Il nodo scorsoio
Ovvero, Il politicamente scorretto
di Ruggero Scarponi
Quel tanghero del barone, mi faceva allungare il collo.
Dovevo arrivare a fine mese e con quel poco che ricevevo di stipendio fare i salti mortali era il meno che potessi. Intanto lui, l’Editore, se ne approfittava alla grande. Fiutato l’affare non se l’era fatto scappare. Per due baiocchi di compenso mi teneva legato alla catena. Faceva anche lo spiritoso, l’animale.
- Ohé giovanotto – strepitava allegro – qui si batte la fiacca, forza che il pranzo non ci si mette da solo con la cena! – E rideva, intanto che ordinava al Grand’Hotel.
Io masticavo fiele e arrotavo i denti. Mi spremevo le meningi un po’ per tirar fuori roba nuova, che valesse la pena di pubblicare e un po’ per trovare un modo per liberarmi del tanghero.
Quello lavorava in maniera scientifica. Mi aveva messo sotto contratto quando mi aveva raccolto dalla strada e adesso metteva conto di rifarsi, pelandomi ben bene, finché avessi resistito.
Ci sapeva fare il tizio. Con quello che mi dava non arrivavo neanche a fine mese ed ero sempre costretto a chiedere prestiti e acconti. E lì mi fregavo. Quello diceva di sì, di sì a tutto, ma con tali interessi che era come se mi mettessi in galera da solo. Più tempo passava e più il cappio che mi aveva messo al collo si stringeva. E allora decisi che così non potevo continuare. Ecco perché cominciai a scrivere il mio giallo più bello: il nodo scorsoio.
- Che roba è questa? – mi chiese il barone quando lesse il titolo sulle bozze – si vende? – E giù a ridere a mitraglia, a bocca aperta con i denti d’oro che mandavano bagliori insolenti.
- E’ una storia intrigante, signor barone – rispondevo micio, micio.- chissà forse se ne potrebbe trarre anche un film.
- Un film, dici? E chi lo finanzia, tu? Ohé giovane, ricordati che il grano ce lo mette il sottoscritto e se le storie che mi tiri fuori non vanno, si torna sulla strada, te capì?
Lo odiavo quando faceva così. Da due anni la casa editrice andava avanti si può dire solo con le cose che scrivevo io. Prima di incontrarmi era al fallimento e ora faceva il gradasso. Mi teneva alla catena, c’aveva le mie cambiali, i miei titoli e il contratto, il tanghero. - Ti mando in galera, se non finisci la storia, - mi urlava dal suo ufficio mentre si stravaccava sulla poltrona con le gambe allungate sulla scrivania. – C’ho l’impegno con la distribuzione per fine mese. Domani la tipografia se non mando il documento, mette sotto la rivista e allora, ti saluto…, te capì? – Va bene signor barone, faccio nottata – rispondevo sottomesso. – Mi pare giusto, mi pare, pirla! – ribatteva tra uno sbadiglio e l’altro.
La storia ce l’avevo in mente. La trama generale, i personaggi gli ambienti…E… ma mi mancava il colpo di scena. Quello che piaceva ai miei lettori. In fin dei conti le mie storie andavano per questo. C’avevano il colpo di scena, il colpo di teatro la botta che non t’aspetteresti. Che ti fa schioccare la lingua sul palato e assentire convinto con la testa. Ma quella fu la notte più proficua della mia vita. Investii gli ultimi spiccioli per ben due espressi alla macchinetta, e so bene che era una spesa folle ma ci dovevo andare avanti per ore e…per una giusta causa. Cominciai con lo stilare il grafico della storia. Io scrivevo, disegnavo, studiavo, andavo avanti e indietro. Il tanghero russava della grossa, bofonchiava e dormiva come solo i furfanti che sanno di averla fatta franca sanno fare. Io a lavorare e lui a dormire. Bella roba, ma era ora di finirla. Al mattino avevo chiuso con il finale. Quello, il tanghero d’un barone, si sveglia e si stiracchia. Ordina la colazione. Solo per sé, l’avaraccio e poi:
- Giovane ci diamo da fare, eh? La tipografia non aspetta i tuoi riveriti comodi.
- Ecco, ecco signor barone, la storia è bella che finita….-
- Sciapa – fa storcendo la bocca – come le altre
- Ma no – faccio io – vedrà , questa attira…
- Boh – risponde in mezzo a uno sbadiglio che sembra d’ ippopotamo.
- E gli dia una letta…- lo tento
- Io? Leggere sta roba? – fa lui con disprezzo
- E’ intrigante – lo pungolo
- Ma sì, perché no, in fin dei conti c’è ancora un po’ di tempo, almeno mi faccio quattro risate con ‘ste stupidaggini.
Quello prende le bozze e va a leggere in ufficio. Lo sento che comincia a fare un sacco di versetti, di disapprovazione, meraviglia, esclamazioni. - Soldi buttati – conclude – sta roba non funziona!
- Ma si – dico io – si fidi.
- Se mi fidassi di te – risponde sprezzante – mi sarei ridotto pezzente… come te!
- Ma cos’è che secondo lei non funziona? – lo provoco.
- Ma via! Chi è che si va a mettere con la testa dentro un cappio col nodo scorsoio, per far piacere all’assassino!
E mentre ridacchia prende il cappio che ho preparato e se lo mette. - E’ per ridere - dice – per farti vedere quanto sei pirla!
Ma lui ride, grosso e gonfio. E il cappio fa il suo lavoro e stringe. Ma lui ride e il cappio stringe. - Oh! – grida a un certo punto – oh! – che non ne può più. E comincia ad agitarsi e a sbracciarsi col suo pancione grande e le braccia piccole. Ma io ho messo un piede sulla corda e il cappio si tira, si tira sempre di più, e…oh…come stringe…caro barone, stringe proprio tanto, che non si respira, non è vero? Caro il mio pirla.