La biscia
di Ruggero Scarponi
Ai bordi del comune si sviluppava un ampio e articolato eco-sistema costituito da una macchia arborea, fitte siepi e stagni alimentati dalle acque piovane, abbondanti in tutte le stagioni, specie in autunno.
Per il momento le ruspe dell’edilizia popolare l’ avevano risparmiato e tutto intorno a questo mondo quasi sperduto dominato dalle semplici leggi della natura si alzava minaccioso qualche rado palazzone della periferia urbana, stracolmo di umanità .
Molti animali abitavano quel mondo naturale. Gli uccelli migratori vi facevano sosta durante i loro interminabili viaggi e le volpi vi trovavano un sicuro rifugio dopo le scorribande notturne.
Intanto che gli uomini ai bordi dell’incontaminata natura si agitavano e si rivolgevano senza posa come fermenti, ansiosi di occupare nuovi spazi, il sole sorgeva e tramontava sulle verdi distese segnando l’antico ritmo del tempo.
Una grossa biscia, lunga quasi un metro, regnava sovrana nell’acqua e sulle rive dello stagno.
Aveva una pelle liscia e lucente di un marrone scuro, quasi nero. Due occhi puntuti e lampeggianti tradivano l’orgoglio gioioso dello spietato predatore.
Si nutriva principalmente di rane e topolini, sebbene non disdegnasse qualche incauto uccelletto disceso tra le erbe a beccare una bacca caduta.
In acqua non aveva rivali. Sulle rive, però, a volte, cedeva la preda ai grandi uccelli rapaci, gli unici, di cui temesse per sé stessa.
Ora, mimetizzata tra fango ed erba, attendeva la nuova vittima che, una volta catturata, avrebbe condotto nella buia tana, per divorarla con calma.
Una ranocchia gracidò nel tramonto; altre, come sempre avveniva, si unirono a quel canto cui ben presto avrebbero fatto eco insetti e uccelli di tutte le specie, per salutare il declinare del giorno.
La biscia abituata all’immobilità percepì la presenza di un piccolo roditore. Un topolino, forse, il pasto ideale.
Tutto lo stagno risuonava degli stridii e dei canti dei vari animali e un’effervescenza di vita smuoveva l’aria circostante come una vibrazione musicale.
Ma altri rumori si sovrapposero al canto della natura.
Dalla città degli uomini giungevano clangori, sbuffi e schianti.
Lo stagno ribollì di una schiuma lattiginosa.
Alcuni liquami oleosi comparvero tra le erbe dei pianori.
Una polverina grigiastra, impalpabile, portata dal vento, schermò i raggi solari prima di posarsi sull’acqua e tra le verdure.
La biscia provò una sgradevole sensazione sulla pelle, come se i pori le si fossero improvvisamente occlusi. Ebbe l’istinto di tuffarsi in acqua per ripulirsi, ma l’agognato topolino che aveva puntato era troppo vicino per non tentare di agguantarlo. Poi avrebbe pensato al resto.
Fu sul punto di lanciarsi. Tirò la testa indietro, contrasse i muscoli e stava per scattare in avanti quando un grosso animale, mai visto da quelle parti, gli soffiò, proprio all’ultimo, la preda.
Sgomenta la biscia strisciò sibilando fin dentro la tana.
Restò nascosta fino al pomeriggio del giorno seguente.
Quando finalmente si decise a uscire tutto lo stagno appariva silenzioso e immobile. Un’atmosfera cupa incombeva. Sbuffi clangori e schianti si avvicinavano.
La natura era diventata ostile.
Grossi arbusti si erano coperti di spine e infiniti insetti si contendevano famelici ogni ciuffo d’erba e ogni possibile preda.
I fermenti umani tracimavano l’antico confine, presto avrebbero raggiunto la macchia arborea e penetrato l’ultima difesa, le fitte siepi dei rovi.