piccole storie clandestine - 1
Shary
di Ruggero Scarponi
Andare a lavorare in bicicletta è duro. Soprattutto al ritorno. La mattina anche se il freddo ti fa lacrimare gli occhi, non soffri troppo, perché la strada per raggiungere il campo è in discesa. Alla sera, invece, dopo dieci ore in cui sei stato con la schiena piegata a raccogliere ortaggi, affrontare la salita è davvero dura.
Shaky, invece, canta e sembra felice.
- Ehi Shaky – gli grido – ma come fai a cantare dopo una giornata di lavoro, dove lo trovi il fiato e la voglia? Io non vedo l’ora di buttarmi sul letto per dormire fino a domattina. Salterei anche la cena per la stanchezza.
- Io sono felice! – risponde Shaky, con un largo sorriso, mentre prende tranquillo ad affrontare la salita.
- Felice? E di che cosa – gli chiedo – di questo schifo di vita? Non vorresti fare anche tu come i nostri padroni che se ne stanno in ozio, mentre noi sfacchiniamo per loro, tutto il santo giorno?
- Io sono felice – risponde Shaky – perché è Dio che ha scelto per me questa vita. Per me ha scelto il meglio.
- Con rispetto Shaky – ribatto io - ma ho l’impressione che Dio ti stia dando una solenne fregatura. Ma se sei contento tu…
Shaky non risponde. So che quando affrontiamo questi temi, per delicatezza e per non dovermi contraddire evita di commentare.
Shaky suda abbondantemente, mentre spinge la bicicletta in salita.
Io gli vado dietro con fatica, nonostante che Shaky sia più anziano e piuttosto grasso. Da dietro lo vedo pedalare in maniera goffa sulla sua vecchia bicicletta senza neanche il cambio, con le cosce e i ginocchi all’infuori. I capelli sulla nuca gli luccicano di sudore e la camicia di un colore rosa antico, ormai stinto, gli si è incollata alla schiena.
Sono certo che sta pregando in questo momento.
Per Shaky ogni momento è di Dio. Al mattino quando fa ancora buio e prima di prendere il tè, lui prega. E quando andiamo al lavoro, mentre filiamo veloci verso i campi. Prega anche durante il lavoro. Non si stanca mai. Però, non ho mai visto nessuno, sorridere, come Shaky.
Shaky al suo paese ha moglie e tre figli. Nel portafoglio conserva la foto di tutta la famiglia, genitori compresi. Una volta me l’ha mostrata. Sono tutti belli. Sua moglie sembra una ragazzina con certi capelli neri e gli occhi scuri e un sorriso da cui spuntano dei dentini che sembrano fatti di luce bianca. A Shaky vengono le lacrime, quando la sera, prima di coricarsi, tira fuori la fotografia. Anche i figli di Shaky sono belli e pure i suoi genitori. La mamma è una donna secca come la corteccia di un albero, tutta chiusa nell’abito tradizionale ma il padre sembra un principe, con lo sguardo fiero e i capelli brizzolati, tagliati corti, sulla fronte alta. Gli occhi sono quelli di Shaky, intelligenti, però più severi, quasi autoritari.
Di Shaky ne ho conosciuti tanti. Ho stretto tutte le loro mani. Ho mangiato con loro il pane con la cipolla e i pomodori e il riso speziato. Ci siamo abbracciati forte prima di lasciarci per andare a lavorare in altri campi, in altre campagne. Alcuni di noi sono andati fuori, all’estero perfino. Altri hanno abbandonato l’agricoltura e sono entrati a lavorare nelle fabbriche, su, nel nord Europa. Dio per tutti sceglie il meglio, non devo dimenticarlo, soprattutto, quando soffro la solitudine e la stanchezza. Così dice Shaky e io gli credo. Gli credo, perché lo dice lui, che ogni giorno riesce a salire sulla vecchia bicicletta e al colmo della salita, tutto sudato e affannato, si gira a guardarmi se gli sono ancora dietro. E mi sorride Shaky, perché mi vuol bene.
Da un po’ di tempo, però, non ce la fa più ad affrontare la salita. Appena la strada s’impenna, Shaky scende dalla bicicletta e s’incammina tranquillo, come fosse tutto normale.
- Ehi Shaky, non ti senti bene? – domando preoccupato – come mai da qualche giorno non riesci più a pedalare?
Lui mi guarda con gli occhi scintillanti e sorride benevolo. - Eh, che vuoi, forse è tempo che mi metta a dieta, - dice - ma tu vai avanti, non ti fermare, corri a casa, va a riposarti, tra un po’ vedrai che arrivo anche io.
Shaky ha l’affanno e anche se continua a sorridere, io me ne sono accorto. - Fatti vedere da un medico – gli dico – non mi piace come respiri.
- Non credo che sia necessario – risponde – se perdo un po’ di peso, tornerò a pedalare come prima. Sappiamo entrambi che non è vero, solo che per un clandestino anche curarsi può diventare un problema.
- Dio lo sa, cosa è bene per me – dice Shaky – non ti preoccupare, vedrai che non mi abbandona.
Shaky stamattina non è riuscito ad alzarsi. Insieme agli altri compagni abbiamo deciso di chiamare un dottore. Quando il dottore arriva, Shaky dice che non era necessario chiamarlo, che ora sta quasi bene. Dall’elettrocardiogramma, però, risulta che è sotto infarto. - Sono troppo grasso – mormora con un sorriso lieve.
- Bisogna farlo trasportare dall’unità coronarica – dice il medico.
Ci saranno un sacco di grane da affrontare, dopo, lo sappiamo. - Shaky – dico – preghiamo tutti per te.
- Grazie – risponde – anche io pregherò per voi.
Shaky ha superato l’infarto e ha iniziato la convalescenza. Ha perso peso e ogni giorno ringrazia Dio per tutto quanto ha ricevuto dalla vita.
Oggi è arrivato suo padre. Insieme c’era una ragazzina scura che solo dopo un po’ abbiamo capito che era la moglie di Shaky.
Abbiamo fatto festa la sera. Shaky si è ristabilito e insieme abbiamo mangiato di nuovo il riso speziato con le verdure. Il riso lo ha cucinato la moglie di Shaky ed era davvero buono.
Il padre ha pregato prima di cominciare a mangiare. E anche Shaky. E anche noi, i suoi compagni abbiamo fatto la stessa cosa, perché Dio bisogna ringraziarlo sempre, per tutto quanto ci viene dalla vita. Solo Lui sa cosa è il meglio per ognuno di noi.
A stare vicino a Shaky ho imparato a conoscere Dio. E’ stato sufficiente fare come lui, fare con la preghiera, di ogni momento, un momento di Dio. A volte mi capita di sentirmi felice per questo. Grazie a Shaky e grazie a Dio.