posso affermare che nella storia dell’uomo intesa come storia delle civili convivenze avremmo parlato di un prima e un dopo l’invenzione della macchinetta. E’ come se a Civitella di colpo, oggi, ci si accorgesse, che in oscuro anonimato, stava covando i suoi natali il genio umano nella sua più alta esaltazione intellettuale.
A questo punto, ne sono convinto, sarete tutti curiosi di conoscere tanta meraviglia! E come mai un siffatto miracolo scientifico e tecnologico vi possa essere totalmente ignoto. Siate pazienti e consentitemi di procedere per ordine.
Tutto ebbe inizio il 24 dicembre di cinque anni fa. Si era verso sera quando il Signor Pepi Fattiben rientrando a casa con l’automobile dopo averne riempito ben bene il vano portabagagli di regali natalizi, fu violentemente investito da un’autovettura che ignorando il semaforo rosso invase l’incrocio dove per l’appunto transitava con pieno diritto il Signor Pepi. Il nostro, ferito e con gravi lesioni, fu tratto fuori dall’abitacolo accartocciato, dai vigili del fuoco, non senza fatica e ricoverato in ospedale dove risedette per circa due mesi. Dell’auto poi e dei regali natalizi, tanto erano fuori uso, non se ne ottenne che una sterile, sotto il profilo economico, rottamazione. Ma il bello doveva arrivare.
Quale fu, infatti, la sorpresa del Signor Pepi, quando finalmente ristabilito e in grado di riprendere in mano i suoi interessi, scoprì che secondo le testimonianze e i rilievi, da investito era stato trasformato in investitore. Oltre il danno, la beffa. Essendo poi, persona estremamente corretta, rifiutò il consiglio di molti, di procurarsi testimoni compiacenti e suo malgrado accettò l’ingiusto verdetto.
Da allora il Signor Pepi non ebbe pace. Si svegliò una mattina con un’idea fissa in testa. Era necessario lavorare affinché la giustizia non fosse così volgarmente ingannata.
Il Fattiben, dopo una lunga riflessione concepì un progetto assolutamente innovativo.
Scontrandosi contro le più affermate teorie nel campo della percezione sensoriale, del diritto e della filosofia in generale si dette a progettare un sistema logico matematico che applicato ad un modello cibernetico fosse in grado di tradurre in termini analitici le risultanze integrate di un fenomeno empirico.
Niente di più improbabile: la determinazione dell’azione reale nell’istante in cui si compie. Qualcosa che aveva ossessionato da sempre artisti e scienziati. La cattura dell’infinitesima scansione temporale quale testimone unico e immodificabile della realtà materiale. L’estremo punto di confine tra l’essere e il divenire. Il momento supremo del vero assoluto. L’ipso facto, l’hic et nunc. Ma non era robetta una simile convinzione. Così il nostro, sospinto da un furore ideale e dall’anelito per una giustizia veramente giusta, si mise al lavoro senza darsi risparmio. Le sue indubbie doti in campo scientifico lo sostennero non poco e alla fine, dopo sessanta mesi o milleottocentoventicinque giorni, giunse all’agognata meta, la realizzazione della Macchinetta.
Fu l’alba, dopo un’ultima notte passata insonne, a consegnare all’umanità il frutto di tanta mistica dedizione. Pepi non credeva ai suoi occhi e appena spinto il tasto di accensione, modulate le giuste frequenze, attivati i necessari amplificatori, non riuscì a trattenere lacrime di commozione constatando come la sua opera, forse la più grande dopo La Creazione, fosse lì a dare risposte, di una precisione cristallina, così semplice e umile che faceva stringere il cuore al pensiero di come una simile meraviglia accogliesse docile e ubbidiente le domande, da sempre irrisolte di un essere imperfetto e fallace come l’umano.
Pepi era uomo preciso e ordinato. Tutto aveva scritto e registrato. Il progetto, i disegni, le funzioni i diagrammi. Ogni cosa era stata programmata e descritta. Tutto poteva essere facilmente riprodotto anche senza il suo ideatore. Un sorriso percorse il viso segnato e invecchiato da cinque anni di insonne attività . Pepi guardava la sua creatura, ma subito ebbe timore di veder montare in se stesso l’orgoglio e la superbia e il terrore di trovarsi in competizione con lo stesso Creatore gli spense la gioia nel cuore.
No, tutto era stato realizzato nel nome di un più alto ideale che non fosse l’ambizione o l’amor proprio.
Non avrebbe ricavato vantaggi morali e materiali dall’invenzione. L’avrebbe donata al mondo in modo anonimo. Una telefonata alla redazione di un giornale oppure…oppure…Insomma avrebbe trovato una maniera.
Passarono giorni. Pepi non si decideva. Non riusciva a trovare un modo abbastanza anonimo che lo privasse del benché minimo compiacimento nella paternità della grande invenzione. Passò altre notti insonni. Intanto dubbi e remore lo assalivano di notte e di giorno e sempre più si ritrovava a testare, e provare la Macchinetta. Ma sempre, dopo ogni collaudo il sorriso tornava a illuminargli il volto. Funzionava. Eccome se funzionava. Mai una volta si era inceppata. Lui introduceva i dati e lei rispondeva precisa sicura istantanea e sempre la stessa cosa, la pura e semplice verità . Pepi ne era inebriato. Un senso di potere e di onnipotenza cominciò a pervadere il suo spirito. La sua anima candida a poco a poco si colorò con i colori della magnificenza. Un’anima solitaria e magnifica, un’anima capace, unica nella storia del mondo, di porsi sullo stesso piano di Dio. Di nuovo il dubbio lo assaliva. Come poteva osare tanto, togliere al Creatore la sua più grande prerogativa, il supremo discernimento. Pepi temette a quel punto di perdere la ragione e si decise. Si fece fissare un appuntamento. Entrò nello studio del Dottor Magri. Si sedette e cominciò:
- Vede Dottore, mi son deciso a venire, perché da un po’ di tempo soffro di un disturbo depressivo e…
L’illustre clinico, che tale era il Dottor Magri, lo ascoltò con infinita pazienza, dal momento che il Pepi, prima descrisse i suoi sintomi psicotici, con grande proprietà e precisione e poi, come liberato da un’oppressione interiore, passò a descrivere la miracolosa Macchinetta.
Alla fine come estremo pegno di fiducia nell’uomo e nel medico trasse da una custodia in pelle la suddetta Macchinetta e tentennando la porse al suo interlocutore.
Il Dottor Magri, la prese cautamente e religiosamente in mano, la soppesò, la girò e in fine con uno sguardo benevolo e di assenso, si rivolse alla sua assistente. - Signorina, vediamo di continuare con i tranquillanti, il paziente non ha ancora assorbito le lesioni craniche dopo l’incidente.
-Tenga – disse rivolgendosi a Pepi – è scarica, ma funziona, è una macchina fotografica di buona marca, non se ne privi.