La Finestra
di Ruggero Scarponi
Il rombo del motore, un Maybach a 12 cilindri, si arrestò con qualche sussulto. Improvvisamente tutta la potenza dei 300 hp cessò di scuotere l’aria. Il tenente Heinrich aveva fermato il panzer proprio di fronte al cancello di una villa di campagna. Sollevato il portello si sporse fuori della torretta. Respirò con piacere l’aria fredda del mattino. Il fumo denso e nero dello scappamento si era dissolto nella brezza leggera e un pallido sole non riusciva a scaldare la natura circostante. Cessato il rumore, era sorto un silenzio profondo. Una strana sensazione d’inquietudine si impossessò di Heinrich. Si guardò intorno e in direzione della villa. Tutto taceva, lugubremente. Il grande edificio sembrava disabitato. Di sotto, nell’abitacolo, i quattro uomini d’equipaggio del panzer nell’attesa di ordini dal tenente, si erano messi a chiacchierare. Heinrich stava per ordinare di ripartire quando il suo sguardo fu attirato da qualcosa di strano. Percorse con occhiate rapide la cancellata, il vialetto d’ingresso e poi la facciata della villa e notò che qualcosa era mutato. All’ultimo piano, una finestra, appariva aperta.
Heinrich avvertì una sensazione di pericolo. Era certo che la finestra fosse chiusa al suo arrivo. Poteva trattarsi di un particolare insignificante, ma Heinrich era un buon soldato e come tale fiutava il pericolo. Scese dal Panzer. La terra gelata scricchiolò sotto i suoi passi. Estrasse la pistola e tolse la sicura.
- Signor tenente – chiese Gruber, l’ufficiale in “seconda” – qualcosa non va?
Heirich non rispose e continuò a scrutare con attenzione l’edificio. Poi come riavutosi, ordinò secco: - Dì ad Hans di venire.
Il soldato Hans, un giovane carrista scattò sull’attenti, davanti all’ufficiale. - Vai, Hans, vedi se la casa è abitata…- disse Heinrich.
Subito il giovane si diresse verso la porta d’ingresso, spinse con una mano il battente che non era serrato ed entrò. Heinrich si accese una sigaretta per ingannare l’attesa. I minuti passavano, si fece ansioso. - Gruber – disse rivolto al secondo – vai a vedere che sta facendo, attenzione però, massima attenzione…
– forse Hans ha trovato una graziosa francesina… - rispose con un sorrisetto il sottufficiale. - Attento Gruber! Attento...- ammonì Heinrich.
Gruber sparì all’interno della casa.
Dopo un po’, non vedendo ritornare i suoi uomini Heinrich decise di andare di persona.
Appena varcato il portone, si trovò immerso nel buio. Accese un fiammifero per non rischiare di inciampare. Subito si trovò davanti una scala che conduceva ai piani superiori. Heinrich aveva fretta di raggiungere la stanza della finestra aperta. Provò a girare l’interruttore per far luce ma non ebbe nessun effetto. Accese diversi fiammiferi mentre saliva le scale. Non c’erano finestre e non si vedeva nulla. La luce dei fiammiferi proiettava sui muri la sua ombra tremolante. In breve fu all’ultimo piano. Strinse la pistola nel pugno. Ora avanzava cauto in un lungo corridoio tra due file di camere. Poi intravide una luminosità nell’ultima stanza quella della finestra aperta. Vi entrò attento, pronto alla difesa. Nulla, nessun rumore.
Ma un leggero sospiro, quasi un lamento, lo fece trasalire.
- Chi è? Chi c’è qui? – Chiese guardingo
Nessuna risposta. - Vieni fuori, o sparo! – Intimò deciso. Finalmente nella penombra della stanza una voce lo raggiunse.
- Soldato – biascicò qualcuno in un buon tedesco – Prego, si avvicini.
Heinrich era teso e si avvicinò sospettoso con la pistola - Prego, - continuò la voce - la prego Soldato, non abbia paura, si avvicini.
Ora Heirich si trovava esattamente davanti alla poltrona da dove era partita la voce. - Dove sono i miei uomini?- chiese.
Un vecchio col capo reclinato sul petto quasi dormisse rispose. - Sono appena usciti. Sono scesi di sotto…Giù, alle cantine.- E poi alzando la testa, lentamente - Ecco vede, - disse - sono rimasto solo. Nelle mie condizioni, d’altronde…non posso muovermi…
- Hans! Gruber! – chiamò Heirich, mentre teneva l’uomo sotto tiro.
- No, tenente, no, non possono sentirla, sono di sotto, come le ho detto, è inutile, può urlare quanto vuole…la villa è grande. Non la sentiranno. Ma vada, vada a vedere, scenda anche lei… ci troverà ancora delle buone bottiglie…ma prima… la prego, sia gentile, mi prenda un bicchiere d’acqua, ho un’arsura…- E visto che Heinrich esitava - E via, non abbia paura! Che cosa posso farle? …Sono solo un povero storpio…
L’uomo scostò la coperta sulle gambe. - Verdun, tenente, maggio 1916.
- Mi dispiace – rispose Heirich alla vista del moncherino.- La guerra…purtroppo… …Vi prendo l’acqua…- concluse, imbarazzato.
Heirich tolse una rosa dal bicchiere che gli porgeva il vecchio.
Ma non fece in tempo a voltarsi che l’uomo tentò di aggredirlo con un coltello. Fu solo l’istinto del soldato abituato a prevenire il pericolo a salvarlo. Più rapido del suo assalitore fece fuoco con la pistola. L’uomo stramazzò, centrato al petto.
Ora la luce illuminava la stanza. Addossati alla parete giacevano Hans e Gruber. Heirich guardò esterrefatto la scena. Solo adesso vedeva particolari che gli erano completamente sfuggiti. Il sangue che imbrattava il pavimento e i frammenti dei bicchieri che i due soldati, pugnalati alle spalle, avevano lasciato cadere a terra. L’uomo che li aveva assaliti non era né anziano né storpio ma Heinrich, e i suoi compagni, così l’avevano creduto.
Maledetta guerra! – pensò Heirich sconvolto – Maledetta guerra che tutto stravolge! Perfino la gentilezza di un gesto diventa occasione per un inganno mortale. Maledetta guerra!